domenica, novembre 10, 2013
Se Dio esiste ed è onnipotente, come proclama il Credo, allora perché c’è il male nel mondo? Una questione che vede impegnati tuttora filosofi e teologi, ma a cui la Chiesa ha già risposto da tempo

di Bartolo Salone

Poche settimane or sono il teologo Vito Mancuso, ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, nel presentare il suo ultimo libro confessava candidamente davanti alle telecamere di provare un certo imbarazzo, durante la messa, nel recitare il Credo nella parte in cui afferma che Dio è “Padre onnipotente”. Secondo il teologo, infatti, la stessa convinzione dell’onnipotenza di Dio, proclamata dal simbolo niceno, andrebbe rivista, mal conciliandosi con la presenza del male nel mondo. Tesi che naturalmente Fabio Fazio non esitava ad accogliere come originale ed innovativa. In realtà, come sarà a breve dimostrato, non vi è nulla di originale, sotto il profilo filosofico, nella tesi che nega l’onnipotenza di Dio nel tentativo di salvarne la bontà. La sola cosa singolare, di cui dovremmo davvero meravigliarci come credenti, è come mai sia possibile che si definisca ancora “cattolico” un teologo che attacca così apertamente e disinvoltamente fondamentali dogmi di fede (si badi bene che l’onnipotenza di Dio è solo uno, forse l’ultimo, dei dogmi contestati da Mancuso, visto che in passato egli si era già espresso contro la verità del peccato originale, il carattere salvifico del sacrificio di Cristo sulla croce, la resurrezione della carne e l’esistenza dell’inferno).

Ritorniamo però sulla questione che qui più ci interessa. Il problema del male nel mondo e della sua conciliabilità con l’esistenza di un Dio buono sono profili che da sempre, nel corso dei secoli, hanno impegnato la riflessione filosofica e teologica. “Si Deus, unde malum?” si domandava sant’Agostino. Con l’avvento dell’era contemporanea, e soprattutto a seguito delle atrocità e dei crimini commessi nel corso del secondo conflitto mondiale, l’atavico “dilemma” viene però così riformulato: “Si omnipotens Deus, unde malum?”. Come si concilia la presenza del male nel mondo, ivi compreso il male morale (quello a cui la dottrina cattolica allude quando parla del “peccato”), con l’esistenza di un Dio buono e provvidente che tutto può? Se Dio può davvero tutto, perché allora non impedisce il male? Perché consente il massacro di tanti uomini innocenti? Come mai permette le guerre e ogni altra forma di ingiustizia e violenza? La questione viene posta in questi termini (molto prima di Mancuso) proprio da uno dei più importanti filosofi contemporanei, Hans Jonas, nella sua opera “Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica” (1984). Ebreo di nascita, Jonas, dopo l’avvento del nazismo, emigra prima in Inghilterra (nel cui esercito si arruola come volontario) e poi in Palestina. Si tratta quindi di un uomo che, avendo vissuto in prima persona il dramma delle leggi razziali e gli orrori della guerra, cerca di fornire da filosofo una risposta ad un dilemma morale che ha impegnato il pensiero ebraico soprattutto nel secondo dopoguerra. La soluzione cui perviene il filosofo ebreo, che presenta degli elementi di indubbia originalità, viene argomentata nei termini che seguono. Di fronte al male nel mondo, esemplificato da Auschwitz, non si può più sostenere la simultanea bontà, comprensibilità e onnipotenza di Dio. Infatti, se posta di fronte al male nel mondo, una divinità onnipotente o è priva di bontà (perché, pur potendo, non impedisce il male) o è totalmente incomprensibile. Ma un Dio privo di bontà non sarebbe più Dio, mentre di un Dio totalmente incomprensibile non si potrebbe neppure discorrere. Quindi, l’unico modo per difendere l’idea di un Dio buono e non totalmente incomprensibile, per Jonas, rimane quello di abbandonare il problematico concetto di onnipotenza. Ne consegue che Dio non è intervenuto ad impedire Auschwitz (e più in generale non interviene ad impedire il male nel mondo) “non perché non lo volle, ma perché non fu in condizione di farlo”. E la ragione è immediatamente percepibile: concedendo all’uomo la libertà, Dio ha rinunciato alla sua onnipotenza. Una conclusione che finisce col chiamare in causa la libertà dell’uomo e la sua piena responsabilità per il male commesso, ma che al contempo nega la potenza di Dio sulla realtà umana, come se nell’ordine temporale delle cose Dio fosse totalmente assente o, quantomeno, ininfluente.

Ma è davvero così? Onnipotenza divina e libero arbitrio dell’uomo sono veramente in assoluta contraddizione l’una rispetto all’altro? In realtà, la tradizione teologica della Chiesa, pur richiamando l’uomo alla sua responsabilità morale per il male di cui è il solo autore a causa del peccato, non ha mai pensato di negare l’onnipotenza di Dio, elevata a dogma di fede dai primi due Concili ecumenici (Nicea e Costantinopoli) della storia cristiana. Rimane tuttavia da capire in che modo libero arbitrio umano e onnipotenza di Dio possano coesistere. Sant’Agostino, facendosi fedele interprete della Tradizione vivente della Chiesa, così risponde all’apparente dilemma: “Dio onnipotente, essendo supremamente buono, non permetterebbe mai che un qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e buono da trarre dal male stesso il bene” (Enchiridion de fide, spe et caritate). Analogamente, San Tommaso d’Aquino, altro grande dottore della Chiesa, alla domanda “Perché Dio non ha impedito al primo uomo di peccare?” risponde che la natura umana, dopo il peccato, è stata destinata ad un fine più alto, quello della redenzione in Cristo. “Dio, infatti, permette che ci siano i mali per trarre da essi un bene più grande […] Perciò, nella benedizione del cero pasquale si dice: O felice colpa, che ha meritato un tale e così grande Redentore!” (Summa theologiae).

Si può pertanto affermare conclusivamente che, in relazione alla libertà dell’uomo, la potenza di Dio si manifesta non nell’impedire direttamente il male (poiché in questo caso sarebbe negata la libertà stessa dell’uomo) ma nel trarre dal male un bene ancora più grande. Il libero arbitrio, pertanto, non priva Dio del potere di intervenire sulle cose del mondo, e precisamente non impedisce a Dio di porre rimedio alle conseguenze del peccato, di cui l’uomo conserva dal canto suo ogni responsabilità. Si consideri altresì che la libertà umana rimane pur sempre il frutto di una scelta sovrana di Dio e, quindi, lungi dal contraddire l’onnipotenza divina, la presuppone come sua condizione necessaria. E’ certo, d’altro canto, che avvenimenti tragici come Auschwitz possono indurre a incrinare questa consapevolezza: quale sia il bene più grande che Dio possa voler trarre da un male così radicale rimane un mistero tuttora non compreso in tutta la sua portata storica ed esistenziale. Ad ogni modo, la consapevolezza delle potenzialità distruttive delle azioni e delle ideologie umane maturata dopo Auschwitz forse già da adesso sta conducendo verso l’affermazione di un nuovo umanesimo, che prenda più sul serio la libertà morale dell’uomo e i suoi effetti anche a lungo termine.


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