Le Nazioni Unite provano ancora la “vergogna” di non avere prevenuto il genocidio in Rwanda”.
Radio Vaticana -
Sono le parole del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ieri a Kigali alla cerimonia -presieduta dal capo di Stato rwandese Kagame - che ha dato il via alle commemorazioni per i 20 anni dal genocidio, per ricordare i cento giorni di follia che tra aprile e luglio 1994, videro scatenarsi violenze, massacri, atrocità ad opera di estremisti hutu sulla minoranza tutsi. Oltre 800 mila le vittime. Anche la Francia, esclusa dalle iniziative, ha commemorato le vittime delle atrocità. Per un ricordo del genocidio Fausta Speranza ha intervistato il giovane rwandese Sula Nuwamanya, che collabora con l’associazione internazionale ActionAid: ascolta
R. – Of course what happened in Rwanda... Certamente quello che è accaduto in Rwanda è stato davvero tragico: uno contro l’altro, abbiamo visto fratelli uccidersi. Qualcuno racconta di bambini colpiti alla testa, uccisi di fronte ai familiari, o di donne violentate di fronte ai figli. E’ una storia davvero triste quella che è successa, tremenda per il Rwanda, ed il Paese si è ritrovato in una situazione indicibile. Oggi cerchiamo di ricordare quello che è successo 20 anni fa, la tragedia che abbiamo attraversato, ma cercando il riscatto di cui abbiamo bisogno per ricostruire il nostro Paese, per assicurarci che quello che è accaduto non riaccada mai più. È stato detto che il Rwanda doveva liberare il proprio Paese da una intera etnia - questo è stato il genocidio – e tanti sono stati costretti a vivere in altri Paesi come rifugiati e, dunque, in una situazione davvero difficile, come quella che ho vissuto io in Uganda da rifugiato con i miei genitori, che hanno sofferto molto. Ma anche quelli che sono rimasti in Rwanda non hanno mai condotto una bella vita, perché sono stati divisi: si è deciso quanti tutsi dovevano andare all’università, quanti tutsi dovevano avere un lavoro, quanti hutu dovevano ottenere un lavoro... L’intero Paese è stato diviso e non sarebbe dovuto succedere. Quindi anche dopo il genocidio è stato un momento triste.
D. – Le persone sono riuscite a perdonare?
R. – Yes, looking at what happened… Sì, guardando quello che è successo, le tragedie che hanno attraversato in 20 anni, sono riusciti a dire: “Sì, abbiamo attraversato momenti davvero tragici, ma ora riuniamoci e andiamo avanti”. Oggi non succedono più le stesse cose tra gli hutu e i tutsi. Quindi guardiamo al passato, ma anche al futuro. Si riesce a perdonare, non cercando di dimenticare il passato che è impossibile, ma semplicemente volendo perdonarci.
Radio Vaticana -
Sono le parole del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ieri a Kigali alla cerimonia -presieduta dal capo di Stato rwandese Kagame - che ha dato il via alle commemorazioni per i 20 anni dal genocidio, per ricordare i cento giorni di follia che tra aprile e luglio 1994, videro scatenarsi violenze, massacri, atrocità ad opera di estremisti hutu sulla minoranza tutsi. Oltre 800 mila le vittime. Anche la Francia, esclusa dalle iniziative, ha commemorato le vittime delle atrocità. Per un ricordo del genocidio Fausta Speranza ha intervistato il giovane rwandese Sula Nuwamanya, che collabora con l’associazione internazionale ActionAid: ascolta R. – Of course what happened in Rwanda... Certamente quello che è accaduto in Rwanda è stato davvero tragico: uno contro l’altro, abbiamo visto fratelli uccidersi. Qualcuno racconta di bambini colpiti alla testa, uccisi di fronte ai familiari, o di donne violentate di fronte ai figli. E’ una storia davvero triste quella che è successa, tremenda per il Rwanda, ed il Paese si è ritrovato in una situazione indicibile. Oggi cerchiamo di ricordare quello che è successo 20 anni fa, la tragedia che abbiamo attraversato, ma cercando il riscatto di cui abbiamo bisogno per ricostruire il nostro Paese, per assicurarci che quello che è accaduto non riaccada mai più. È stato detto che il Rwanda doveva liberare il proprio Paese da una intera etnia - questo è stato il genocidio – e tanti sono stati costretti a vivere in altri Paesi come rifugiati e, dunque, in una situazione davvero difficile, come quella che ho vissuto io in Uganda da rifugiato con i miei genitori, che hanno sofferto molto. Ma anche quelli che sono rimasti in Rwanda non hanno mai condotto una bella vita, perché sono stati divisi: si è deciso quanti tutsi dovevano andare all’università, quanti tutsi dovevano avere un lavoro, quanti hutu dovevano ottenere un lavoro... L’intero Paese è stato diviso e non sarebbe dovuto succedere. Quindi anche dopo il genocidio è stato un momento triste.
D. – Le persone sono riuscite a perdonare?
R. – Yes, looking at what happened… Sì, guardando quello che è successo, le tragedie che hanno attraversato in 20 anni, sono riusciti a dire: “Sì, abbiamo attraversato momenti davvero tragici, ma ora riuniamoci e andiamo avanti”. Oggi non succedono più le stesse cose tra gli hutu e i tutsi. Quindi guardiamo al passato, ma anche al futuro. Si riesce a perdonare, non cercando di dimenticare il passato che è impossibile, ma semplicemente volendo perdonarci.
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