Migliaia di persone rimaste ferite nel “Grande terremoto” in Nepal sono in fila davanti ai pochi ospedali rimasti in piedi, nella speranza di essere curate. Secondo il ministero della Salute, 300 ospedali sparsi nei 14 distretti colpiti dal sisma – inclusa la capitale Kathmandu – hanno riportato gravi danni strutturali, e almeno la metà è stata rasa al suolo. Letti, strumenti e medicinali - riferisce l'agenbzia AsiaNews - iniziano a scarseggiare.
Radio Vaticana - Le testimonianze dei feriti Sanju Thapa, del distretto di Dolakha, è in fila per essere ammessa al Bir Hospital di Kathmandu: “Ho perso i miei genitori; io, mio marito e la mia bambina di 3 anni abbiamo gravi ferite alla testa e al petto. Sono due giorni che aspettiamo di essere ricoverati, ma l’ospedale dice che non ci sono abbastanza letti e materiali per farci entrare. Mi preoccupa anche la mancanza di denaro, non so se potrò permettermi le medicine quando toccherà a me. Molti malati ricoverati prima di noi continuano a dire che stanno finendo le scorte”. Chintamani Pokhrel è in una situazione simile. Ha problemi al fegato, spiega, “ma l’ospedale dice che la macchina per la dialisi non è disponibile. Sono già sette giorni che aspetto. Se non verrò curato oggi, potrei morire. Che posso fare e dove dovrei andare? La situazione è la stessa in tutti gli ospedali di Kathmandu”.
La presenza delle organizzazioni cristiane Shanta Bahadur Shrestha, segretario del ministero della Salute, ha dichiarato questa mattina: “Le nostre capacità [di assistenza] si sono ridotte in modo notevole perché molti medici sono morti, tante strutture ospedaliere sono crollate e decine di macchinari e scorte medicinali sono state danneggiate. Abbiamo bisogno dell’aiuto della comunità internazionale. Per fortuna – ha aggiunto – tra gli stranieri vi sono molte organizzazioni cristiane, che stanno fornendo cure alle vittime attraverso le loro cliniche mobili. Siamo grati: se non fossero qui, la nostra situazione sarebbe ancora più drammatica”.
I feriti si curano sotto le tende Anil Kumar Mishra, docente e capo dell’Unità epatica del Bir Hospital, spiega: “Il disastro ha superato ogni nostra stima. Almeno 450 letti del nostro ospedale sono distrutti. Tutte le sale operatorie sono chiuse. Medicinali e strumenti sono danneggiati. Cerchiamo di curare le persone nelle tende. Migliaia di persone vengono qui per ricevere trattamenti, ma abbiamo mezzi davvero scarsi”.
La presenza e l'aiuto dei sacerdoti cattolici Intanto, molti Paesi da tutto il mondo hanno inviato squadre di medici in Nepal. Tra questi, le più attive vengono da Stati Uniti, Italia, Cina e India. L’ambasciata indiana in Nepal ha riferito che l’esercito ha inviato 18 team medici, due ospedali da campo a Lagankel e a Sinamangal (45 letti ciascuno). Finora hanno curato 3.638 persone, eseguito 183 operazioni chirurgiche e dimesso oltre 71 pazienti. Anche molte organizzazioni cristiane e cattoliche stanno dirigendo cliniche mobili. Padre Bijaya Toppo, gesuita, spiega: “I nostri sacerdoti sono venuti da molti Paesi per portare strumenti, scorte medicinali e aiuto, soprattutto sostegno psicologico alle vittime e ai bambini”. (C.S.)
Radio Vaticana - Le testimonianze dei feriti Sanju Thapa, del distretto di Dolakha, è in fila per essere ammessa al Bir Hospital di Kathmandu: “Ho perso i miei genitori; io, mio marito e la mia bambina di 3 anni abbiamo gravi ferite alla testa e al petto. Sono due giorni che aspettiamo di essere ricoverati, ma l’ospedale dice che non ci sono abbastanza letti e materiali per farci entrare. Mi preoccupa anche la mancanza di denaro, non so se potrò permettermi le medicine quando toccherà a me. Molti malati ricoverati prima di noi continuano a dire che stanno finendo le scorte”. Chintamani Pokhrel è in una situazione simile. Ha problemi al fegato, spiega, “ma l’ospedale dice che la macchina per la dialisi non è disponibile. Sono già sette giorni che aspetto. Se non verrò curato oggi, potrei morire. Che posso fare e dove dovrei andare? La situazione è la stessa in tutti gli ospedali di Kathmandu”.
La presenza delle organizzazioni cristiane Shanta Bahadur Shrestha, segretario del ministero della Salute, ha dichiarato questa mattina: “Le nostre capacità [di assistenza] si sono ridotte in modo notevole perché molti medici sono morti, tante strutture ospedaliere sono crollate e decine di macchinari e scorte medicinali sono state danneggiate. Abbiamo bisogno dell’aiuto della comunità internazionale. Per fortuna – ha aggiunto – tra gli stranieri vi sono molte organizzazioni cristiane, che stanno fornendo cure alle vittime attraverso le loro cliniche mobili. Siamo grati: se non fossero qui, la nostra situazione sarebbe ancora più drammatica”.
I feriti si curano sotto le tende Anil Kumar Mishra, docente e capo dell’Unità epatica del Bir Hospital, spiega: “Il disastro ha superato ogni nostra stima. Almeno 450 letti del nostro ospedale sono distrutti. Tutte le sale operatorie sono chiuse. Medicinali e strumenti sono danneggiati. Cerchiamo di curare le persone nelle tende. Migliaia di persone vengono qui per ricevere trattamenti, ma abbiamo mezzi davvero scarsi”.
La presenza e l'aiuto dei sacerdoti cattolici Intanto, molti Paesi da tutto il mondo hanno inviato squadre di medici in Nepal. Tra questi, le più attive vengono da Stati Uniti, Italia, Cina e India. L’ambasciata indiana in Nepal ha riferito che l’esercito ha inviato 18 team medici, due ospedali da campo a Lagankel e a Sinamangal (45 letti ciascuno). Finora hanno curato 3.638 persone, eseguito 183 operazioni chirurgiche e dimesso oltre 71 pazienti. Anche molte organizzazioni cristiane e cattoliche stanno dirigendo cliniche mobili. Padre Bijaya Toppo, gesuita, spiega: “I nostri sacerdoti sono venuti da molti Paesi per portare strumenti, scorte medicinali e aiuto, soprattutto sostegno psicologico alle vittime e ai bambini”. (C.S.)
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