mercoledì, novembre 30, 2011
Pena di morte: un tuffo nel passato per vivere con giustizia e dignità nel presente

di Benedetta Biasci

Il Granducato di Toscana fu il primo stato al mondo ad abolire legalmente la pena di morte per tutti i reati. Era il 30 novembre 1786 quando il granduca Pietro Leopoldo firmò la cosiddetta Leopoldina, il nuovo codice penale della Toscana. Fu una decisione importante che dimostrò in concreto la possibilità di governare senza ricorrere alla morte come pena. Tuttavia non durò a lungo: fu lo stesso Pietro Leopoldo a fare marcia indietro. Vi erano stati disordini in varie zone della Toscana e il granduca, poco tempo dopo aver lasciato la Toscana per Vienna, nel 1790, si dichiara costretto a reintrodurre la pena di morte contro coloro «i quali ardiranno di sollevare il popolo, o mettersi alla testa del medesimo per commettere eccessi e disordini». In Italia sarà totalmente abolita nel 1948 con l’emanazione della Costituzione Italiana, la quale recita all’articolo 27: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”.

Tuttavia la Leopolodina, nonostante la sua breve durata, merita ancora oggi di essere ricordata per la profonda svolta che ha imposto alla legislazione italiana e a quella di tutto il mondo, come un esempio di tolleranza e di giustizia. E’ importante aver sempre presente come la nostra storia e quella dell’umanità intera sia stata dominata da una concezione di giustizia vendicativa, fondata sul detto “occhio per occhio, dente per dente”.

In passato, come del resto ancora oggi in ben 58 Paesi, la pena di morte era ampiamente giustificata dalla legge e considerata come un atto dovuto. La pensava così anche Tommaso d’Aquino: se un uomo è pericoloso e mette a rischio la salute della società, è necessario ucciderlo per preservare il bene comune. Un uomo che uccide, disse il filosofo e teologo, ha perso la sua dignità di uomo e ucciderlo è come uccidere una bestia. Sulla stessa scia si collocano molti filosofi, pensatori e giuristi non solo medievali, ma anche moderni e contemporanei. Il dibattito pro o contro la pena di morte è tuttora molto acceso: c’è chi si ostina a considerare la giustizia come una vendetta e chi invece cerca di difendere la vita, aiutando chi ha commesso un grave errore attraverso una rieducazione e un reinserimento nella società.

Uno dei grandi protagonisti del XX secolo che ha difeso a spada tratta l’importanza della vita umana e della dignità della persona è stato Giovanni Paolo II: « La nuova evangelizzazione richiede ai discepoli di Cristo di essere incondizionatamente a favore della vita. La società moderna è in possesso dei mezzi per proteggersi, senza negare ai criminali la possibilità di redimersi. La pena di morte è crudele e non necessaria e questo vale anche per colui che ha fatto molto del male». Il Santo Padre aveva avviato una vera e propria campagna internazionale contro questa pratica inumana, appellandosi più volte al buon senso dei governatori degli Stati la cui legislazione contempla la pena di morte. Sebbene non sia stata abolita nella maggior parte dei Paesi, negli ultimi anni si è assistito ad una maggiore sensibilizzazione e adesione a quei principi che considerano la vita un diritto ineludibile di ogni uomo: dal 2004 ad oggi 18 Paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati (Bhutan, Grecia, Samoa, Senegal e Turchia nel 2004, Liberia e Messico nel 2005, le Filippine nel 2006, Albania, Isole Cook, Kyrgyzstan, Rwanda e Kazakhstan, almeno per i reati ordinari, nel 2007, Uzbekistan e Argentina nel 2008, Burundi e Togo nel 2009). Dal 2007 si sono aggiunti anche tre Stati Americani (il New Jersey, il New Mexico, l’Illinois), uno ogni due anni dopo decenni di stasi. Dati questi che fanno ben sperare per il futuro, auspicando un’abolizione completa della pena di morte in tutti gli Stati. E’ importante comprendere quello che Benedetto XVI disse all’inizio del suo pontificato: "La libertà di uccidere non è vera libertà ma è una tirannia che riduce l'essere umano in schiavitù". E’ in giornate come queste che dobbiamo riflettere su quanto è accaduto nel passato e su quanto sta ancora succedendo vicino a noi, affinché si possa crescere e migliorare come società e soprattutto come cittadini.

