lunedì, luglio 22, 2013
Cosa ha da dire la Bibbia sull’omosessualità? Un messaggio valido ancor oggi o solamente prescrizioni morali culturalmente e storicamente condizionate al periodo in cui le Sacre Scritture furono redatte? Il Magistero cattolico, alle prese con una nuova discutibile esegesi, ribadisce l’insegnamento di sempre, ma senza trascurare l’importanza della persona.

di Bartolo Salone

Abbiamo già parlato della distinzione che il Magistero cattolico, presentando il tema dell’omosessualità, fa tra tendenza o condizione omosessuale e atti omosessuali: la prima – come si ricorderà – non costituisce in sé un peccato, mentre lo sono gli atti omosessuali. Da qui la proposta della castità rivolta alle persone omosessuali, perché possano giungere per tale via alla perfezione cristiana, unendo, come ci ricorda il Catechismo, “al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione”. La condanna degli atti omosessuali trova invero riscontro tanto nelle Sacre Scritture quanto nella costante Tradizione della Chiesa. Tuttavia, questa consonanza tra Scritture e Tradizione viene messa in dubbio da una nuova esegesi secondo cui la Bibbia o non avrebbe nulla da dire sul problema dell’omosessualità o addirittura ne darebbe una tacita approvazione oppure ancora offrirebbe prescrizioni morali così culturalmente e storicamente condizionate da non poter più essere applicate alla realtà contemporanea. Questa nuova esegesi, che tanta confusione sta creando sull’insegnamento della Chiesa, ha richiamato l’attenzione della Congregazione per la dottrina della fede, la quale nella “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali” (1986) si è sentita in dovere di ristabilire i termini corretti della questione attraverso una breve ricognizione dell’insegnamento biblico in materia, che qui di seguito viene riproposta.

Contro le suggestioni del nuovo corso esegetico, la Congregazione, citando la Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione “Dei Verbum” del Concilio Vaticano II, rileva innanzitutto come, se è vero che la letteratura biblica è debitrice verso le varie epoche in cui fu scritta di gran parte dei suoi modelli di pensiero e di espressione e che la Chiesa di oggi proclama il Vangelo ad un mondo assai diverso da quello antico, non è meno vero che il mondo nel quale il Nuovo Testamento fu scritto era già notevolmente cambiato rispetto a quello in cui furono redatte le antiche Scritture del popolo ebraico. Eppure, nel passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, pur nel mutato contesto storico-culturale, si ravvisa una sostanziale coerenza e continuità circa l’insegnamento sull’omosessualità. Tale insegnamento viene inoltre ribadito da San Paolo, come vedremo subito, in rapporto (e in contrapposizione) alla cultura pagana dell’epoca neo-testamentaria, che sul comportamento omosessuale teneva un approccio ben diverso e più permissivo. Segno che la dottrina qui considerata trascende i confini del tempo in quanto riferibile alla natura stessa dell’uomo e all’ordine della creazione come conoscibili anche mediante la ragione. E’ questo il motivo per cui la Tradizione ecclesiastica, consapevole di questa sostanziale “continuità” tra le Scritture antiche e nuove, da sempre include gli atti omosessuali nel novero dei “peccati contro natura”. Significativamente un grande Padre della Chiesa, Sant’Agostino, nelle sue “Confessioni” (capitolo VIII), a proposito di questo tipo di peccati ammette senza mezzi termini che “anche se tutto il genere umano li commettesse, tutto il genere umano sarebbe reo di codesto crimine per la legge di Dio che non ha creato gli uomini perché si unissero in tal modo. Ne è anzi violata la stessa unione che dobbiamo avere con Dio quando la natura di cui Egli è autore si contamina nei pervertimenti della libidine”.

