Salta il cessate il fuoco umanitario nella Striscia di Gaza, iniziato appena stamattina, e sul terreno è di nuovo caos: Hamas rapisce un soldato israeliano, lo Stato ebraico bombarda Rafah. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon si dice “scioccato e deluso” per la situazione. L’Egitto decide di cancellare gli incontri negoziali. Il servizio di Giada Aquilino: ascolta
Radio Vaticana - Sarebbe dovuta durare 72 ore la tregua umanitaria tra Israele e Hamas. Il comunicato dello Stato ebraico sulla fine del cessate il fuoco è arrivato neanche cinque ore dopo l'inizio. Secondo fonti Onu, le armi hanno taciuto “probabilmente 90 minuti”. Per tutta la mattina, si sono susseguite accuse sulle responsabilità delle violazioni. Duri bombardamenti hanno colpito Rafah, dopo il rapimento di un soldato israeliano di cui le Brigate Al-Qassam, l'ala militare di Hamas, hanno rivendicato il sequestro. Fonti locali riferiscono che l'ospedale della città è stato colpito. Sul terreno, ci sarebbero oltre 60 vittime e 250 feriti. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha condannato “nei termini più forti la violazione del cessate il fuoco umanitario da parte di Hamas” e ha chiesto l’immediata liberazione del militare rapito. Stessa posizione degli Stati Uniti, che al Senato hanno approvato risorse aggiuntive per finanziare il sistema missilistico difensivo di Israele. Col precipitare della situazione a Gaza, l’Egitto ha deciso di “cancellare” i colloqui negoziali. Un’immediata soluzione “che ponga fine a questa ennesima carneficina” è stata invocata dal cardinale Vincent Gerard Nichols, arcivescovo di Westminster. “Occorre rimuovere le condizioni strutturali che alimentano l'odio cieco, a partire dall'embargo”, ha spiegato all’agenzia Fides il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal.
“Non odio, alimentiamo rapporti di fraternità”: a sostenerlo è anche Sonia Zelazo, cristiana collaboratrice del "Franciscan Media Center" di Gerusalemme. L’intervista è di Gabriella Ceraso: ascolta
R. – La situazione è veramente tragica. Aumenta l'ostilità e in questi giorni si è arrivati anche all’odio fra l’uno e l’altro. C’è soprattutto paura nelle persone. Addirittura, alcuni dei nostri amici arabi, per esempio, non si muovono più nelle zone ebraiche perché hanno paura che possano fare loro del male e viceversa... E magari, quello che si è costruito per anni e anni, anche nel campo del dialogo, sembra perso. Ma non è esattamente così, ed è un peccato che se ne parli così poco sulla stampa. Ci sono tante persone che si impegnano. Ci sono artisti, medici, avvocati, giovani di varie religioni, da tutti e due i lati, che si incontrano e che si ritrovano insieme per le preghiere. Oggi, per esempio, nella chiesa latina qui, a Gerusalemme, tutta la Chiesa si unisce a pregare. Poi, ci sono anche quelli che hanno ancora il coraggio di credere nella convivenza. Di questo si dovrebbe veramente parlare di più. Non ci sono più arabi ed ebrei: ci sono estremisti e persone normali.
D. – C’è un tentativo dunque di ricucire uno strappo che invece, a livello politico, sembra assolutamente compiuto e inconciliabile?
R. – A livello politico, penso che nessuno speri. Netanyahu ha detto chiaramente che assolutamente andrà fino in fondo. Però, veramente è anche tanto difficile capire la situazione, perché abbiamo sentito anche il nostro padre di Gaza che dice che, quando c’è la tregua, Hamas comincia a lanciare missili addirittura dai punti nei quali si trova la gente… La cosa certa, che anche tanti israeliani dicono, è che la risposta è sproporzionata. Ero qui nel 2009 e sono andata a Gaza al termine della guerra di allora: c’era distruzione però esisteva ancora la città. Non so invece cosa esista adesso. Però, c’è anche una cosa straordinaria da dire tra quei pochi cristiani che sono lì: quanto bene e amore reciproco tra loro. Per me, ti confesso, è eroico! Non so se avrei il coraggio di continuare ad amare… Spero che questa testimonianza sia per noi tutti un incoraggiamento nelle nostre situazioni quotidiane, per non arrenderci davanti alle difficoltà. Penso che il compito nostro, veramente grande, sia oggi di promuovere qualsiasi – qualsiasi! – iniziativa di buona volontà tra tutte le religioni per dare voce veramente a quella maggioranza silenziosa che vuole coesistenza, vuole vivere con gli altri.
D. – Che cosa è rimasto, secondo te, di quella presenza del Papa a Gerusalemme, di quell’abbraccio a tre davanti al Muro del pianto o della preghiera comune fatta in Vaticano?
