giovedì, dicembre 19, 2013
La campagna di sensibilizzazione proposta quest’anno dal Ministero della Salute torna ad insistere sul preservativo quale strumento di prevenzione nella lotta contro l’Aids. Eppure evidenze scientifiche ed empiriche (come il metodo dell’ABC, felicemente attuato in Uganda) dimostrano che è in primo luogo l’educazione ai valori (come l’astinenza prematrimoniale e la fedeltà coniugale) a risultare vincente.

di Bartolo Salone

La campagna per la prevenzione dell’Aids, condotta dal Ministero della Salute in occasione della Giornata Mondiale contro l’Aids (indetta ogni anno il primo dicembre), vede nuovamente Raoul Bova come testimonial. Lo spot, diffuso nei giorni scorsi dalle principali emittenti radiofoniche e televisive, in appena trenta secondi mostra in successione alcune tra le principali espressioni della vita affettiva e sessuale (dalla madre col pancione alle relazioni di coppia, etero e gay) per culminare nel messaggio conclusivo, perentorio, affidato al famoso attore: “Fai il test HIV e usa il preservativo. Uniti contro l’Aids si vince”.

Una campagna così impostata merita a parere di chi scrive attento discernimento, non solo perché finanziata con i soldi dei cittadini, ma ancor di più perché chiama in causa la salute e la vita di decine di migliaia di persone, rispetto alle quali non potrebbe risultare tollerabile alcuna superficialità di analisi o di proposta, a maggior ragione nella comunicazione istituzionale. Per aver chiara percezione delle dimensioni del problema dell’Aids in Italia ritengo utile consultare il dossier annuale sulle nuove diagnosi di infezione da HIV (ultimo aggiornamento disponibile al 31 dicembre 2012), elaborato dal Centro Operativo Aids (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità. Dall’insieme dei dati forniti dalle Regioni italiane ed elaborati dal COA risulta che dal 1982 (anno in cui scoppiò l’epidemia) ad oggi sono stati segnalati 65mila casi di Aids, e di questi circa 42mila sono relativi a persone decedute. L’incidenza delle nuove diagnosi di infezione virale ha visto il suo picco nel 1987 per poi diminuire rapidamente fino al 1998 e stabilizzarsi successivamente (dal 2010 al 2012 le nuove segnalazioni si sono stabilizzate in poco meno di 4000 casi all’anno). La buona notizia è che l’incidenza di Aids e il numero di decessi per anno continuano gradualmente a diminuire, principalmente per effetto delle terapie antiretrovirali combinate (introdotte in Italia nel 1996). Nel tempo è però mutata – e su questo bisogna riflettere adeguatamente – l’incidenza proporzionale delle diverse modalità di trasmissione della malattia. Se nel complesso dall’ ‘82 ad oggi poco più della metà dei casi segnalati va attribuita alle pratiche associate all’uso di stupefacenti per via iniettiva, di recente la proporzione si è rovesciata “in favore” dei rapporti sessuali (tra maschi e tra persone di sesso diverso), che negli ultimi due anni rappresentano la modalità di trasmissione più frequente. I principali fattori di rischio, in ordine decrescente, finora sono stati dunque tre: assunzione di stupefacenti per via iniettiva; maschi che fanno sesso con maschi; rapporti eterosessuali. Ma negli ultimi anni (2010-2012) si osserva che, mentre l’incidenza del primo e (anche se in proporzione decisamente minore) dell’ultimo fattore è diminuita, il numero di casi di infezione tra i maschi che fanno sesso con maschi è aumentato del 18,7%. Sicché, sulla base delle ultime osservazioni, i rapporti omosessuali tra maschi sembrerebbero costituire attualmente il principale canale di contagio, mentre con riferimento ai rapporti eterosessuali negli ultimi dieci anni è aumentata la quota di infezioni in coloro che hanno avuto “contatti” sessuali con un partner “promiscuo” (cioè con prostituta o con partner di prostituta).