Il punto di vista fondamentale per la comprensione dei problemi posti dall’omosessualità, rileva la “Lettera ai vescovi” del 1986, rimane pertanto ancor oggi la teologia della creazione presente nel libro della Genesi: “Dio, nella sua infinita sapienza e nel suo amore onnipotente, chiama all’esistenza tutta la realtà quale riflesso della sua bontà. Egli crea a sua immagine e somiglianza l’uomo, come maschio e femmina. Gli esseri umani, perciò, sono creature di Dio, chiamate a rispecchiare nella complementarità dei sessi l’interiore unità del Creatore. Essi realizzano questo compito in modo singolare, quando cooperano con lui nella trasmissione della vita, mediante la reciproca donazione sponsale”. Tuttavia, benché il corpo umano conservi comunque il suo “significato sponsale”, questo – dopo la “caduta” dei progenitori – è ora oscurato dal peccato. In particolare, l’attività omosessuale, proprio perché non esprime un’unione complementare capace di trasmettere la vita, “annulla il ricco simbolismo e il significato, per non parlare dei fini, del disegno del Creatore a riguardo della realtà sessuale”. Tale deterioramento dei rapporti tra gli uomini e con Dio, osserva ancora la Congregazione, continua a svilupparsi nella storia di Sodoma (cfr. Gen 19, 1-11). Non vi può essere dubbio sul giudizio morale ivi espresso contro le relazioni omosessuali: giudizio ripreso e reso ancor più esplicito in Levitico 18, 22 e 20, 13. Il libro biblico del Levitico, infatti, annovera tra le unioni proibite anche le relazioni omosessuali, al pari fra l’altro della zoofilia: “Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio. Non ti abbrutirai con alcuna bestia per contaminarti con essa: è una perversione” (Lv 18, 22). Levitico 20, 13 inoltre esclude coloro i quali compiono atti di omosessualità dal popolo di Dio, prevedendo per costoro la pena di morte.

Pur dovendosi ritenere superata con il Cristianesimo la rigida legislazione teocratica dell’antico popolo dell’Alleanza, rimane nondimeno presente nel Nuovo Testamento il giudizio negativo sull’omosessualità. Lo stesso Gesù richiama nel Vangelo l’episodio biblico della distruzione di Sodoma come termine di paragone per descrivere la sorte delle città che non accolgono il suo annuncio: “E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Agli inferi precipiterai! Perché se in Sodoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe!” (Mt 11, 23). Ancor più esplicito san Paolo, che tratta del problema dell’omosessualità in diverse sue epistole. Nella prima lettera ai Corinzi (6, 9), San Paolo elenca tra coloro che non entreranno nel regno di Dio quanti tengono un comportamento omosessuale. Il medesimo comportamento, nella prima lettera a Timoteo (1, 10), viene testualmente qualificato come “contrario alla sana dottrina” del Vangelo. In un altro passaggio del suo epistolario (Romani 1, 18-32), l’Apostolo, collocandosi nel contesto del confronto tra il Cristianesimo e la società pagana dei suoi tempi, presenta il comportamento omosessuale come un esempio della cecità morale nella quale è caduta l’umanità a motivo dell’idolatria: “Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in sé stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento” (Rm 1, 26-27).

Alla luce di questi inconfutabili dati biblici, il Magistero, in armonia con una ininterrotta Tradizione, ripropone al mondo di oggi il costante insegnamento della Chiesa, reagendo contro i tentativi di travisamento della Parola di Dio di una parte dell’esegesi moderna. Il Magistero più recente, però, si preoccupa anche delle difficoltà e del disagio esistenziale che tanti fratelli che intendono sinceramente seguire il Signore incontrano nel loro cammino di fede a motivo della loro condizione omosessuale. La verità morale integrale richiede, infatti, come ci ricorda la più volte citata “Lettera ai vescovi”, oltre alla doverosa condanna del comportamento omosessuale in quanto tale, che sia rispettata la dignità umana di ogni persona, anche omosessuale. La fedeltà al Magistero impone quindi alle stesse comunità cristiane (diocesi e parrocchie) di attuare gli opportuni programmi pastorali e di accompagnamento spirituale, al fine di aiutare a superare quel senso di isolamento e di solitudine che molti fedeli omosessuali sperimentano ancor oggi all’interno della Chiesa.

Sono presenti 3 commenti

Unknown ha detto...

Vai a leggere la lettera di San Paolo apostolo ai Romani dove sulla questione pronuncia un autentica condanna contro l'omosessualità..

Anonimo ha detto...

Gli omosessuali ci sono sempre stati ma almeno se ne vergognavano. Oggi si vergogna chi non lo é! Siamo al paradosso! Ha fatto bene Putin ad estirpare questa piaga.

Anonimo ha detto...

Finocchi o gay: per piacere non parlatene più!
Già c'é molto marciume.
Filippo

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