Su pressioni del governo cinese, Kathmandu ha deciso di non fornire più ai profughi tibetani i documenti necessari per raggiungere l'India, residenza del Dalai Lama e del suo governo in esilio. Lo sdegno della società civile: "Vi siete venduti a Pechino".
di Christopher Sharma
Kathmandu (AsiaNews) - Il governo nepalese ha deciso di negare i documenti e persino lo status di "rifugiato politico" ai tibetani che arrivano sul proprio territorio dalla Cina. Nonostante Kathmandu sia stata per decenni il tradizionale "corridoio" verso Dharamsala - città indiana, sede del governo tibetano in esilio e dimora del Dalai Lama - le pressioni di Pechino hanno convinto l'esecutivo a invertire la rotta. Attivisti per i diritti umani denunciano: "Profughi svenduti in nome dell'economia".
Shes Narayan Poudel, capo della Commissione nazionale per il coordinamento dei rifugiati, conferma: "Abbiamo deciso di non fornire più ai tibetani i documenti da rifugiati. Se continuassimo a riconoscerli come tali, dovremmo affrontare nuove ondate migratorie. E non abbiamo più spazio". Senza il riconoscimento ufficiale, i profughi in Nepal non hanno il permesso di spostarsi dai campi d'accoglienza e tanto meno possono lavorare. Al momento sono circa 20mila i tibetani nel Paese, sparsi in 21 centri.
Una fonte governativa, anonima, spiega: "Il governo cinese ha esercitato forti pressioni su quello nepalese per fermare questa pratica. Secondo Pechino, non si possono considerare rifugiati politici perché in Tibet non c'è repressione religiosa o etnica. La Cina vuole anche che il Nepal rimandi indietro coloro che chiedono accoglienza".
Secondo diversi attivisti per i diritti umani, la questione è puramente economica. Al momento Kathmandu sta portando avanti una politica di riavvicinamento alla Cina dopo anni di cooperazione con l'India e non vuole irritare i nuovi possibili partner. Tuttavia, la situazione dei tibetani in Nepal e questa decisione del governo hanno provocato lo sdegno della società civile.
Subidh Pykurel, attivista per i diritti umani, dice: "Il governo dovrebbe trattare allo stesso modo tutti coloro che chiedono protezione. Senza documenti, i rifugiati vivono agli arresti domiciliari e questo non è giusto". Kapil Shresth, docente universitario, aggiunge: "La situazione peggiore è quella dei genitori, con documenti, che hanno figli sprovvisti dei permessi. Non si può ignorare il diritto internazionale, il governo deve ripensare a questa scelta".
Kathmandu (AsiaNews) - Il governo nepalese ha deciso di negare i documenti e persino lo status di "rifugiato politico" ai tibetani che arrivano sul proprio territorio dalla Cina. Nonostante Kathmandu sia stata per decenni il tradizionale "corridoio" verso Dharamsala - città indiana, sede del governo tibetano in esilio e dimora del Dalai Lama - le pressioni di Pechino hanno convinto l'esecutivo a invertire la rotta. Attivisti per i diritti umani denunciano: "Profughi svenduti in nome dell'economia".
Shes Narayan Poudel, capo della Commissione nazionale per il coordinamento dei rifugiati, conferma: "Abbiamo deciso di non fornire più ai tibetani i documenti da rifugiati. Se continuassimo a riconoscerli come tali, dovremmo affrontare nuove ondate migratorie. E non abbiamo più spazio". Senza il riconoscimento ufficiale, i profughi in Nepal non hanno il permesso di spostarsi dai campi d'accoglienza e tanto meno possono lavorare. Al momento sono circa 20mila i tibetani nel Paese, sparsi in 21 centri.
Una fonte governativa, anonima, spiega: "Il governo cinese ha esercitato forti pressioni su quello nepalese per fermare questa pratica. Secondo Pechino, non si possono considerare rifugiati politici perché in Tibet non c'è repressione religiosa o etnica. La Cina vuole anche che il Nepal rimandi indietro coloro che chiedono accoglienza".
Secondo diversi attivisti per i diritti umani, la questione è puramente economica. Al momento Kathmandu sta portando avanti una politica di riavvicinamento alla Cina dopo anni di cooperazione con l'India e non vuole irritare i nuovi possibili partner. Tuttavia, la situazione dei tibetani in Nepal e questa decisione del governo hanno provocato lo sdegno della società civile.
Subidh Pykurel, attivista per i diritti umani, dice: "Il governo dovrebbe trattare allo stesso modo tutti coloro che chiedono protezione. Senza documenti, i rifugiati vivono agli arresti domiciliari e questo non è giusto". Kapil Shresth, docente universitario, aggiunge: "La situazione peggiore è quella dei genitori, con documenti, che hanno figli sprovvisti dei permessi. Non si può ignorare il diritto internazionale, il governo deve ripensare a questa scelta".
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