Nonostante la “coscienza verde” sia sempre più radicata nell’uomo, i gas serra continuano ad aumentare mentre i cambiamenti climatici costano l’1,5 per cento del Pil mondiale. Gli scienziati sono da anni al lavoro per "limitare i danni" e hanno fatto una scoperta sorprendente
Cittànuova - Il 9 maggio scorso, per la prima volta nella storia dell’umanità, la concentrazione in atmosfera di anidride carbonica, il principale inquinante gas serra, ha superato le 400 parti per milione (fonte università di San Diego). Negli ultimi 150 anni l’uomo ha inquinato la guaina protettiva di atmosfera che circonda la Terra. Ogni giorno si versano in atmosfera 90 milioni di tonnellate di gas serra. E madre natura prima o poi si ribella. Non scandalizziamoci quindi se i cambiamenti climatici rappresentano un fenomeno attuale: le temperature aumentano, i regimi delle precipitazioni si modificano, i ghiacciai e la neve si sciolgono e il livello medio globale del mare è in aumento.
Improvvisi temporali con grandine e trombe d’aria ci accompagnano durante i mesi estivi, causando danni soprattutto all’agricoltura. L’ultima ondata di maltempo che ha colpito il Nord Italia, secondo la Coldiretti, ha causato danni per oltre un miliardo di euro. Da qui la richiesta degli agricoltori di dichiarare lo stato di calamità nei territori colpiti.
Nonostante la “coscienza verde” sia sempre più radicata nell’uomo, i cambiamenti climatici costano l’1,5 per cento del Pil mondiale (fonte ong Dara). E allora che fare per contrastare, o almeno convivere, con il fenomeno?
Qualche provvedimento arriva dalla ricerca. In Europa, ad esempio, è nato il progetto Climsave (Climate change integrated assessment methodology for cross-sectoral adaptation and vulnerability in Europe), coordinato dall’università di Oxford e finanziato appunto dall’Unione europea. Il progetto ha l’obiettivo di favorire la valutazione dell’impatto, anche economico, dei cambiamenti climatici in diverse zone ambientali.
I ricercatori di Climsave, provenienti da 13 Paesi europei e da Australia e Cina, affermano che il progetto sta «analizzando le risposte della politica e dell’amministrazione, identificando i punti deboli, analizzando l’efficienza in termini di costi di diversi provvedimenti di adattamento, analizzando l’incertezza per aiutare la valutazione delle opzioni politiche, integrando i contributi delle parti interessate attraverso scenari partecipativi».
In pratica i risultati, che saranno a disposizione del pubblico da ottobre 2013 attraverso la piattaforma Climsave, aiuteranno a esaminare e capire meglio le conseguenze dei cambiamenti climatici e a identificare le vulnerabilità di agricoltura e selvicoltura, la biodiversità, le coste, le risorse idriche e lo sviluppo urbano. La piattaforma si potrà usare anche per studiare i possibili scenari climatici e socio-economici e gli effetti negativi e positivi sui servizi dell’ecosistema.
Un altro studio arriva dalla geoingegneria verde, dove alcuni scienziati sono alla ricerca di un “piano B” per mitigare i cambiamenti climatici. Un pool di ricercatori tedeschi ha messo a punto un metodo ecologico chiamato carbon farming. Pubblicato su Earth system dynamics, il giornale dell’European geosciences union (Egu), questo studio dimostra che le piantagioni su larga scala di Jatropha curcas, se insediate nelle zone costiere calde e secche di tutto il mondo, potrebbero catturare 17-25 tonnellate di biossido di carbonio per ettaro all’anno dall’atmosfera per un periodo di 20 anni. Lo studio conferma che la pianta di Jatropha curcas si adatta bene ad ambienti difficili ed è in grado di crescere da sola o in combinazione con altre specie arboree ed arbustive con irrigazione minima nei deserti caldi dove la pioggia cade solo sporadicamente.
Inoltre, il team tedesco afferma che 10 mila km2 di piantagioni potrebbero produrre una riduzione della temperatura media della superficie e una comparsa o un aumento delle precipitazioni di pioggia e di rugiada a livello regionale.
Klaus Becker, dell’università di Hohenheim di Stoccarda, spiega: «La carbon farming affronta la fonte principale del cambiamento climatico: l’emissione di biossido di carbonio dalle attività umane».
E quando si tratta di sequestro di CO2 dall’atmosfera, il team tedesco dimostra che il meglio che c’è in natura è appunto la Jatropha curcas. Se davvero un ettaro piantato a Jatropha curcas può catturare fino a 25 tonnellate di CO2 all’anno per 20 anni, una piantagione che occupasse solo circa il 3 per cento del deserto dell’Arabia potrebbe assorbire in 20 anni tutta la CO2 prodotta dai veicoli a motore della Germania nello stesso periodo.
