In occasione delle celebrazioni per i 450 anni dalla morte dell'artista, l'Accademia fiorentina propone una particolare rassegna, che espone fotografie e tele dall'Ottocento ad oggi che ritraggono alcune delle principali opere del maestro.
Città Nuova - Ecco una mostra davvero indimenticabile e da non perdere. Si entra nella rassegna, si ammirano i pannelli con le foto e i dipinti e poi si esce: c’è l’esplosione. Perché subito ci si imbatte nei colossi dei Prigioni – sembrano ancora più grandi del reale – e si resta sgomenti davanti al gigante, cioè il David. Lo si scopre come fosse la prima volta, immagine di una fierezza immortale, del Rinascimento del '500 e di sempre. Michelangelo appare enorme, immenso dopo queste scoperte. Ecco il senso della mostra fiorentina all’Accademia, fino al 18 maggio (catalogo Giunti, bellissimo). Ma torniamo indietro a saziarci delle foto straordinarie in bianco e nero della Pietà – memorabile il primo piano del Cristo, la bocca schiusa in un sospiro-respiro acutissimo –, i primissimi piani dei duchi nelle Tombe medicee. Sembrano sporgersi dalla nicchia a guardarci e a guardare l’eterno, ecco la Madonna di Bruges dal volto impassibile ed invece di tenerezza rappresa.
Il bianco e nero spiritualizza. Tutta la carica emotiva, teologica, spirituale di Michelangelo si comunica attraverso queste foto di volti, mani, corpi dove la luce gioca in infiniti trapassi, scorre a levigare il marmo, a sollevarlo e renderlo possente e lieve. Anche il David pare galleggiare.
Miracolo di un’arte che ricrea l’arte. La fotografia non è pittura, è attimo balenante dello spirito, colto e trasmesso per i secoli. Si osservi la mano piegata sul libro della Madonna di Bruges, l’icona gotica della Pietà Rondanini – forse la più grande scultura dell’età moderna –, lo slargo ciclopico dell’ingresso nelle Tombe con i marmi e si avrà la certezza che Michelangelo ha rapito il mistero, scoperto il suo velo, svelato il suo contenuto e dato a noi un soffio formidabile, energico della sua bellezza imperitura.
Tutto in lui è forte – si guardi il profilo del David –, tutto è anche tenero e appassionato – lo sguardo del Mosè –, soffuso di malinconia infinita, tipicamente michelangiolesca: la mestizia della vita che scorre, il rimpianto della storia che va, il desiderio di una immortalità.
Riflessioni a non finire di fronte a tanta bellezza. Come quella degli schiavi del Louvre, corpi e anime, anime e corpi abbandonati alla bellezza fisica e anelante allo spirito.
Michelangelo è un artista che ha detto tutto, sta nella storia e nel momento in cui ci sta, la supera e va oltre. Il marmo con lui si fa carne e spirito. È una ri-scoperta del bianco-e-nero. Roberto Sansini nel 1940, Emmanuel Sougez nel 1953, Giuseppe Pagano nel 1938, Gianni Berengo Gardin nel 1998, Gérard Rondeau nel 2012, e Niccolò Cipriani nel 1956 sono solo alcuni degli artisti che con le foto hanno ricreato un genio. La gratitudine verso di loro è d’obbligo.
Città Nuova - Ecco una mostra davvero indimenticabile e da non perdere. Si entra nella rassegna, si ammirano i pannelli con le foto e i dipinti e poi si esce: c’è l’esplosione. Perché subito ci si imbatte nei colossi dei Prigioni – sembrano ancora più grandi del reale – e si resta sgomenti davanti al gigante, cioè il David. Lo si scopre come fosse la prima volta, immagine di una fierezza immortale, del Rinascimento del '500 e di sempre. Michelangelo appare enorme, immenso dopo queste scoperte. Ecco il senso della mostra fiorentina all’Accademia, fino al 18 maggio (catalogo Giunti, bellissimo). Ma torniamo indietro a saziarci delle foto straordinarie in bianco e nero della Pietà – memorabile il primo piano del Cristo, la bocca schiusa in un sospiro-respiro acutissimo –, i primissimi piani dei duchi nelle Tombe medicee. Sembrano sporgersi dalla nicchia a guardarci e a guardare l’eterno, ecco la Madonna di Bruges dal volto impassibile ed invece di tenerezza rappresa.
Il bianco e nero spiritualizza. Tutta la carica emotiva, teologica, spirituale di Michelangelo si comunica attraverso queste foto di volti, mani, corpi dove la luce gioca in infiniti trapassi, scorre a levigare il marmo, a sollevarlo e renderlo possente e lieve. Anche il David pare galleggiare.
Miracolo di un’arte che ricrea l’arte. La fotografia non è pittura, è attimo balenante dello spirito, colto e trasmesso per i secoli. Si osservi la mano piegata sul libro della Madonna di Bruges, l’icona gotica della Pietà Rondanini – forse la più grande scultura dell’età moderna –, lo slargo ciclopico dell’ingresso nelle Tombe con i marmi e si avrà la certezza che Michelangelo ha rapito il mistero, scoperto il suo velo, svelato il suo contenuto e dato a noi un soffio formidabile, energico della sua bellezza imperitura.
Tutto in lui è forte – si guardi il profilo del David –, tutto è anche tenero e appassionato – lo sguardo del Mosè –, soffuso di malinconia infinita, tipicamente michelangiolesca: la mestizia della vita che scorre, il rimpianto della storia che va, il desiderio di una immortalità.
Riflessioni a non finire di fronte a tanta bellezza. Come quella degli schiavi del Louvre, corpi e anime, anime e corpi abbandonati alla bellezza fisica e anelante allo spirito.
Michelangelo è un artista che ha detto tutto, sta nella storia e nel momento in cui ci sta, la supera e va oltre. Il marmo con lui si fa carne e spirito. È una ri-scoperta del bianco-e-nero. Roberto Sansini nel 1940, Emmanuel Sougez nel 1953, Giuseppe Pagano nel 1938, Gianni Berengo Gardin nel 1998, Gérard Rondeau nel 2012, e Niccolò Cipriani nel 1956 sono solo alcuni degli artisti che con le foto hanno ricreato un genio. La gratitudine verso di loro è d’obbligo.
di Mario Dal Bello
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