lunedì, luglio 11, 2016
Il figlio dell’ex leader, condannato a morte da Tripoli ma detenuto da Tobruk, è libero a Zintan protetto dalle milizie legate al generale. Negoziati in corso per un fronte anti-islamista che metta insieme l’Esercito Nazionale e clan fedeli al colonnello.

di Chiara Cruciati,  il Manifesto

Nena News - Ieri sulle pagine dei giornali internazionali è tornato prepotente il nome di Saif al-Islam Gheddafi, secondogenito del colonnello e suo delfino prima della deposizione, noto frequentatore dei salotti internazionali e faccia del riformismo libico che si palesò prima dell’attacco Nato del 2011. I rapporti pubblicati ieri riportano le parole dei suoi legali che ne riassumono in breve la caduta e ora la potenziale risalita nel panorama politico (ultra frammentato) libico. Saif fu catturato nel 2011 mentre tentava la fuga in Niger da un paese nel caos, e tenuto prigioniero a Zintan, area montuosa nell’ovest della Libia.

In mezzo una condanna a morte, pena emessa un anno fa dal governo islamista di Tripoli in contumacia.

Perché Saif non è mai stato consegnato ai rivali islamisti, preda troppo succosa per regalarla al parlamento avversario dalle Brigate Zintan, legate invece al governo di Tobruk (quello internazionalmente riconosciuto come legittimo fino alla formazione dell’attuale esecutivo di unità nazionale del premier al-Serraj).

Ieri l’annuncio: il figlio di Muammar Gheddafi è stato rilasciato da Zintan, dopo cinque anni di detenzione. A sorprendere è l’eco data alla notizia: che Saif fosse in realtà libero lo si sapeva da qualche mese. Rapporti locali definivano «arresti domiciliari» una detenzione dorata: l’ex delfino libico si trovava già in una residenza di lusso, controllata sì dalle milizie armate di Zintan ma a sua protezione. Insomma, non lo tenevano prigioniero, ma ne garantivano la sicurezza.

Per questo il rimbalzo della notizia del suo rilascio, ieri, solleva dei dubbi sui movimenti in atto nel paese. Tanto che lo stesso avvocato Karim Khan, la presunta “gola profonda” di un’apparente non-notizia, ha fatto sapere che Saif non è più agli arresti dal 12 aprile, ma «è libero e in salute». Aggiunge, poi, che la liberazione è parte del decreto di amnistia passato nel 2015 dal governo di Tobruk su un processo svolto dalla rivale Tripoli.

L’allora ministro della Giustizia lo avrebbe graziato dietro richiesta delle tribù ancora legate al clan Gheddafi, che nonostante la morte del suo leader è ancora in grado di gestire fedeltà e gruppi armati in giro per il paese. E qui va fatta una precisazione: ad arrestare e detenere Saif sono state milizie che hanno avuto un ruolo chiave nella deposizione del padre, le Brigate di Zintan appunto, che rientrano nell’Esercito Nazionale Libico guidato dal generale Haftar. A pensar male ci si prende: l’uomo che ha gestito la lotta contro gli islamisti del parlamento rivale di Tripoli apre ad uno dei pochi simboli viventi dell’ex regime.

Non è un caso che voci provenienti da diverse fonti locali parlino da tempo di negoziazioni in corso tra personalità fedeli al clan Gheddafi e Haftar per la creazione di una coalizione interna anti-islamista, anti-Tripoli. In tale contesto l’annuncio di un rilascio già avvenuto potrebbe essere la mossa per preparare il terreno e organizzare le forze in campo.

Potrebbe dunque aprirsi l’ennesimo fronte: la Libia, governo di unità o meno, resta spaccata in autorità e sotto-autorità diverse, che vanno da quelle più o meno ufficiali dei governi rivali alle miriadi di milizie armate legate a fedeltà personalistiche. Una galassia a cui si aggiunge il peso destabilizzante dello Stato Islamico che, seppur sotto attacco a Sirte, mantiene la roccaforte di Derna.

Sul capo del figlio del colonnello penzola ancora la spada di Damocle del diritto internazionale: Saif è ricercato dalla Corte Penale Internazionale perché accusato di crimini di guerra, commessi durante la repressione delle proteste nel 2011, prima dell’intervento Nato a favore di quelli che vennero definiti “ribelli”, quando in realtà non erano altro che milizie armate da fuori. Ora il suo team di legali presenterà alla Corte la richiesta di cancellazione delle accuse, sulla base del processo che lo scorso anno lo condannò a morte.


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