Una sperimentazione della Ohio State University “fa il miracolo” ad un giovane di 24 anni tetraplegico dal 2010.
di Paolo Antonio Magrì
Ian Burkhart, un tetraplegico di 24 anni, è riuscito a versare dell’acqua utilizzando autonomamente la propria mano. Il facile gesto quotidiano – non facile… anzi impossibile per chi è paralizzato – è stato reso possibile grazie ad un chip inserito nel cervello. È il secondo esperimento di questo tipo su un essere umano ed è stato realizzato dal team coordinato da Ali Rezai (Ohio State University), Chad Bouton (Istituto Feinstein) e Nick Annetta (Battelle Memorial Institute).
L’obiettivo degli scienziati è stato quello di ovviare alla causa della paralisi di Ian: la lesione del midollo spinale superiore. Per “aggirare il problema” il gruppo di ricerca ha utilizzato il sistema NeuroLife: un “bypass nervoso elettronico” che registra i segnali della corteccia grazie ad un chip impiantato nel cervello, li elabora e li trasforma nei movimenti desiderati grazie a un sistema gestito da un’intelligenza artificiale. Lo stesso team di scienziati non è nuovo ai “miracoli”: già nel giugno 2014 aveva restituito al giovane la gioia dei suoi primi movimenti dopo la paralisi causata da un tuffo in mare andato storto. Adesso, a 4 anni di distanza, Burkhart può muovere la mano, afferrare una bottiglia e stringerla abbastanza da poterne versare il contenuto.
Il risultato è stato anche frutto di un “allenamento” ininterrotto del paziente, che si è dovuto sottoporre a sedute continue negli ultimi 15 mesi (il chip è stato installato nel 2014), durante i quali ha ottenuto progressi continui.
Burkhart ha ammesso: “l’allenamento è stato estenuante, ma esaltante. Ho dovuto stare davvero concentrato: è stato come allenarsi per uno sport, si lavora e il lavoro diventa via via più facile”.
“Negli ultimi dieci anni - dice Bouton - abbiamo imparato a decifrare i segnali del cervello dei pazienti che sono completamente paralizzati e ora, per la prima volta, questi segnali sono stati trasformati in movimenti”.
“L’esperimento – aggiunge - mostra che i segnali registrati dal chip possono essere rispediti all’arto, aggirando la lesione e permettendo di ripristinare i movimenti.”
Adesso il prossimo passo sarà miniaturizzare il sistema e renderlo senza fili.
“È pazzesco – ha detto contento Ian - perché avevo perso la sensibilità alle mani e ho dovuto guardarle per sapere se stavo stringendo o estendendo le mie dita".
Ci vorrà ancora del tempo e ulteriori ricerche e sperimentazioni affinché il sistema possa fornire una significativa indipendenza mobile, ma senza dubbio è stata segnata una tappa importante perché questo nuovo studio dimostra che l’approccio bypass può ripristinare capacità negli arti non più direttamente collegati al cervello.
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di Paolo Antonio Magrì Ian Burkhart, un tetraplegico di 24 anni, è riuscito a versare dell’acqua utilizzando autonomamente la propria mano. Il facile gesto quotidiano – non facile… anzi impossibile per chi è paralizzato – è stato reso possibile grazie ad un chip inserito nel cervello. È il secondo esperimento di questo tipo su un essere umano ed è stato realizzato dal team coordinato da Ali Rezai (Ohio State University), Chad Bouton (Istituto Feinstein) e Nick Annetta (Battelle Memorial Institute).
L’obiettivo degli scienziati è stato quello di ovviare alla causa della paralisi di Ian: la lesione del midollo spinale superiore. Per “aggirare il problema” il gruppo di ricerca ha utilizzato il sistema NeuroLife: un “bypass nervoso elettronico” che registra i segnali della corteccia grazie ad un chip impiantato nel cervello, li elabora e li trasforma nei movimenti desiderati grazie a un sistema gestito da un’intelligenza artificiale. Lo stesso team di scienziati non è nuovo ai “miracoli”: già nel giugno 2014 aveva restituito al giovane la gioia dei suoi primi movimenti dopo la paralisi causata da un tuffo in mare andato storto. Adesso, a 4 anni di distanza, Burkhart può muovere la mano, afferrare una bottiglia e stringerla abbastanza da poterne versare il contenuto.
Il risultato è stato anche frutto di un “allenamento” ininterrotto del paziente, che si è dovuto sottoporre a sedute continue negli ultimi 15 mesi (il chip è stato installato nel 2014), durante i quali ha ottenuto progressi continui.
Burkhart ha ammesso: “l’allenamento è stato estenuante, ma esaltante. Ho dovuto stare davvero concentrato: è stato come allenarsi per uno sport, si lavora e il lavoro diventa via via più facile”.
“Negli ultimi dieci anni - dice Bouton - abbiamo imparato a decifrare i segnali del cervello dei pazienti che sono completamente paralizzati e ora, per la prima volta, questi segnali sono stati trasformati in movimenti”.
“L’esperimento – aggiunge - mostra che i segnali registrati dal chip possono essere rispediti all’arto, aggirando la lesione e permettendo di ripristinare i movimenti.”
Adesso il prossimo passo sarà miniaturizzare il sistema e renderlo senza fili.
“È pazzesco – ha detto contento Ian - perché avevo perso la sensibilità alle mani e ho dovuto guardarle per sapere se stavo stringendo o estendendo le mie dita".
Ci vorrà ancora del tempo e ulteriori ricerche e sperimentazioni affinché il sistema possa fornire una significativa indipendenza mobile, ma senza dubbio è stata segnata una tappa importante perché questo nuovo studio dimostra che l’approccio bypass può ripristinare capacità negli arti non più direttamente collegati al cervello.
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