lunedì, settembre 08, 2014
Ripercorriamo la carriera artistica di Fabrizio Moro, cantautore tra i migliori della nuova generazione che rinnova con qualità e talento il panorama moderno della canzone italiana d'autore. 

intervista di Simona Santullo 



Metti una sera di fine agosto purtroppo un po’ freddina, delle persone speciali, un castello del 1300 meravigliosamente conservato e immerso in un suggestivo scenario naturale. Prendi poi un grande nome della musica indipendente italiana e l’atmosfera si accende subito di magico. Ne verrà fuori una bellissima serata di musica, poesia e magia, dove a far battere il cuore del pubblico , è bastata la bellissima voce e le belle canzoni di Fabrizio Moro. È stato davvero un piacere incontrarlo e conoscerlo. È un bravissimo cantautore, apprezzato e amato dal pubblico nell’immenso panorama musicale italiano. Ha avuto il coraggio di seguire il suo cuore e la sua passione affermando giorno dopo giorno la sua unicità, la sua libertà e il suo “ Sono Come Sono” rifiutandosi di indossare una maschera che qualcuno, forse, avrebbe voluto costruire per lui. Le sue canzoni sono lo specchio sincero di ciò che pensa, - cosa fondamentale nel suo essere artista, - di ciò in cui crede, di come vede la vita e la affronta giorno dopo giorno, con i pro e i contro che la vita stessa riserva a tutti noi. È un ragazzo sensibile ed emozionale, ma anche libero nell’animo e nel cuore, e questo suo essere lo rende davvero un ragazzo speciale e irresistibilmente affascinante.

D.- Inizi con la musica da giovanissimo, avevi quindici anni. Te la ricordi quella canzone?

R.- Certo che me la ricordo, come ricordo tante altre cose che ho scritto in quell’arco di tempo. In realtà ho iniziato a suonare all’età di dodici anni e dopo un po’ di tempo ho iniziato a scrivere le prime cose. Ho sempre avuto il vizio di scrivere i miei pensieri sul diario, sui fogli di carta sin dalle scuole elementari. Sono sempre stato bravo in italiano e storia piuttosto che in matematica. Mi è sempre piaciuta la poesia, la letteratura. Ho iniziato a scrivere da sempre e ancora oggi mi chiedono perché faccio questo lavoro. Faccio questo lavoro perché soltanto attraverso la musica riesco a esprimermi a 360 gradi. Quando sto sul palco e ho gli strumenti addosso, mi sento protetto.

D.- E’ una corazza quindi?

R.- Assolutamente sì. Attraverso la musica riesco a esprimere quello che non riesco a esprimere quando sono con un amico a prendere una birra o quando sono con le persone che mi conoscono pochissimo. Se non ci fosse stata la musica non so che cosa avrei fatto.


D.- Il successo arriva nel 2007 partecipando a Sanremo con “ Pensa”. Come ti è cambiata la vita e che effetto ha avuto su di te? 

R.- Dal punto di vista pratico è cambiata tantissimo perché ho iniziato a vivere con il lavoro che amo. Da questo punto di vista mi ritengo una persona che è stata ostinata e che ha ricercato questa condizione. Soprattutto mi ritengo un ragazzo molto fortunato rispetto a molti altri miei coetanei. Io a trentanove anni suonati riesco a fare e a vivere con ciò che ho sempre voluto fare. Questo è stato il primo, grande e importante cambiamento che c’è stato e che poi logicamente si è riflesso anche sulla parte emotiva. Rispetto a dieci anni fa sono una persona molto più equilibrata. Poi ci sono anche i contro, non sono tutti “pro” anche se le persone vedono la parte più bella rappresentata dalle luci, dal palco, il lato economico il successo… in tutto questo ci sono anche una serie di pressioni e di frustrazioni da sopportare, ma sarebbe troppo lunga parlarne qui.

D.- I giornalisti hanno sempre cercato di attribuirti l’appellativo di “Cantautore impegnato”, ma tu hai sempre rifiutato questa etichetta. Eppure le tue canzoni spesso rendono evidente i disagi quotidiani. Come mai questo rifiuto?