E’ in questo contesto, dunque, che va valutata la bontà della proposta dell’uso del preservativo come mezzo di prevenzione e di lotta all’epidemia. Tante campagne, ben finanziate a livello nazionale e internazionale, insistono sull’uso di questo strumento, presentato enfaticamente come rimedio efficace per la risoluzione di tutti i problemi legati all’Aids. In verità, il principale limite etico di queste campagne sta proprio nello sdoganare il profilattico quale mezzo di “sesso sicuro”, cosa che invece non è. Osserva al riguardo Salvino Leone, medico specialista in Ostetricia e Ginecologia nonché direttore dell’Istituto Siciliano di Bioetica “Salvatore Privitera”: “In realtà, così come l’efficacia del profilattico non è assoluta se usato come contraccettivo (con una fallibilità del 15-20%), così pure, per gli stessi motivi, vi è un’inefficacia preventiva anche in un certo numero di rapporti ‘protetti’ nei quali insieme al liquido seminale può essere trasmesso il virus. Così, se da un lato il profilattico comporta un indubbio contenimento del rischio della malattia rispetto a un rapporto non protetto, dall’altro può a sua volta diventarne strumento di diffusione per il falso senso di sicurezza che può indurre nella popolazione” (Nuovo manuale di bioetica, Città Nuova Editrice 2007). Sono considerazioni di estremo rigore e buon senso, le quali valgono a spiegare perché tanto in Italia quanto negli altri Paesi occidentali colpiti dalla piaga dell’Aids la diffusione dei preservativi non sia valsa finora a risolvere il problema, ma al contrario abbia accentuato il rilievo dei fattori di rischio legati alla trasmissione per via sessuale del virus.

Questo appare tanto più evidente se dall’Europa ci si sposta al continente africano. Qui diverse organizzazioni internazionali, agenzie governative e Ong hanno sostanzialmente imposto per lungo tempo come soluzione esclusiva nella lotta contro l’Aids l’uso del preservativo. Massicce quantità di condom sono state introdotte, si sosteneva a scopo “umanitario”, nei Paesi africani più colpiti dall’epidemia. Eppure gli effetti sperati non si sono visti, anzi in molti casi il problema si è aggravato: così, ad esempio, in Camerun dal 1998 al 2001 sono aumentati da 6 a 15 milioni i condom venduti e nello stesso tempo la diffusione dell’HIV tra la popolazione è triplicata. I soli Paesi che hanno registrato un miglioramento, invece, sono non a caso quelli in cui si è lavorato per cercare di modificare i costumi sessuali della popolazione. Così è avvenuto ad esempio in Kenya, Etiopia, Malawi, Zambia; ma i risultati più significativi si sono avuti in Uganda: qui, grazie al lavoro svolto da suore e medici cattolici in collaborazione con il Governo, è stato attuato con successo il metodo cosiddetto dell’ABC (Abstinence, Being faithful, Condom use): è stata cioè raccomandata alla popolazione l’Astinenza (fino ad una certa età), la Fedeltà al partner e, solo in casi eccezionali e comunque in subordine rispetto ai primi due consigli, il Corretto uso del preservativo. E nel giro di solo un decennio (1991-2001), l’epidemia è stata quasi interamente debellata: il tasso di infezione da HIV in Uganda è presto sceso dal 15% al 5%.

Questo risultato potrebbe apparire sorprendente per chi è convinto che l’Aids sia un problema puramente medico, pienamente risolvibile attraverso strumenti tecnici quali il condom. L’esperienza ci dimostra però come questa malattia sia legata in larga parte al comportamento sessuale. Il preservativo può valere al massimo a limitare i danni, ma non ad eliminare la causa “prima” del problema. Fino a che i costumi sessuali non verranno modificati, anzi “purificati”, il virus dell’HIV continuerà inevitabilmente a mietere vittime. In Uganda - come in altri Paesi africani - lo si è compreso perfettamente ed è bastato poco per contrastare l’epidemia: un’educazione a ritardare il primo rapporto sessuale (astinenza), con la promozione della fedeltà coniugale, si è dimostrata la formula davvero vincente. E’ da qui che dovrebbe forse ripartire l’Occidente. Campagne di sensibilizzazione come quella pensata dal Ministero della Salute quest’anno, alla prova dei fatti, si rivelano invero superate e inefficaci. Come pure sorpassata e inconcludente, per le stesse ragioni, si appalesa una concezione dell’educazione sessuale (che talora si prova a far passare nelle scuole) intesa riduttivamente come educazione sanitaria o, senza infingimenti, come educazione al corretto uso dei contraccettivi. Quella che manca invece è proprio l’educazione ai valori, indispensabile in ogni ambito della vita umana, ma così profondamente carente proprio nel terreno più “intimo” e “sacro” della persona che è quello dell’espressività sessuale.


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