lunedì, dicembre 16, 2013
Gli immigrati del "centro aperto" di Holot in sciopero della fame marciano da due giorni protestando contro la legge "anti-infiltrati" del governo Netanyahu.

Roma (Nena News) - Circa 150 immigrati africani stanno marciando da Be'er Sheva diretti a Gerusalemme. I richiedenti asilo hanno trascorso la notte di ieri in un rifugio della città del deserto e hanno deciso stamattina di percorrere la strada 40 nel tentativo di raggiungere la Knesset [il parlamento israeliano, ndr] dove vogliono piantare una tenda di protesta. "La maggior parte di noi è in carcere già da due anni.
Lo scorso fine settimana ci hanno trasferito da una prigione ad un'altra. Noi rispettiamo le leggi israeliane però noi non siamo criminali e non possiamo accettare di essere imprigionati in questo modo" ha detto uno dei richiedenti asilo.

Che gli immigrati fossero determinati a protestare contro le modifiche della legge "anti-infiltrazione", approvate la scorsa settimana dal governo Netanyahu, era apparso chiaro già due giorni fa. Chi era stato trasferito nell'impianto di Holot (nella zona meridionale del Neghev) aveva marciato sei ore fino arrivando a Be'er Sheva. A complicare la loro lunga marcia (60 chilometri) si era aggiunto il freddo rigido che imperversa da giorni sull'intera regione e l'abbigliamento inadeguato degli immigranti molti dei quali calzano sandali e indossano abiti leggeri. Sono state proprio le avverse condizioni meteorologiche e la stanchezza le cause dello svenimento di due richiedenti asilo ricoverati all'ospedale di Soroka a Be'er Sheva.

Sicuramente avrà pesato anche lo sciopero della fame che tutti gli immigrati di Holot hanno intrapreso: "da tre giorni non mangiamo e continueremo a combattere per la nostra libertà. Veniamo da luoghi di guerra, di stragi, di violenza e non possiamo ritornarci. Non siamo persone cattive e non creeremo problemi in Israele" ha detto Mubarak Alì Mohammed al quotidiano Ha'Aretz. Molti di loro dicono di provenire dal Darfur e di non poter ritornare alla loro terra perché "se torniamo in Sudan o ci ammazzano o ci imprigionano per anni".

La loro richiesta è chiara: parlare con il Ministro degli Interni perché "è lui che ci ha messo in carcere". Nel momento in cui scriviamo una macchina della polizia municipale e rappresentanti dell'Autorità dell'Immigrazione e Abitazione li stanno scortando. Ma per il momento non possono intervenire. Infatti, nonostante gli immigrati non siano ritornati l'altra sera nell'impianto di Holot entro le 22 come previsto dalla nuova legge, la polizia può arrestarli solo dopo 48 ore. Al primo gruppo in marcia si stanno unendo in queste ore decine di immigrati in autobus che partono da Holot diretti alla stazione centrale di Be'er Sheva. Proprio qui ieri sono stati registrati momenti di solidarietà quando alcuni commercianti della zona hanno offerto del cibo agli immigranti che però hanno rifiutato perché in sciopero della fame.

"Abbiamo visto gruppi di persone che uscivano dalla struttura e incominciavano a camminare" raccontano alcuni cittadini che non abitano molto lontano dall'impianto di Holot nel Neghev. "Non capiscono che Be'er Sheva dista da qui 60 chilometri". Alcuni residenti parlano di alcuni taxi privati pieni di immigranti diretti non solo a Be'er Sheeva ma anche a Tel Aviv ed Ashkelon, città dove la concentrazione di richiedenti asilo è maggiore.

Intanto ieri la Polizia dell'Immigrazione ha ispezionato gli insediamenti di Ramat Neghev per assicurarsi che nessun migrante stesse lavorando presso israeliani. "Da noi nessuno li impiega, noi viviamo di agricoltura e ora siamo in inverno e non c'è lavoro anche per i lavoratori permanenti" ha detto un cittadino israeliano. Le circa 500 persone che sono state destinate all'impianto di Holot (numero che dovrebbe crescere nei prossimi giorni) non possono per legge lavorare e sono obbligati a presentarsi 3 volte al giorno ai controlli: la mattina, il pomeriggio e la sera. Possono uscire dalla "struttura aperta" dalle 6 alle 22.

La scorsa settimana il direttore generale del Ministero della Sicurezza degli Interni, Rotem Peleg, ha dichiarato che i "residenti della struttura" riceveranno 500 shekel al mese (circa 100 euro). Peleg ha aggiunto che per alcuni di loro ci sarà una possibilità di impiego all'interno della struttura e che per questi lavori riceveranno una ricompensa che dovrebbe aggirarsi intorno ai 14 shekel all'ora (poco meno di 3 euro). L'"impianto aperto" dovrebbe arrivare a contenere in una prima fase fino a 3000 persone, ma i lavori alla struttura che stanno avendo luogo potrebbero aumentare le sue capacità "ricettive" fino ad "ospitare" 10.000 immigrati.

La detenzione per un anno (senza processo), la "struttura aperta" o una "ricompensa per un ritorno volontario" sono le tre strade scelte dal governo Netanyahu per risolvere il problema clandestini e aggirare la sentenza della Corte Suprema Israeliana. Quest'ultima a settembre si era espressa contro la detenzione per 3 anni per i richiedenti asilo proposta dal governo Netanyahu nella prima bozza di modifica. Ciononostante, per bocca del suo stesso Presidente Grunis, aveva lasciato aperta la possibilità di arrestare gli immigrati. Infatti, la sua opposizione era principalmente per l'eccessiva durata della detenzione e non per l'arresto di persone innocenti che chiedono asilo politico.

In attesa del verdetto della Corte Suprema sulle modifiche approvate recentemente dal governo, le organizzazioni umanitarie e dei diritti dell'uomo protestano vibratamente. Ieri è stato presentato un ricorso urgente alla Corte Suprema affinché gli emendamenti del governo contro gli immigrati siano annullati. Secondo la sinistra e le organizzazioni non governative, infatti, i nuovi provvedimenti sono "inumani" e contrari ai principi espressi dalla Corte Suprema israeliana nella sua sentenza di settembre. Nena News

di Roberto Prinzi

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