lunedì, dicembre 01, 2014
L'ecumenismo secondo Francesco, dalla cronaca del viaggio in Turchia 

di Paolo Fucili 

Il dialogo teologico è pur sempre "essenziale", dice Francesco. Ma il giorno in cui i teologi cattolici e ortodossi si metteranno d'accordo "mai arriverà, glielo assicuro, sono scettico", ha candidamente confessato ieri sera ad un giornalista, sul volo del rientro da Istanbul. Stante così la faccenda, il cammino dell'ecumenismo sarebbe un tortuoso vicolo cieco, al contrario delle vivide impressioni della fitta cronaca di tre giorni di viaggio papale, appena conclusi, in Turchia, allo scopo in primis di incontrare il Patriarca ortodosso Bartolomeo: cordialità sincera, affetto, informale spontaneità che lasciano ben sperare, oggi come non mai, sul futuro delle tormentate - nei millenni passati - relazioni tra oriente e occidente cristiano.

Non che manchino resistenze, dall'una e dall'altra parte, e questo è problema sia "nostro" che "loro", spiegava Bergoglio ai cronisti al seguito; ma non è il caso, ha lasciato intendere, di farne né un dramma, né un'altra battaglia in seno alla Chiesa ("questi gruppi conservatori… dobbiamo essere rispettosi con loro e non stancarci di spiegare, catechizzare, dialogare, senza insultare, senza sporcarli, senza sparlare...").

Ma dibattiti (sterili, spesso) a parte, il nudo dato di cronaca è che mai un Papa e un Patriarca ecumenico di Costantinopoli ("leader" spirituale di 300 milioni di ortodossi nel mondo) han mostrato tali e tanti segnali di "sintonia" quali quelli lanciati in 20 mesi (dall'elezione del Papa argentino ad oggi) da Francesco e Bartolomeo. Anzitutto ci sono i quattro solenni incontri ufficiali, di cui il primo alla prima messa del neo-eletto Francesco (19 marzo 2013), il secondo a Gerusalemme (25 e 26 maggio 2014), per commemorare il simile incontro (allora senza precedenti) dei predecessori Paolo VI e Atenagora 50 anni prima, il quarto appena avvenuto ad Istanbul (sede del Patriarcato ecumenico), motivo principe del viaggio di Francesco (sesto internazionale) in Turchia.

E anche alcuni dettagli "protocollari" e non solo dicono molto: il Patriarca che ad esempio si reca due volte di persona all'aeroporto, ad accogliere e salutare l'ospite. O che prima di prendere parte alla messa del Papa coi cattolici del paese, sabato pomeriggio, si materializza in sala stampa per enfatizzare coi giornalisti locali e stranieri l'importanza dell'evento. E ancora e "soprattutto", nell'ambito della "Preghiera ecumenica" in agenda sabato sera, nella Chiesa patriarcale di san Giorgio al Fanar, la richiesta di Francesco a Bartolomeo di "un favore", ovvero "benedire me e la Chiesa di Roma".

Aveva appena parlato di "gioia grande" dell'esser là, a rinsaldare il legame fraterno di Pietro ed Andrea (gli apostoli fratelli e patroni l'uno di Roma, l'altro di Costantinopoli), perché la "sorgente" di essa non è nel nostro impegno o nei nostri sforzi, bensì nel comune affidarsi "alla fedeltà di Dio". Quindi ha chinato la testa, in direzione del Patriarca, proprio per sollecitare la benedizione richiesta, ricevendo il bacio e lo spontaneo abbraccio della fotografia con cui l'evento passerà alla storia. Con didascalia magari le parole di Francesco l'indomani, alla solenne Divina liturgia del mattino nello stesso luogo, allorché ha assicurato che per lui il cammino dell'ecumenismo non passa attraverso né "sottomissioni" né "assorbimenti", bensì tramite l'"accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato ha ciascuno"; la Chiesa cattolica, vale a dire, non impone nessuna "esigenza" ed è pronta a "cercare insieme, all'insegnamento della Scrittura e dell'esperienza del primo millennio, le modalità con cui garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze".