R.- Perché “impegnato” è un aggettivo che lascia il tempo che trova. Che vuol dire impegnato? Se per impegnato intendiamo un autore che attraverso le proprie opere cerca anche di esprimere un disagio esistenziale, sociale o politico, soprattutto in questo momento storico, allora sì, magari sono un cantautore impegnato. La realtà è che soprattutto negli ultimi vent’anni siamo stati abituati – e in questo momento mi metto dalla parte del pubblico – ad ascoltare un po’ troppe stupidaggini. Sono uno che, per fortuna o purtroppo – e questo ancora non l’ho capito – prende le cose un po’ troppo sul serio.

D.- Le tue canzoni quindi sono delle fotografie, delle vicende autobiografiche e in questo modo racconti quella che poi è la vita. Come nasce una tua canzone?

R.- in realtà non l’ho ancora capito… è difficile esprimere questo punto di vista. Sicuramente ci sono dei momenti in cui nascono quasi per caso, non le cerco. Ci sono delle volte che è come se non fossi io a scriverle ma una mano invisibile che mi fruga nella testa e a un certo punto ci mette l’idea giusta. Ne parlavo un po’ di tempo fa con Vincenzo Mollica e gli dicevo che dopo circa vent’anni che scrivo canzoni ancora non ho capito cosa succede, qual è l’alchimia che s’instaura tra me, il mio strumento e l’ambiente circostante. Ci sono poi dei momenti, e questo è successo soprattutto con l’ultimo album “L’Inizio”, che sto lì a ricercare continuamente delle idee nuove e finché non trovo il punto di partenza divento una persona insopportabile. Se non riesco a essere soddisfatto di quello che ho tra le mani non riesco a vivere bene neanche con le persone a me care. Quando poi riesco a trovare “la punta di diamante”, il punto di partenza da cui poi posso esprimere tutto il lavoro di un nuovo album, allora mi sento una persona più tranquilla, più equilibrata e riesco a dormire anche meglio. Questo è un momento in cui devo riiniziare a scrivere e ho un po’ paura, ma sono felice di non avere dei vincoli contrattuali perché posso permettermi di fare un disco ogni tre o quattro anni. Sono del parere che se ho qualche cosa da dire, allora scrivo il mio album senza stare lì a rispettare clausole e contratti che mi impongono delle uscite, e se non le rispetto c’è la penale. Oggi come oggi io non riuscirei a lavorare in quel modo lì, difatti tra la data di pubblicazione del penultimo album “ Ancora Barabba” e questo nuovo album sono passati circa tre anni. Al presidente di un’ipotetica Universal o Sony gli prenderebbe un colpo…

D.- Oltre che a scrivere per te hai scritto anche per altri artisti, Emma Marrone, Noemi… Come cambia la prospettiva, l’approccio da autore a cantautore?

R.- Nel mio caso è molto sottile la differenza perché in realtà io non scrivo per altri, io scrivo cose per me che rappresentano la mia condizione. Poi ci sono cose che vanno a finire nell’album e ci sono cose che vanno a finire nel cassetto ma non perché sono degli scarti, semplicemente perché sono dei brani che magari dopo qualche mese non mi rappresentano più. Quei brani lì poi li immagino addosso a un altro artista, a un’altra interprete. Avevo un sogno: quello di trovare un’interprete femminile che potesse dare voce alle mie idee, come è stata Mia Martini per Fossati. Ho iniziato con Veronica, ho continuato a scrivere per Emma, ho scritto per Curreri… ho scritto per una serie di artisti e continuerò a farlo, ma comunque quelli sono pezzi che nascono per essere cantati da Fabrizio Moro. Quando poi li propongo ad altri interpreti, loro hanno i loro produttori, i loro arrangiamenti e “cuciono” addosso all’interprete l’idea iniziale di Fabrizio, ma fondamentalmente Fabrizio scrive per se, non mi ritengo un “sarto” come venivano definiti negli anni ’70 e ’80 i grandi autori. Ho lavorato per circa tre anni con uno dei più grandi sarti della musica italiana Giancarlo Bigazzi, e lui mi raccontava che individuava l’interprete che più gli piaceva e addosso a quell’interprete cuciva esattamente il vestito. Ha fatto centro più di una volta.