Il giornale Egu afferma: «Con circa un miliardo di ettari adatti alla carbon farming, il metodo potrebbe sequestrare una percentuale significativa della CO2 aggiunta all’atmosfera dalla rivoluzione industriale».
di Lorenzo Russo
Cittànuova - Il 9 maggio scorso, per la prima volta nella storia dell’umanità, la concentrazione in atmosfera di anidride carbonica, il principale inquinante gas serra, ha superato le 400 parti per milione (fonte università di San Diego). Negli ultimi 150 anni l’uomo ha inquinato la guaina protettiva di atmosfera che circonda la Terra. Ogni giorno si versano in atmosfera 90 milioni di tonnellate di gas serra. E madre natura prima o poi si ribella. Non scandalizziamoci quindi se i cambiamenti climatici rappresentano un fenomeno attuale: le temperature aumentano, i regimi delle precipitazioni si modificano, i ghiacciai e la neve si sciolgono e il livello medio globale del mare è in aumento.
Improvvisi temporali con grandine e trombe d’aria ci accompagnano durante i mesi estivi, causando danni soprattutto all’agricoltura. L’ultima ondata di maltempo che ha colpito il Nord Italia, secondo la Coldiretti, ha causato danni per oltre un miliardo di euro. Da qui la richiesta degli agricoltori di dichiarare lo stato di calamità nei territori colpiti.
Nonostante la “coscienza verde” sia sempre più radicata nell’uomo, i cambiamenti climatici costano l’1,5 per cento del Pil mondiale (fonte ong Dara). E allora che fare per contrastare, o almeno convivere, con il fenomeno?
Qualche provvedimento arriva dalla ricerca. In Europa, ad esempio, è nato il progetto Climsave (Climate change integrated assessment methodology for cross-sectoral adaptation and vulnerability in Europe), coordinato dall’università di Oxford e finanziato appunto dall’Unione europea. Il progetto ha l’obiettivo di favorire la valutazione dell’impatto, anche economico, dei cambiamenti climatici in diverse zone ambientali.
I ricercatori di Climsave, provenienti da 13 Paesi europei e da Australia e Cina, affermano che il progetto sta «analizzando le risposte della politica e dell’amministrazione, identificando i punti deboli, analizzando l’efficienza in termini di costi di diversi provvedimenti di adattamento, analizzando l’incertezza per aiutare la valutazione delle opzioni politiche, integrando i contributi delle parti interessate attraverso scenari partecipativi».
In pratica i risultati, che saranno a disposizione del pubblico da ottobre 2013 attraverso la piattaforma Climsave, aiuteranno a esaminare e capire meglio le conseguenze dei cambiamenti climatici e a identificare le vulnerabilità di agricoltura e selvicoltura, la biodiversità, le coste, le risorse idriche e lo sviluppo urbano. La piattaforma si potrà usare anche per studiare i possibili scenari climatici e socio-economici e gli effetti negativi e positivi sui servizi dell’ecosistema.
Un altro studio arriva dalla geoingegneria verde, dove alcuni scienziati sono alla ricerca di un “piano B” per mitigare i cambiamenti climatici. Un pool di ricercatori tedeschi ha messo a punto un metodo ecologico chiamato carbon farming. Pubblicato su Earth system dynamics, il giornale dell’European geosciences union (Egu), questo studio dimostra che le piantagioni su larga scala di Jatropha curcas, se insediate nelle zone costiere calde e secche di tutto il mondo, potrebbero catturare 17-25 tonnellate di biossido di carbonio per ettaro all’anno dall’atmosfera per un periodo di 20 anni. Lo studio conferma che la pianta di Jatropha curcas si adatta bene ad ambienti difficili ed è in grado di crescere da sola o in combinazione con altre specie arboree ed arbustive con irrigazione minima nei deserti caldi dove la pioggia cade solo sporadicamente.
Inoltre, il team tedesco afferma che 10 mila km2 di piantagioni potrebbero produrre una riduzione della temperatura media della superficie e una comparsa o un aumento delle precipitazioni di pioggia e di rugiada a livello regionale.
Klaus Becker, dell’università di Hohenheim di Stoccarda, spiega: «La carbon farming affronta la fonte principale del cambiamento climatico: l’emissione di biossido di carbonio dalle attività umane».
E quando si tratta di sequestro di CO2 dall’atmosfera, il team tedesco dimostra che il meglio che c’è in natura è appunto la Jatropha curcas. Se davvero un ettaro piantato a Jatropha curcas può catturare fino a 25 tonnellate di CO2 all’anno per 20 anni, una piantagione che occupasse solo circa il 3 per cento del deserto dell’Arabia potrebbe assorbire in 20 anni tutta la CO2 prodotta dai veicoli a motore della Germania nello stesso periodo.
Il giornale Egu afferma: «Con circa un miliardo di ettari adatti alla carbon farming, il metodo potrebbe sequestrare una percentuale significativa della CO2 aggiunta all’atmosfera dalla rivoluzione industriale».
di Lorenzo Russo
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