martedì, giugno 02, 2015
A poco più di un mese dal sisma che ha causato oltre 8 mila morti, continua la ricostruzione in Nepal.  

Radio Vaticana - In questi giorni sono state riaperte le prime scuole, con 14 mila bambini che hanno potuto riprendere gli studi in 137 “spazi aperti per l’istruzione”. Per loro ci saranno professori che forniranno un’assistenza psicologica per superare il trauma del terremoto. Intanto, in tutto il Paese sono ancora migliaia gli sfollati, che vivono con preoccupazione l’inizio della stagione dei monsoni. Per un punto sulla situazione, Michele Raviart ha raggiunto in Nepal Alberto Luzzi, dell’associazione “Jay Nepal”:



R. - La bella notizia è che le scuole hanno riaperto e si torna a una certa normalità. Si cerca anche di superare il trauma. La brutta notizia è che molti di questi professori facevano volontariato nei campi di rifugiati e vengono dalle montagne, da zone dove non si può più vivere. Là è stato distrutto tutto. Ci sono le valanghe, non c’è acqua, non c’è nulla. E da questi luoghi noi riceviamo, come associazione "Jay Nepal", una richiesta di aiuto in termini di volontari che possano andare lì e, chiaramente, aiutare perché hanno fatto molto per i bambini e per i ragazzi di questi campi.

D. – Alcune scuole sono spazi aperti. E’ già ricominciata la ricostruzione degli edifici?

R. – Alcune scuole si sono spostate fuori dagli edifici, quindi sono in accampamenti provvisori. Altre hanno deciso comunque di aprire perché hanno reputato che non ci sono rischi di crolli. La situazione, chiaramente, dal punto di vista degli edifici è tragica. Ci sono intere comunità che si trovavano nell'epicentro del terremoto che si sono interamente spostate come rifugiati all’interno della valle di Kathmandu.

D. – In generale qual è la situazione degli sfollati?

R. – La situazione è difficile perché si stanno per avvicinare i monsoni e le piogge. E quindi cerchiamo di prepararci a quello che accadrà… Io parlo mentre c’è una bellissima giornata di sole però da un momento all’altro, settimana più o settimana meno, qui inizieranno le piogge. Gli sfollati in questo momento sono in accampamenti di fortuna, tende che non possono reggere la forza del vento e delle piogge che arriveranno. C’è tantissima preoccupazione, c’è preoccupazione anche da parte nostra, perché gradualmente l’acqua raccogliendosi sui tetti farà scendere più detriti, più macerie e purtroppo la situazione da questo punto di vista è ancora per il 90 per cento irrisolta.

D. – C’è differenza tra quello che si vive a Kathmandu nella città, nella capitale, e il resto del Paese?

R. – Io non vedo tanta differenza perché fuori hanno avuto la difficoltà e vivono una situazione di povertà maggiore di quella che c’è in città. Dentro c’è il problema delle macerie e non hanno spazio. Quindi se devo dire, la situazione è drammatica per motivi diversi sia nella valle che fuori: nella valle non c’è spazio per poter campeggiare a 10 metri di casa tua, quindi finisce che campeggi sotto le macerie e vivi in una situazione di continua paura che ti cada qualcosa addosso con i bambini che ci giocano dentro.

D. – Ad un mese dal terremoto, il Paese si sta riprendendo?

R. - Noi vediamo situazioni, andando sul campo, di smarrimento totale. Paradossalmente ne vediamo più adesso che la situazione si è leggermente normalizzata che a ridosso del terremoto, quando la gente aveva la paura dell’immediato, quindi di perdere la vita. Come riprende un po’ di normalità, purtroppo, il livello di smarrimento e depressione da parte dei terremotati è altissimo. Questo è un Paese poverissimo senza risorse, senza strumenti, che si trova probabilmente 30 anni indietro dopo una botta di terremoto e non ha le forze per risalire.


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