D.- “ l’Inizio” è il tuo ultimo album. Con quest’album fai una scelta importante, una scelta radicale che cambia la tua vita. Dieci canzoni tutte bellissime, soffermiamoci su alcune. “ Babbo Natale esiste” quando l’ho ascoltata ho pianto. So che è dedicata a una persona molto importante per la tua vita, tuo figlio. 

R.- Quando ho riascoltato quel pezzo è stato il momento in cui ho capito che avevo chiuso con il passato, avevo chiuso un cerchio e lo avevo chiuso nel migliore dei modi. Una sera mi trovavo nello studio a casa dove vivevo prima e c’era mio figlio che stava dormendo sul divano lì con me. Lui ha il vizio che ogni tanto viene giù a giocare con gli strumenti, e quella sera si era addormentato accanto al pianoforte. Questa canzone è nata guardandolo, mentre dormiva. Non ricordo bene se fosse il giorno prima della Vigilia di Natale o il giorno prima ancora, comunque eravamo in quel periodo, e mi ricordo che ho chiuso questo brano alle due di notte e sono praticamente impazzito perché credevo di aver scritto una cosa perfetta, secondo il mio punto di vista soggettivo, e ho riascoltato il brano dalle due alle sei di mattina, ripetutamente. Ricordo che andavo in cucina, facevo il tè, tornavo e riascoltavo il pezzo. Accendevo la televisione, facevo passare un quarto d’ora venti minuti e poi lo riascoltavo…non riuscivo a credere di aver scritto una cosa così bella per mio figlio. La cercavo ma quando vai a trattare certi argomenti rischi sempre di essere un po’ banale. Invece ho trovato la chiave per descrivere l’amore che io provo nei suoi confronti, che è poi quella dei super eroi, dei suoi giochi. Attraverso i suoi giochi e attraverso il suo mondo sono tornato bambino anch’io. Mio figlio è la cosa che mi fa meglio, ed è anche la cosa che mi fa peggio perché guardandolo io rivivo la mia infanzia e non lo so cosa succede, lui è capace di tirare fuori quell’amore estremo che è nascosto dentro di me, e questa cosa mi rende particolarmente fragile. Ci sono delle volte in cui lo guardo dormire e mi sento un uomo invincibile, altre volte invece mi sento fragilissimo e quando mi sento un uomo fragilissimo sto male. Questo è l’effetto che mi fa mio figlio.

D.-“ L’Italia è di tutti”. Questa di oggi non è una bellissima Italia, ma perché noi non facciamo nulla per cambiare le cose?

R.- No, non è una bellissima Italia. Al di là del colore politico e di quello che ho espresso attraverso questi brani musicali e attraverso questi anni, la cosa che più mi da fastidio è che questa, secondo me, è un’Italia dove non c’è ancora un nuovo punto di partenza e credo non ci sarà mai. Noi abbiamo i docenti universitari con l’età media più alta d’Europa e questo vale anche per i politici, per quello che riguarda le amministrazioni… è un paese vecchio. In questo paese vorrei vedere Andrea Perroni che so, presentare il Festival di Sanremo e un cantante indipendente riempire lo stadio Olimpico, e invece no, sono costretto a vedere sempre le stesse facce sia per quanto riguarda la politica, sia per quanto riguarda l’arte, o per quello che riguarda i tuoi colleghi giornalisti.

D.- “L’Eternità” Fabrizio. È stupenda.

R.- Sai che ancora non ho capito perché l’ho scritta. In realtà quando scrivo una canzone d’amore non penso mai alla mia attuale compagna ma penso un po’ a tutte le donne che mi hanno accompagnato nel corso della mia vita. È dedicata alla donna della mia vita che ho in questo momento, ma anche a tutte quelle che ci sono state, che sono state importanti e che mi hanno poi reso l’uomo che sono, una persona migliore.

D.- Hai partecipato a un programma televisivo molto bello: “ Sbarre”. Che cosa ti hanno lasciato i ragazzi del Carcere di Rebibbia?