Concetti tornati e spiegati ancora nell'intervista citata (consuetudine di ogni "ritorno" a Roma da un viaggio internazionale) sull'aereo, parlando del "primato di Pietro" (ovvero di Roma e del suo vescovo) che da sempre divide cattolicesimo e ortodossia. "Si deve portare avanti", chiede Francesco, "quella domanda che aveva fatto Giovanni Paolo II: 'aiutatemi a trovare una forma di Primato su cui possiamo andare d’accordo'", detto parafrasando il "rivoluzionario" passo dell'enciclica wojtyliana "Ut unum sint" sull'ecumenismo (paragrafo 95, "trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova").

Primato che di per sé gli ortodossi non mettono in discussione: "anche loro lo vogliono", ha riferito Bergoglio, ma ci vuole un "accordo", una "forma che sia più conforme a quella dei primi secoli", quando cioè la preminenza di Roma sulle altre sedi non era ancora rigidamente delineata come ora. La questione è "come" esercitare quel "ministero" di successore di Pietro (il Papato) che per la Chiesa cattolica è "segno visibile e garante dell'unità della Chiesa" (Ut unum sint 88), per la maggior parte degli altri cristiani invece una "difficoltà". Bisognerebbe mettere tutti i teologi in un'isola, "che pensino", sospirava 50 anni fa il Patriarca costantinopolitano Atenagora, citato durante l'intervista. E anche così, dicevamo, Francesco dubita (e non si fa remore nell'affermarlo) che una soluzione a così intricate questioni salterebbe fuori. Frattanto però bisogna pur andare avanti, "non si può aspettare: l’unità è un cammino, un cammino che si deve fare, che si deve fare insieme". C'è anche l'ecumenismo "spirituale", vale a dire "pregare insieme, lavorare insieme, tante opere di carità, tanto lavoro che c’è…", secondo Bergoglio; c'è l'ecumenismo del sangue, quando "gli odierni persecutori dei cristiani" li ammazzano non certo chiedendosi "a quale Chiesa appartengono le loro vittime", Bartolomeo denunciava durante la Divina liturgia di ieri: e intanto, aggiungeva, "per tutto il tempo che noi siamo impegnati nelle nostre dispute il mondo vive la paura della sopravvivenza e l'ansia del domani", tra guerre, povertà, disastri ecologici.

Quanto a Francesco, ancora, di tre giorni di viaggio in Turchia con tema ecumenismo in primo piano "quello che io sento di più profondo in questo cammino dell’unità è l’omelia che ho fatto ieri (sabato, alla messa coi cattolici, ndr), sullo Spirito Santo. Soltanto il cammino dello Spirito Santo è quello giusto, perché Lui è sorpresa, Lui ci farà vedere dov’è il punto; è creativo…", ha raccontato infine ai giornalisti; purché la Chiesa la smetta, però, con "l’abitudine peccatrice di guardare troppo se stessa, come se credesse di avere luce propria". Perché "quando la Chiesa guarda troppo se stessa", allora "vengono le divisioni". Il problema, recita un altro efficace passaggio di quella intervista, é non diventare una "ONG teologica".

Ecco perché, vien da commentare, eventi come l'incontro ultimo del Papa con Bartolomeo lasciano la netta, incoraggiante sensazione di un cammino che avanza nonostante gli ostacoli, un desiderio di unità vivo ancora nonostante la fatica, senza il quale nessun serio dialogo ecumenico sarebbe possibile in partenza. Perché "un autentico dialogo", sono parole di Francesco ieri al Fanar, "è sempre un incontro tra persone con un nome, un volto, una storia, non soltanto un confronto tra idee". E nel mondo di oggi, ha ammonito, non possiamo non ascoltare le voci che "si levano con forza" chiedendo ai cristiani di "vivere fino in fondo l'esser discepoli del Signore Gesù Cristo: i poveri, le vittime delle guerre, i giovani, proprio quelli che oggi, vedi esperienze come la Comunità di Taizé, reclamano più di tutti passi in avanti verso la piena unità: e "non perché ignorino il significato delle divisioni", semmai perché "son capaci di cogliere l'essenziale che già ci unisce".


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