Dundar
e Gul sono stati condannati per aver rivelato “segreti di stato”: lo
scorso maggio avevano raccontato di una consegna di armi da parte dei
servizi segreti turchi allo Stato Islamico. Erdogan, intanto, promette:
“referendum presidenziale al più presto” .
Nena News
– Il tribunale di Istanbul ha condannato ieri a cinque anni e 10 mesi
di prigione il direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dundar, e il
caporedattore Erdem Gul perché hanno rivelato “segreti di stato” che
avrebbero potuto minare la sicurezza del Paese. Lo scorso maggio Dundar e
Gul avevano pubblicato foto, video e articoli che raccontavano dei
traffici al confine tra Turchia e Siria. In particolare, i due
giornalisti avevano accusato i servizi segreti turchi di aver consegnato
nel gennaio 2014 armi ed equipaggiamento militare ad affiliati
dell’autoproclamato Stato Islamico (Isis).
Il processo ha avuto un’ampia eco nazionale e internazionale per due motivi principali. Innanzitutto perché è diventato simbolo delle gravissime restrizioni a cui è sottoposta la stampa nel Paese. In secondo luogo per il significato politico dello scoop giornalistico: il rapporto quanto meno ambiguo che Ankara ha con i jihadisti di al-Baghdadi. Una vicinanza che stride ancora di più se si considera che gli alleati occidentali della Turchia, almeno sulla carta, stanno combattendo la formazione radicale islamica da quasi due anni.
Nel condannarli a cinque anni di carcere, il tribunale di Istanbul li ha però scagionati dall’altro pesante capo d’accusa: quello di spionaggio. Magra soddisfazione che, considerato il processo assurdo che stanno subendo, sa anche di amara beffa. In attesa della decisione della corte d’appello, comunque, i due giornalisti non andranno in prigione. E per nulla intimoriti dalla sentenza promettono battaglia. “Continueremo a fare il nostro lavoro, nonostante i tentativi volti a silenziarci” – ha detto ai suoi colleghi Dundar fuori dall’aula del tribunale. “Dobbiamo conservare il coraggio nel nostro Paese” ha poi chiosato.
Non sono mancati momenti di tensione all’uscita di Dundar dalla corte: un uomo armato di pistola ha sparato alcuni colpi di arma da fuoco prima di essere fermato dalla polizia. Il direttore di Cumhuryet è rimasto illeso mentre ha riportato ferite leggere un reporter della rete televisiva NTV, Yagiz Senkal.
Poco prima del verdetto della corte il presidente turco Erdogan aveva attaccato duramente l’Europa “rea”, a suo parere, di aver chiesto alla Turchia di rivedere le sue leggi anti-terrorismo. Una revisione necessaria – ha spiegato Bruxelles in questi giorni – se Ankara vuole che i suoi cittadini si possano recarsi in Europa per brevi soggiorni senza visto. “Noi andremo per la nostra strada, voi per la vostra” – ha detto ieri sprezzante ai leader europei in un discorso tenuto a Istanbul – “fate l’accordo con chi volete”. Poi è passato all’attacco: “[come osate darci lezioni in questo campo] voi che permettete a dei terroristi di mettere le tende vicino al Parlamento europeo? Perché non cambiate voi atteggiamento?”. Il riferimento è alle tende piazzate a marzo dal partito curdo dei lavoratori (Pkk), una organizzazione con cui l’Occidente ha un rapporto che definire contraddittorio è un eufemismo: nonostante sia considerato un gruppo terrorista, infatti, europei e statunitensi ci collaborano senza problemi in Siria (insieme al suo “fratello” siriano PYD) per combattere al-Baghdadi.
L’Ue sostiene che Ankara dà una definizione troppa ampia del termine terrorismo e si dice “preoccupata” per gli attacchi alla libertà civili e di stampa che negli ultimi anni si stanno registrando nel Paese. Ma siamo certi che un qualche immigrato in più che Ankara “accoglierà” sul suo territorio non possa far chiudere a Bruxelles tutti e due gli occhi?
