lunedì, aprile 18, 2016
Una sperimentazione della Ohio State University “fa il miracolo” ad un giovane di 24 anni tetraplegico dal 2010. 

                                 di Paolo Antonio Magrì 

Ian Burkhart, un tetraplegico di 24 anni, è riuscito a versare dell’acqua utilizzando autonomamente la propria mano. Il facile gesto quotidiano – non facile… anzi impossibile per chi è paralizzato – è stato reso possibile grazie ad un chip inserito nel cervello. È il secondo esperimento di questo tipo su un essere umano ed è stato realizzato dal team coordinato da Ali Rezai (Ohio State University), Chad Bouton (Istituto Feinstein) e Nick Annetta (Battelle Memorial Institute).

L’obiettivo degli scienziati è stato quello di ovviare alla causa della paralisi di Ian: la lesione del midollo spinale superiore. Per “aggirare il problema” il gruppo di ricerca ha utilizzato il sistema NeuroLife: un “bypass nervoso elettronico” che registra i segnali della corteccia grazie ad un chip impiantato nel cervello, li elabora e li trasforma nei movimenti desiderati grazie a un sistema gestito da un’intelligenza artificiale. Lo stesso team di scienziati non è nuovo ai “miracoli”: già nel giugno 2014 aveva restituito al giovane la gioia dei suoi primi movimenti dopo la paralisi causata da un tuffo in mare andato storto. Adesso, a 4 anni di distanza, Burkhart può muovere la mano, afferrare una bottiglia e stringerla abbastanza da poterne versare il contenuto.

Il risultato è stato anche frutto di un “allenamento” ininterrotto del paziente, che si è dovuto sottoporre a sedute continue negli ultimi 15 mesi (il chip è stato installato nel 2014), durante i quali ha ottenuto progressi continui.
Burkhart ha ammesso: “l’allenamento è stato estenuante, ma esaltante. Ho dovuto stare davvero concentrato: è stato come allenarsi per uno sport, si lavora e il lavoro diventa via via più facile”

“Negli ultimi dieci anni - dice Bouton - abbiamo imparato a decifrare i segnali del cervello dei pazienti che sono completamente paralizzati e ora, per la prima volta, questi segnali sono stati trasformati in movimenti”. 

“L’esperimento – aggiunge - mostra che i segnali registrati dal chip possono essere rispediti all’arto, aggirando la lesione e permettendo di ripristinare i movimenti.”

Adesso il prossimo passo sarà miniaturizzare il sistema e renderlo senza fili. 

“È pazzesco – ha detto contento Ian - perché avevo perso la sensibilità alle mani e ho dovuto guardarle per sapere se stavo stringendo o estendendo le mie dita".

Ci vorrà ancora del tempo e ulteriori ricerche e sperimentazioni affinché il sistema possa fornire una significativa indipendenza mobile, ma senza dubbio è stata segnata una tappa importante perché questo nuovo studio dimostra che l’approccio bypass può ripristinare capacità negli arti non più direttamente collegati al cervello.



Leggi gli articoli di scienza e tecnologia di Paolo Antonio Magrì sul blog  fritturadiparanza 

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