R. – Penso sia tanto più importante e tanto più viva di quello che si pensi. Penso che quella presenza qui a Gerusalemme ci abbia incoraggiato e continui: continua a darci il coraggio di non perdere ogni occasione per promuovere rapporti veri, rapporti fraterni. Solo così si cambia la storia.
Radio Vaticana - Sarebbe dovuta durare 72 ore la tregua umanitaria tra Israele e Hamas. Il comunicato dello Stato ebraico sulla fine del cessate il fuoco è arrivato neanche cinque ore dopo l'inizio. Secondo fonti Onu, le armi hanno taciuto “probabilmente 90 minuti”. Per tutta la mattina, si sono susseguite accuse sulle responsabilità delle violazioni. Duri bombardamenti hanno colpito Rafah, dopo il rapimento di un soldato israeliano di cui le Brigate Al-Qassam, l'ala militare di Hamas, hanno rivendicato il sequestro. Fonti locali riferiscono che l'ospedale della città è stato colpito. Sul terreno, ci sarebbero oltre 60 vittime e 250 feriti. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha condannato “nei termini più forti la violazione del cessate il fuoco umanitario da parte di Hamas” e ha chiesto l’immediata liberazione del militare rapito. Stessa posizione degli Stati Uniti, che al Senato hanno approvato risorse aggiuntive per finanziare il sistema missilistico difensivo di Israele. Col precipitare della situazione a Gaza, l’Egitto ha deciso di “cancellare” i colloqui negoziali. Un’immediata soluzione “che ponga fine a questa ennesima carneficina” è stata invocata dal cardinale Vincent Gerard Nichols, arcivescovo di Westminster. “Occorre rimuovere le condizioni strutturali che alimentano l'odio cieco, a partire dall'embargo”, ha spiegato all’agenzia Fides il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal.
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R. – La situazione è veramente tragica. Aumenta l'ostilità e in questi giorni si è arrivati anche all’odio fra l’uno e l’altro. C’è soprattutto paura nelle persone. Addirittura, alcuni dei nostri amici arabi, per esempio, non si muovono più nelle zone ebraiche perché hanno paura che possano fare loro del male e viceversa... E magari, quello che si è costruito per anni e anni, anche nel campo del dialogo, sembra perso. Ma non è esattamente così, ed è un peccato che se ne parli così poco sulla stampa. Ci sono tante persone che si impegnano. Ci sono artisti, medici, avvocati, giovani di varie religioni, da tutti e due i lati, che si incontrano e che si ritrovano insieme per le preghiere. Oggi, per esempio, nella chiesa latina qui, a Gerusalemme, tutta la Chiesa si unisce a pregare. Poi, ci sono anche quelli che hanno ancora il coraggio di credere nella convivenza. Di questo si dovrebbe veramente parlare di più. Non ci sono più arabi ed ebrei: ci sono estremisti e persone normali.
D. – C’è un tentativo dunque di ricucire uno strappo che invece, a livello politico, sembra assolutamente compiuto e inconciliabile?
R. – A livello politico, penso che nessuno speri. Netanyahu ha detto chiaramente che assolutamente andrà fino in fondo. Però, veramente è anche tanto difficile capire la situazione, perché abbiamo sentito anche il nostro padre di Gaza che dice che, quando c’è la tregua, Hamas comincia a lanciare missili addirittura dai punti nei quali si trova la gente… La cosa certa, che anche tanti israeliani dicono, è che la risposta è sproporzionata. Ero qui nel 2009 e sono andata a Gaza al termine della guerra di allora: c’era distruzione però esisteva ancora la città. Non so invece cosa esista adesso. Però, c’è anche una cosa straordinaria da dire tra quei pochi cristiani che sono lì: quanto bene e amore reciproco tra loro. Per me, ti confesso, è eroico! Non so se avrei il coraggio di continuare ad amare… Spero che questa testimonianza sia per noi tutti un incoraggiamento nelle nostre situazioni quotidiane, per non arrenderci davanti alle difficoltà. Penso che il compito nostro, veramente grande, sia oggi di promuovere qualsiasi – qualsiasi! – iniziativa di buona volontà tra tutte le religioni per dare voce veramente a quella maggioranza silenziosa che vuole coesistenza, vuole vivere con gli altri.
D. – Che cosa è rimasto, secondo te, di quella presenza del Papa a Gerusalemme, di quell’abbraccio a tre davanti al Muro del pianto o della preghiera comune fatta in Vaticano?
R. – Penso sia tanto più importante e tanto più viva di quello che si pensi. Penso che quella presenza qui a Gerusalemme ci abbia incoraggiato e continui: continua a darci il coraggio di non perdere ogni occasione per promuovere rapporti veri, rapporti fraterni. Solo così si cambia la storia.
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