Nonostante l’attacco all’Europa, però, i destinatari del discorso di ieri del presidente erano soprattutto i sui rivali interni ed esterni. Ringalluzzito dalle “dimissioni” di due giorni fa del premier Davutoglu – ultimamente avvertito come fastidioso ostacolo al suo sogno di diventare il leader assoluto della Turchia – Erdogan ha colto subito la palla al balzo per ripresentare il suo piano: un rapido cambiamento istituzionale attraverso un referendum che renderà – promette – il Paese “più forte e stabile”. Le opposizioni sono avvisate.
Il processo ha avuto un’ampia eco nazionale e internazionale per due motivi principali. Innanzitutto perché è diventato simbolo delle gravissime restrizioni a cui è sottoposta la stampa nel Paese. In secondo luogo per il significato politico dello scoop giornalistico: il rapporto quanto meno ambiguo che Ankara ha con i jihadisti di al-Baghdadi. Una vicinanza che stride ancora di più se si considera che gli alleati occidentali della Turchia, almeno sulla carta, stanno combattendo la formazione radicale islamica da quasi due anni.
Nel condannarli a cinque anni di carcere, il tribunale di Istanbul li ha però scagionati dall’altro pesante capo d’accusa: quello di spionaggio. Magra soddisfazione che, considerato il processo assurdo che stanno subendo, sa anche di amara beffa. In attesa della decisione della corte d’appello, comunque, i due giornalisti non andranno in prigione. E per nulla intimoriti dalla sentenza promettono battaglia. “Continueremo a fare il nostro lavoro, nonostante i tentativi volti a silenziarci” – ha detto ai suoi colleghi Dundar fuori dall’aula del tribunale. “Dobbiamo conservare il coraggio nel nostro Paese” ha poi chiosato.
Non sono mancati momenti di tensione all’uscita di Dundar dalla corte: un uomo armato di pistola ha sparato alcuni colpi di arma da fuoco prima di essere fermato dalla polizia. Il direttore di Cumhuryet è rimasto illeso mentre ha riportato ferite leggere un reporter della rete televisiva NTV, Yagiz Senkal.
Poco prima del verdetto della corte il presidente turco Erdogan aveva attaccato duramente l’Europa “rea”, a suo parere, di aver chiesto alla Turchia di rivedere le sue leggi anti-terrorismo. Una revisione necessaria – ha spiegato Bruxelles in questi giorni – se Ankara vuole che i suoi cittadini si possano recarsi in Europa per brevi soggiorni senza visto. “Noi andremo per la nostra strada, voi per la vostra” – ha detto ieri sprezzante ai leader europei in un discorso tenuto a Istanbul – “fate l’accordo con chi volete”. Poi è passato all’attacco: “[come osate darci lezioni in questo campo] voi che permettete a dei terroristi di mettere le tende vicino al Parlamento europeo? Perché non cambiate voi atteggiamento?”. Il riferimento è alle tende piazzate a marzo dal partito curdo dei lavoratori (Pkk), una organizzazione con cui l’Occidente ha un rapporto che definire contraddittorio è un eufemismo: nonostante sia considerato un gruppo terrorista, infatti, europei e statunitensi ci collaborano senza problemi in Siria (insieme al suo “fratello” siriano PYD) per combattere al-Baghdadi.
L’Ue sostiene che Ankara dà una definizione troppa ampia del termine terrorismo e si dice “preoccupata” per gli attacchi alla libertà civili e di stampa che negli ultimi anni si stanno registrando nel Paese. Ma siamo certi che un qualche immigrato in più che Ankara “accoglierà” sul suo territorio non possa far chiudere a Bruxelles tutti e due gli occhi?
Nonostante l’attacco all’Europa, però, i destinatari del discorso di ieri del presidente erano soprattutto i sui rivali interni ed esterni. Ringalluzzito dalle “dimissioni” di due giorni fa del premier Davutoglu – ultimamente avvertito come fastidioso ostacolo al suo sogno di diventare il leader assoluto della Turchia – Erdogan ha colto subito la palla al balzo per ripresentare il suo piano: un rapido cambiamento istituzionale attraverso un referendum che renderà – promette – il Paese “più forte e stabile”. Le opposizioni sono avvisate.
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