R.- Ho assaporato davvero quella che è la libertà. Ho capito cosa significa godere della propria libertà fisica e intellettuale. Stavamo chiusi lì dentro circa otto ore al giorno, e ogni volta che mi rimettevo in macchina o prendevo il motorino per tornare a casa mia, apprezzavo ogni centimetro quadrato che era intorno a me, il traffico romano… apprezzavo qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa diventava molto, molto più bella di quello che era prima di fare questa esperienza. Ho conosciuto delle persone della mia età che giustamente rimarranno a vita lì dentro, e questo è un pensiero che mi fa veramente paura. Io non so quale condizione psichica può scattare in un ragazzo di trentacinque anni che sa che sarà costretto, spesso, per sua colpa ovviamente, a rimanere chiuso per il resto della sua vita dentro quelle quattro mura. È veramente dura ed è un’esperienza che mi ha segnato fortemente e che mi ha fatto capire che è meglio rigare sulla retta via.

D.- “Io so tutto”, “ Fermi con le mani” “ Barabba”, pezzi bellissimi, forti e che raccontano la realtà di oggi. Alcuni dei quali però censurati dalle radio. Come ti sei sentito?

R.- All’inizio me la sono un po’ presa. Mi ricordo la prima volta che ho cantato Barabba in pubblico, ero a Trieste durante un concerto organizzato da Radio Italia, io cambiai la scaletta e cantai questo brano e il direttore della radio chiamò il mio manager e gli chiese come mi ero permesso di cantare una cosa del genere sul palco e aggiunse che non lo avrebbe trasmesso mai più. Ci rimasi male perché mi sentii imbavagliato. Fino a prova contraria viviamo in una democrazia e se io non la penso come tante altre persone è giusto che lo dica e che lo canti. Poi è anche giusto essere accusato o offeso a volte, perché io lo faccio e l’ho fatto nei confronti di altre persone che non rispetto, però essere ghettizzato e boicottato dal sistema... è stata una brutta sensazione. Questa cosa che è successa anche durante il concerto di Roma che ho fatto a Capannelle il luglio scorso e dove c’erano oltre quattromila paganti. Quel concerto quella sera era l’evento più importante che ci fosse a Roma e nessuna testata giornalistica ne ha parlato, eccetto il Tempo di Stefano Mannucci. Gli altri giornali hanno fatto finta che l’evento non esistesse perché ovviamente quando ti schieri politicamente ed esprimi il tuo pensiero inevitabilmente ti fai dei nemici. So che tutto questo fa parte del gioco, ma io ho scelto di esprimere le mie idee fino in fondo e di portare avanti un discorso e continuerò a farlo.

D.- 2013 – 2014. Hai fatto un mega tour, hai girato l’Italia in lungo e in largo con un pubblico fantastico perché hai sempre avuto il massimo. Qual è il ricordo più bello che porti con te?

R.- Di ricordi belli ce ne sono tantissimi perché ho un rapporto sanguinino con il mio pubblico. Ogni serata diventa speciale, ci sono dei momenti in cui guardo i ragazzi delle prime file e mi rendo conto attraverso i loro sguardi e l’amore che mi esprimono, che sto creando qualche cosa d’importante, qualche cosa di grande e questa è una sensazione che mi da una forza incredibile. Gli sguardi dei ragazzi delle prime file è il ricordo più bello che porto con me. Io ringrazio tutti loro dell’affetto e della possibilità che mi stanno dando, e cerco sempre di farlo nel miglior modo possibile. Credo che questo rapporto non cambierà mai perché quello che davvero m’interessa è arrivare al cuore e alla testa di tanti ragazzi.

D.- Ok Fabrizio, so che devi fare il soundcheck e ti stanno aspettando tantissime persone quindi ti lascio andare, ma il prossimo album lo presentiamo su LPLNEWS24, giusto?

R.- Come no, sicuramente, ma non so quanto tempo passerà… Ciao Fabrizio, grazie per il tempo che ci hai concesso e per la bella serata trascorsa insieme.


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