La decisione di sospendere parte degli aiuti destinati all’Egitto “è sbagliata”: lo ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Badr Abdelatty poche ore dopo l’annuncio di Washington, che ha motivato la decisione con “l’assenza di progressi nel percorso democratico” al Cairo.
Misna - “L’Egitto non cederà alle pressioni americane” ha detto il diplomatico, sottolineando che “il paese procede spedito verso la restaurazione dell’ordine democratico”. Quella che si sta consumando in queste ore è di fatto la prima, manifesta, frizione tra l’inquilino della Casa Bianca, Barack Obama, e i militari egiziani, principali beneficiari del miliardo e 300 milioni di dollari di aiuti che Washington stanzia annualmente al Cairo dalla firma degli accordi di pace con Israele a Camp David nel 1979.
La decisione dell’amministrazione americana segue mesi di sconvolgimenti politici e sociali nel paese, in cui a seguito del colpo di stato che ha deposto il presidente Mohammed Morsi il 3 luglio e le violenta repressione che ne è seguita, le tensioni tra militari e Fratelli Musulmani si riaccendono a intervalli regolari. Inoltre, gruppi armati di matrice islamista hanno messo a segno attacchi e attentati al Cairo e nella penisola del Sinai che hanno come principale bersaglio le Forze armate.
Ancora oggi – in un aggiornamento dalla cadenza ormai quotidiana – almeno quattro soldati sono morti e cinque sono stati feriti nell’esplosione di un’autobomba nella città di El Arish, nel nord del Sinai.
Pur non avendo, di fatto, mai parlato di golpe in Egitto, gli Stati Uniti stanno giocandosi l’ultima carta per far pressione su un alleato strategico e di lunga data in Medio Oriente. La loro mossa, temono gli osservatori, potrebbe non avere gli effetti sperati dato che da mesi l’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo sono impegnate a sostenere il governo egiziano con prestiti e stanziamenti per oltre 12 miliardi di dollari.
Misna - “L’Egitto non cederà alle pressioni americane” ha detto il diplomatico, sottolineando che “il paese procede spedito verso la restaurazione dell’ordine democratico”. Quella che si sta consumando in queste ore è di fatto la prima, manifesta, frizione tra l’inquilino della Casa Bianca, Barack Obama, e i militari egiziani, principali beneficiari del miliardo e 300 milioni di dollari di aiuti che Washington stanzia annualmente al Cairo dalla firma degli accordi di pace con Israele a Camp David nel 1979.
La decisione dell’amministrazione americana segue mesi di sconvolgimenti politici e sociali nel paese, in cui a seguito del colpo di stato che ha deposto il presidente Mohammed Morsi il 3 luglio e le violenta repressione che ne è seguita, le tensioni tra militari e Fratelli Musulmani si riaccendono a intervalli regolari. Inoltre, gruppi armati di matrice islamista hanno messo a segno attacchi e attentati al Cairo e nella penisola del Sinai che hanno come principale bersaglio le Forze armate.
Ancora oggi – in un aggiornamento dalla cadenza ormai quotidiana – almeno quattro soldati sono morti e cinque sono stati feriti nell’esplosione di un’autobomba nella città di El Arish, nel nord del Sinai.
Pur non avendo, di fatto, mai parlato di golpe in Egitto, gli Stati Uniti stanno giocandosi l’ultima carta per far pressione su un alleato strategico e di lunga data in Medio Oriente. La loro mossa, temono gli osservatori, potrebbe non avere gli effetti sperati dato che da mesi l’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo sono impegnate a sostenere il governo egiziano con prestiti e stanziamenti per oltre 12 miliardi di dollari.
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