Il consiglio della federatletica internazionale ha deciso di mantenere la squalifica inflitta a novembre al Paese accusato di doping di Stato. La Isinbayeva annuncia ricorso per violazione dei diritti umani. Il comitato olimpico il 21 giugno potrebbe trovare delle "dispense" ad hoc per gli atleti dalla fedina immacolata. L'irritazione di Mosca.
A meno di due mesi dall'inaugurazione dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro la Iaaf, la federazione internazionale di atletica leggera, ha riaffermato, all'unanimità, la sospensione inflitta lo scorso novembre alla propria affiliata russa Araf ed ai suoi iscritti, in seguito ai numerosi casi di assunzione di sostanze proibite accertati dalla Wada, l'agenzia mondiale anti-doping: a renderlo noto Mikhail Boutov, segretario generale della stessa Araf.
L'atletica russa resta, dunque, senza le Olimpiadi brasiliane. L'immediata reazione ufficiale di Mosca è stata affidata al ministro dello Sport, Vitaly Mutko, che ha polemicamente definito "attesa" e "scontata" la decisione adottata dal Consiglio della Iaaf, riunitosi a Vienna. "Reagiremo", ha ammonito Mutko. Si valuta il ricorso al Tas.
A causare la sentenza della Iaaf non sarebbero stati tanto aspetti politici, quanto il fatto che "non è stato allestito un vero sistema di controlli, c'è ancora una diffusa tolleranza delle sostanze vietate, ci sono prove di depistaggi dell'antidoping".
La reazione anche da parte degli atleti. "Sono offesa - ha detto Yelena Isinbayeva, due volte oro olimpico - nessuno ci ha difeso. Siamo incolpati di qualcosa che non abbiamo fatto. Secondo la logica della federatletica mondiale, se un mio vicino è ladro, anch'io sono ladra".
Ora l’unica speranza, ma solo per alcuni, è che il Cio, trovando qualche escamotage legale, ammetta alcuni atleti dalla fedina penale immacolata a titolo individuale. Uno spiraglio è stato, infatti, lasciato aperto per i casi individuali, cioè per i singoli atleti russi in grado di provare di non essersi prestati a metodi proibiti.
A spiegarlo è stato lo stesso presidente Iaaf, lord Sebastian Coe: per coloro che non fossero soggetti al sistema di controlli russo, perché in altro paese, potrebbero essere concesse delle "dispense" ad hoc, permettendo la partecipazione di alcuni atleti in qualità di "soggetti neutrali".
La vicenda dimostra, ancora una volta, l'importanza politica che ha assunto ormai lo sport a livello di "soft power", per gli attori internazionali, sia che si parli dell'organizzazione che della partecipazione ad un evento visto in tutto il mondo. Questa la Guerra Fredda, al tempo delle Olimpiadi di Rio.
A meno di due mesi dall'inaugurazione dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro la Iaaf, la federazione internazionale di atletica leggera, ha riaffermato, all'unanimità, la sospensione inflitta lo scorso novembre alla propria affiliata russa Araf ed ai suoi iscritti, in seguito ai numerosi casi di assunzione di sostanze proibite accertati dalla Wada, l'agenzia mondiale anti-doping: a renderlo noto Mikhail Boutov, segretario generale della stessa Araf.
L'atletica russa resta, dunque, senza le Olimpiadi brasiliane. L'immediata reazione ufficiale di Mosca è stata affidata al ministro dello Sport, Vitaly Mutko, che ha polemicamente definito "attesa" e "scontata" la decisione adottata dal Consiglio della Iaaf, riunitosi a Vienna. "Reagiremo", ha ammonito Mutko. Si valuta il ricorso al Tas.
A causare la sentenza della Iaaf non sarebbero stati tanto aspetti politici, quanto il fatto che "non è stato allestito un vero sistema di controlli, c'è ancora una diffusa tolleranza delle sostanze vietate, ci sono prove di depistaggi dell'antidoping".
La reazione anche da parte degli atleti. "Sono offesa - ha detto Yelena Isinbayeva, due volte oro olimpico - nessuno ci ha difeso. Siamo incolpati di qualcosa che non abbiamo fatto. Secondo la logica della federatletica mondiale, se un mio vicino è ladro, anch'io sono ladra".
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