venerdì, luglio 24, 2015
Iniziato il processo davanti alla Corte Suprema, terzo e ultimo grado di giudizio. Restano vive le speranze per la donna cristiana condannata a morte per blasfemia. 

di Paolo Affatato 

Vatican Insider - Il primo passo è compiuto. Il ricorso di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte in Pakistan per blasfemia, è stato dichiarato «ammissibile» e sarà esaminato dalla Corte Suprema del Pakistan, terzo e ultimo grado di giudizio. Inoltre la pena di morte, comminata alla donna nel processo in primo grado e confermata in appello, è stata sospesa. Asia non rischia una rapida esecuzione, in un paese che nell’ultimo anno – nel tentativo di sconfiggere il terrorismo – ha sorprendentemente battuto ogni record nel giustiziare i detenuti nel braccio della morte: più di cento spediti alla forca, al top della classifica mondiale.

Non dissimula la sua soddisfazione l’avvocato musulmano Saiful Malook, legale di Asia Bibi, nell’annunciare che la Corte Sprema ha accolto le prime richieste della difesa. Come riferito a Vatican Insider, l’udienza svoltasi questa mattina, 22 luglio, al tribunale di Lahore, capitale della provincia del Punjab, è filata liscia, senza intoppi. Malook ha esposto brevemente ai giudici le richieste della difesa: assoluzione per insufficienza di prove.

Il clima in aula non era per nulla teso: non erano presenti mullah o leader islamici che nei processi precedenti hanno pesantemente condizionato l’amministrazione della giustizia. In Pakistan spesso i tribunali subiscono pressioni e minacce dai gruppi estremisti, specialmente su casi sensibili, legati a temi cari alla religione islamica, come quello della blasfemia. Accanto all’avvocato Malook vi erano Ashiq Masih, marito di Asia Bibi, e Joseph Nadeem, tutore della famiglia e capo della Renaissance Education Foundation, che sostiene le spese legali del processo.

I giudici hanno dichiarato «ammissibile» il caso e disposto la sospensione della pena di morte. La Corte si è riservata poi di esaminare nel dettaglio le argomentazioni già depositate dalla difesa di Asia, che verranno discusse in una prossima fase di dibattimento. Sarà la cancelleria del supremo organo giudiziario a rendere nota la data per la prossima udienza, sui cui non è possibile fare previsioni. Potrebbe essere quella decisiva per la conclusione del vicenda.

Anche Joseph Nadeem è apparso sollevato, dopo un periodo di tensione in cui si sono registrate altre minacce alla famiglia di Asia Bibi e dopo che un mullah ha confermato la taglia messa sul capo della donna, che per gli estremisti resta e resterà comunque una «blasfema». «Quello di oggi – ha detto Nadeem all’agenzia vaticana Fides – è un passo avanti importante. Siamo molto soddisfatti. Ora è il momento di pregare insieme il Signore perché sia fatta giustizia e Asia venga rilasciata».

Asia Bibi sarà informata in carcere del significativo passo avanti sul processo che la riguarda. «Abbiamo chiesto alle autorità del penitenziario di darle la notizia, diffusa anche dai mass-media pakistani», spiega Nadeem. E domani, giorno di visita al carcere di Multan dove Asia è detenuta, sarà il marito Ashiq a farle visita e a confermarle che «la speranza è viva e che ora bisogna intensificare la preghiera».

Madre di cinque figli, Asia ha ora 49 anni, gli ultimi sei trascorsi in cella: è stata arrestata il 19 giugno 2009 e condannata a morte dal tribunale di Nakhana nel novembre 2010. Quattro anni dopo, nel 2014, la Corte di appello di Lahore ha confermato la pena di morte con un procedimento-lampo, e subito dopo è stato presentato il ricorso alla Corte Suprema.

La difesa di Asia è stata assunta dall’esperto avvocato musulmano Saiful Malook, ex procuratore di Lahore nel caso di Salman Taseer, il governatore musulmano del Punjb, ucciso nel 2011 dalla sua guardia del corpo proprio per aver visitato in carcere e dichiarato l’innocenza di Asia Bibi. Per lo stesso motivo cadde per mano terrorista anche il politico cattolico Shahbaz Bhatti, allora ministro federale per le minoranze religiose.

Malook ha incentrato il ricorso sull’insufficienza di prove. Insistendo su due punti essenziali: il primo è il ritardo di cinque giorni tra l’episodio accaduto (la presunta blasfemia commessa dalla contadina del Punjab) e la presentazione delle denuncia alla polizia. Nel sistema penale, infatti, una prova presentata con ritardo rispetto al reato contestato va considerata «dubbia». Il secondo attiene alle prescrizioni della legge islamica: le due testimonianze che inchioderebbero Asia, e su cui si è basata la sua condanna, sono per la difesa da ritenersi invalide, poiché non rispondono ai criteri stabiliti dalla sharia, che vanno considerati per i crimini commessi «contro Dio» (e questo è il caso di Asia). Asia va dunque assolta. Ora si vedrà se la Corte Suprema accoglierà la linea difensiva. In caso contrario, se giungesse una condanna a quel punto definitiva, resterebbe solo la chance della grazia presidenziale, che può condonare la pena.

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