"Italia pronta a intervenire in Ucraina" lo dice, secondo Repubblica, la ministra della difesa Pinotti?
Intervenire in una guerra civile, scatenata da un presidente dittatore cacciato dalla piazza, ma poi con un governo "rivoluzionario" che sottovaluta i sentimenti filo russi di una parte della popolazione o intende venirne a capo grazie ai soldi del Fondo Monetario e all'ombrello della Nato?
Lo Stato italiano dovrebbe intervenire piuttosto a Roma dopo quel che è accaduto intorno alla finale di Coppa Italia, Napoli-Fiorentina. I fatti non sono ancora chiari. Si parla di qualche chiosco travolto e del proprietario di uno di questi, ultras romanista, che insegue, armato, un gruppo di tifosi del Napoli urlando "li ammazzo tutti". Ma quel che si è visto, in diretta tv, basta e avanza.
Uno stato che non tratta coi no-tav, quasi fossero le Brigate Rosse, e ignora i no-muos, si mostra a lungo incerto sul da farsi e fa giocare la partita solo dopo aver trattato a lungo co "la curva" e in ossequio a quel volere "popolare". Ci sono persone per bene in curva. Ma i caporioni con cui "si tratta" sono spesso camorristi, fascisti, violenti riuniti in bande.
Non succede niente di simile né in Gran Bretagna, né in Germania, paesi che vi portano a esempio, né a Barcellona. L'ordine pubblico, lo so.A Roma lo stadio è addossato a una collina, in una zona semi centrale, che poteva andar bene nel 1960, non c'è metropolitana né sistema di trasporti adeguato. Ma consiglierei la ministra Pinotti di portarsi dietro il collega Alfano e di proporre al premier Renzi, anziché una guerra, una bella rivoluzione civile intorno e dentro i nostri stadi.
La parola "rivoluzione" campeggia in un'intervista di Matteo Renzi a Cazzullo per il Corriere. Titolo: "c'è chi resiste nella classe dirigente ma il sistema non fermerà la mia rivoluzione". Resistono i sindacati "che non vogliono perdere il loro potere", resiste la burocrazia inefficiente, resiste il Parlamento, del quale il ministro Boschi vuol tagliare un ramo per insediarci consiglieri regionali e forse sindaci, e un altro ministro gli chiede prima di votare la fiducia sul decreto poi lo cambia con accordi extra parlamentari e pretende che lo approvino senza dire nulla, resiste Grillo che si presenta al popolo come un ribelle ma invece è pure lui un camaleonte che si mimetizza nella palude.
Io che ormai sono solo "un senatore in cerca di visibilità, ma che di rivoluzioni credo di averne studiate più del giovane Matteo, mi permetto di suggerirgli che una "rivoluzione" , per essere tale, deve poter contare su strutture popolari di sostegno e controllo. Se non piacciono i Soviet, almeno i "Consigli operai" di Gramsci. Se no non resta che il vecchio Parlamento che, va bene è stato selezionato (come gli ultimi 3) in forza di una legge incostituzionale, ma che resta ancora, se non si può andare al voto, quanto di più simile alla volontà popolare. Certo non sostituibile dalla maggioranza della direzione del Pd, sia pure legittimata da un milione e 800mila voti per Renzi, né dagli accordi con il partito del capo menscevico Angelino Alfano né con quelli del noto socialdemocratico tedesco Silvio Berlusconi.
Gli ideologi alla corte del nuovo Lenin, da Tonini, a Ceccanti, a Fassino, dovrebbero sapere che non ho tutti i torti.
Intervenire in una guerra civile, scatenata da un presidente dittatore cacciato dalla piazza, ma poi con un governo "rivoluzionario" che sottovaluta i sentimenti filo russi di una parte della popolazione o intende venirne a capo grazie ai soldi del Fondo Monetario e all'ombrello della Nato?
Lo Stato italiano dovrebbe intervenire piuttosto a Roma dopo quel che è accaduto intorno alla finale di Coppa Italia, Napoli-Fiorentina. I fatti non sono ancora chiari. Si parla di qualche chiosco travolto e del proprietario di uno di questi, ultras romanista, che insegue, armato, un gruppo di tifosi del Napoli urlando "li ammazzo tutti". Ma quel che si è visto, in diretta tv, basta e avanza.
Uno stato che non tratta coi no-tav, quasi fossero le Brigate Rosse, e ignora i no-muos, si mostra a lungo incerto sul da farsi e fa giocare la partita solo dopo aver trattato a lungo co "la curva" e in ossequio a quel volere "popolare". Ci sono persone per bene in curva. Ma i caporioni con cui "si tratta" sono spesso camorristi, fascisti, violenti riuniti in bande.
Non succede niente di simile né in Gran Bretagna, né in Germania, paesi che vi portano a esempio, né a Barcellona. L'ordine pubblico, lo so.A Roma lo stadio è addossato a una collina, in una zona semi centrale, che poteva andar bene nel 1960, non c'è metropolitana né sistema di trasporti adeguato. Ma consiglierei la ministra Pinotti di portarsi dietro il collega Alfano e di proporre al premier Renzi, anziché una guerra, una bella rivoluzione civile intorno e dentro i nostri stadi.
La parola "rivoluzione" campeggia in un'intervista di Matteo Renzi a Cazzullo per il Corriere. Titolo: "c'è chi resiste nella classe dirigente ma il sistema non fermerà la mia rivoluzione". Resistono i sindacati "che non vogliono perdere il loro potere", resiste la burocrazia inefficiente, resiste il Parlamento, del quale il ministro Boschi vuol tagliare un ramo per insediarci consiglieri regionali e forse sindaci, e un altro ministro gli chiede prima di votare la fiducia sul decreto poi lo cambia con accordi extra parlamentari e pretende che lo approvino senza dire nulla, resiste Grillo che si presenta al popolo come un ribelle ma invece è pure lui un camaleonte che si mimetizza nella palude.
Io che ormai sono solo "un senatore in cerca di visibilità, ma che di rivoluzioni credo di averne studiate più del giovane Matteo, mi permetto di suggerirgli che una "rivoluzione" , per essere tale, deve poter contare su strutture popolari di sostegno e controllo. Se non piacciono i Soviet, almeno i "Consigli operai" di Gramsci. Se no non resta che il vecchio Parlamento che, va bene è stato selezionato (come gli ultimi 3) in forza di una legge incostituzionale, ma che resta ancora, se non si può andare al voto, quanto di più simile alla volontà popolare. Certo non sostituibile dalla maggioranza della direzione del Pd, sia pure legittimata da un milione e 800mila voti per Renzi, né dagli accordi con il partito del capo menscevico Angelino Alfano né con quelli del noto socialdemocratico tedesco Silvio Berlusconi.
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