Sono presenti 5 commenti

Anonimo ha detto...

Tema importante quello qui trattato, che ci interroga anche come cristiani, ma mi suona strano che san Tommaso abbia pronunciato le seguenti parole: "Un uomo che uccide ha perso la sua dignità di uomo e ucciderlo è come uccidere una bestia". La teoria tomista prende le mosse dall'esigenza di bilanciare il benessere collettivo con l'esigenza di preservare la vita del criminale. In tanto la vita di un criminale può essere sacrificata, in quanto lo giustifichi la legittima difesa della società. Giovanni Paolo II parte proprio da questo assunto, che è un fondamento indiscusso di dottrina cattolica, per giungere alla conclusione che oggi la pena di morte non trovi più giustificazione, perché le esigenze di difesa della collettività dal crimine possono essere efficacemente soddisfatte dagli Stati con mezzi meno drastici. Da questo punto di vista mi pare che vi sia perfetta continuità tra il pensiero tomista e il magistero di Papa Wojtyla.

Anonimo ha detto...

Da Summa Theologiae, San Tommaso: il criminale «decidit a dignitate humana», perde la sua 'dignitas' e ucciderlo è «sicut occidere bestiam». E' inoltre famosa la metafora di San Tommaso sull'organismo: come l'arto malato deve essere reciso per salvare l'organismo così il criminale è il membro infetto della società che ne minaccia l'integrità. Nell'articolo non si parla di legittima difesa, ma di uccisione legalmente riconosciuta. Voglio precisare le parole di San Tommaso a proposito della pena di morte:« Come è lecito, anzi doveroso, estirpare un membro malato per salvare tutto il corpo, così quando una persona è divenuta un pericolo per la comunità o è causa di corruzione degli altri, essa viene eliminata per garantire la salvezza della comunità ». Inoltre nell'articolo non si mette a confronto San Tommaso con Giovanni Paolo II: è chiaramente impossibile farlo visto che si tratta di epoche completamente diverse...

Anonimo ha detto...

Giustamente si tratta di epoche diverse.
Oggi nessuna motivazione deve giustificare la pena di morte. Giustamente chi uccide deve essere messo in condizione di non reiterare. Penso che l'ergastolo (tutto il restante della vita dell'omicida) si sufficiente.

Anonimo ha detto...

interessante articolo su un tema cosi' delicato e complesso quale la pena di morte. oggi più che mai serve una riflessione generale e una presa di coscienza sull'omicidio legalizzato.

Anonimo ha detto...

Non si tratta a mio avviso di paragonare il pensiero di san Tommaso con quello di Giovanni Paolo II, ma semplicemente di riconoscere una continuità nell'insegnamento della Chiesa, che pur con puntualizzazioni e accentuazioni diverse, attraversa immutato nella sostanza i secoli. Oggi l'opinione pubblica è fortemente contraria alla pena di morte e questo a mio modesto parere è un bene (anche se poi si indulge ad altre forme di omicidio legalizzato, come aborto, eutanasia, ecc...).
E' un fatto però che la dottrina cattolica riconosca oggi come nel passato la liceità della pena di morte, pur a certe condizioni, legate all'esigenza di difesa della collettività, che è compito dei poteri pubblici comunque garantire. Il catechismo della Chiesa cattolica così recita e la soluzione è ispirata ad estremo equilibrio:
« 2267: L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani.
Se invece i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall'aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana.
Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l'ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo “sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti” [Evangelium vitae, n. 56]. »

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