mercoledì, dicembre 10, 2014
Presentato il Messaggio per la 48° Giornata della pace (1 gennaio 2015) 

di Paolo Fucili

Anche gesti piccoli, quotidiani, “di fraternità”, possono avere – papa Francesco assicura – un “grande valore”. Perché la schiavitù, che un tempo era addirittura un istituto “generalmente accettato e regolato dal diritto”, sebbene formalmente abolita nel mondo intero ancora riguarda milioni e milioni di uomini. Per sconfiggere un così grande fenomeno, Bergoglio chiede perciò a tutti gli evangelici “uomini di buona volontà” una “mobilitazione” altrettanto grande. Ma per non rimanere – come il rischio è grande in questi casi – troppo sul vago, pensiamo a “quando dobbiamo scegliere se acquistare prodotti che potrebbero ragionevolmente essere stati realizzati attraverso lo sfruttamento di altre persone”, suggerisce il messaggio papale per la prossima Giornata mondiale della pace, edizione numero 48 in agenda il prossimo Capodanno 2015.

Giornata che il Papa in persona desidera sia dedicata all’impegnativo tema “Non più schiavi ma fratelli”, sulla scorta delle fitte sei pagine presentate stamane in Sala stampa vaticana. Dove già il secondo paragrafo ammonisce senza mezzi termini che “la sempre diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo” è una grave ferita inferta alla “vocazione a tessere relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità”. E di questo “abominevole fenomeno”, Francesco lo condanna, non manca una dettagliata descrizione.

In barba dunque al diritto internazionale, ci sono lavoratori e lavoratrici schiavizzati nei campi, nelle case, nelle fabbriche e nelle miniere, sia nei paesi dove la legislazione è più flessibile, sia in quelli dove è più rigida. Papa Bergoglio pensa poi ai migranti “privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente”. Alcuni di essi, “per rimanere nella legalità, accettano di vivere e lavorare in condizioni indegne”, annota il messaggio con accenti decisamente critici verso “le legislazioni nazionali” che “creano o consentono una dipendenza strutturale del lavoratore migrante rispetto al datore di lavoro, ad esempio condizionando la legalità del soggiorno al contratto di lavoro”.

L’elenco prosegue con prostituti e prostitute, tra cui “molti minori”, schiavi sessuali, donne costrette al matrimonio senza consenso, anche nel caso che siano date in moglie ad un familiare del primo marito morto. Infine adulti e bambini “fatti oggetto di traffico e di mercimonio per l’espianto di organi, per essere arruolati come soldati, per l’accattonaggio”, per finire con “forme mascherate di adozione internazionale” e persino uomini e donne “asserviti” da “gruppi terroristici” come combattenti e schiave sessuali.

Segue disamina delle “cause profonde” della schiavitù, alla cui radice, ieri come oggi, per Francesco c’è sempre in estrema sintesi “una concezione della persona umana che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto”, perché “quando il peccato corrompe il cuore dell’uomo e lo allontana dal suo Creatore e dai suoi simili, questi ultimi non sono più percepiti come esseri di pari dignità”. Accanto a questa causa “ontologica”, la chiama il Pontefice, ci sono povertà, esclusione, sottosviluppo, specie “quando essi si combinano con il mancato accesso all’educazione o con una realtà caratterizzata da scarse, se non inesistenti, opportunità di lavoro”.

Spesso infatti gli schiavi, osserva il messaggio, sono persone che cercando di uscire dalla povertà estrema, “spesso credendo a false promesse di lavoro”, così son finite in mano a criminali che sanno peraltro usare bene a questo scopo “le moderne tecnologie informatiche”. Ma tra conflitti armati, violenze, criminalità e terrorismo con cui l’elenco prosegue, l’annotazione più dura è quella che denuncia la corruzione come causa di schiavitù, altro monito ricorrente negli interventi del Papa, giacché “l’asservimento ed il traffico delle persone umane richiedono una complicità che spesso passa attraverso la corruzione degli intermediari, di alcuni membri delle forze dell’ordine o di altri attori statali o di istituzioni diverse, civili e militari”, in nome del solito “dio denaro”.

Alla “indifferenza generale” che è l’impressione, secondo Bergoglio, del clima in cui la moderna schiavitù prospera, si contrappone “l’enorme lavoro silenzioso” – lo elogia Francesco – di varie congregazioni religiose femminili. Presenti per l’appunto oggi in sala stampa, alla presentazione del Messaggio, diverse rappresentati della rete Talithà kum, nata nel 2009, attiva oggi in ben 81 paesi, grazie all’impegno di più di mille suore di vari istituti e nazionalità. Per suor Gabriella Bottani, comboniana, responsabile di Talitha kum, il Messaggio papale di oggi è un aiuto “a risvegliare in noi l’insopprimibile anelito alla fraternità”, contro “ogni forma di sfruttamento e mercificazione della vita”.

Ma siccome neppure questo “immenso lavoro” può bastare, Francesco sollecita in conclusione l’impegno comune dei diversi attori della società: gli Stati, perché le loro leggi su migrazioni, lavoro, adozioni e non da ultimo delocalizzazione delle imprese “siano realmente rispettose della dignità della persona” e “non lascino spazio alla corruzione”; le imprese, che devono “garantire ai loro impiegati condizioni di lavoro dignitose e stipendi adeguati” e pure “vigilare affinché forme di asservimento o traffico di persone umane non abbiano luogo nelle catene di distribuzione”; infine i consumatori, a cui il Papa ricorda – sulla scorta della Caritas in veritate del predecessore Benedetto XVI - che “acquistare” scegliendo l’uno o l’altro prodotto “è sempre un atto morale, oltre che economico». Perché “i consumatori”, ha chiosato il ghanese cardinale Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, “possono esercitare una pressione immensa” su chi produce e commercializza i vari beni.

Presente anche il salesiano mons. Mario Toso, segretario dello stesso dicastero, secondo cui la sopravvivenza ancora oggi della schiavitù “è un dato sconfortante, che testimonia in parte il fallimento non solo della politica, ma anche delle società contemporanee, della loro cultura, dei loro ethos”.


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