lunedì, luglio 15, 2013
Oggi si decide in Senato sulle mozioni. Ci sarà una via di mezzo tra pacifismo ad oltranza e retorica?

di Patrizio Ricci

L’acquisizione degli F35 rappresenta la spesa più costosa e più inutile che la Difesa italiana abbia mai affrontato per le proprie Forze Armate. Visto che tra l’altro stiamo mettendo in pensione aerei affatto obsoleti, è opportuno affrontare una spesa così sostanziosa? E’ giusto affidarsi all’industria USA per la difesa europea? E’ intelligente usare armamenti e tecnologie che ci legheranno per sempre alle scelte d’oltreoceano, affrontando per giunta costi superiori? Cerchiamo, per quanto possibile, di rispondere a queste domande: è al primo posto l’evidenza che in un periodo di crisi come quello attuale è necessario fare scelte razionali. Se è vero che non si tratta di sostituire la difesa con gli asili nido (facendo la conta per vedere quanti se ne potrebbero costruire con la stessa cifra), è altrettanto vero che non si possono chiedere sacrifici agli italiani senza esaminare soluzioni alternative.

La necessità di sostituire gli attuali aerei da combattimento AMX e Tornado per normale turnover era già stata affrontata trenta anni fa. Allo scopo si era realizzato un consorzio costituito da Gran Bretagna, Germania, Spagna e Italia. Il nuovo aereo nato nel 2005 da questo progetto è l’Eurofighter 2000 “Typhoon”, un velivolo multiruolo con compito primario di caccia da superiorità aerea e intercettore che la nostra Aeronautica Militare schiera in linea di volo per un totale di 96 esemplari. L’Eurofighter rispondeva a due requisiti principali: possesso di caratteristiche tecniche per far fronte efficacemente a eventuali minacce aeree e di forze di attacco terrestri; concezione e produzione interamente europea. Progettare e sviluppare il velivolo interamente in Europa era dettato dalla necessità di affrancarsi dalla dipendenza dagli Stati Uniti in quanto a tecnologie militari. Particolare non trascurabile anche sul piano industriale, perché i quattro Paesi che hanno dato origine al progetto assemblano autonomamente i propri velivoli.

Ma che centra l’Eurofighter con l’F35? Le differenze con l’F35 sono minime (la Gran Bretagna ha effettuato modifiche al prototipo iniziale che lo rendono idoneo anche come cacciabombardiere), tanto che diversi report dimostrano che il primo è tecnicamente più che affidabile per i compiti istituzionali. E’ un fatto che la Germania ha scelto di assegnare alla difesa aerea del proprio territorio esclusivamente l’Eurofighter, senza acquisizioni di F35. La decisione tedesca (che si trova in condizioni economiche migliori delle nostre) ha tenuto anche conto dei costi: il prezzo attuale di un Eurofighter è di 69 milioni di euro mentre il costo dell'F35 è di circa 99 milioni di euro; quello della variante per decollo verticale, pronta solo nel 2015, sarà di 127 milioni di dollari (a queste cifre vanno aggiunti anche i costi di manutenzione e di armamento). La Germania non è il solo paese ad aver rinunciato totalmente o in parte all’F35; molti paesi hanno deciso di rinunciare o ridimensionare il numero di esemplari ordinati: la commessa inglese di 130 aerei si è ridimensionata a 20; il Canada (sulla scorta di uno studio che indicava eccessivi i costi di manutenzione) vi ha rinunciato del tutto e ha riaperto una gara (eventualmente per l’acquisto dell’ Eurofighter o del francese Rafale); la Danimarca, l’Australia e la Turchia hanno preso la stessa decisione ed hanno sospeso il programma; l’Olanda ha notevolmente ridimensionato le sue ordinazioni e persino gli Stati Uniti stanno valutando l'annullamento della versione B, quella a decollo ed atterraggio verticale che la Marina italiana ha scelto (al posto degli Harrier) come propria portaerei.

Insomma sussistono molti i dubbi sugli F35, anche di natura tecnica. Intervistato da Riccardo Iacona per ‘Presa Diretta’ (Rai 3 - 3 febb 2013) il padre degli aerei A-10 e F-16, l'ingegnere progettista aeronautico Pierre Sprey, considerato uno dei massimi esperti mondiali di aerei da combattimento, è stato più che esplicito: "L'F35 è l'aereo peggiore che abbiano mai costruito... dalla catapulta, al gancio, alla coda, alla visuale del pilota, al software del casco è tutto un disastro e - ha aggiunto - ognuno di questi aerei, per tutta la sua vita, compreso la manutenzione, vi costerà intorno ai 700 milioni di dollari... un cappio al vostro collo per 20 anni". Potremmo avere delle riserve su critiche così devastanti, sennonché in un rapporto anche il Pentagono esprime gravi riserve: “I difetti sull’aereo sono strutturali e non eliminabili”, “in un futuro duello aereo l’F-35 verrebbe abbattuto dai vecchi caccia americani F-15, F-16 e F-18 (evoluzioni di modelli che volano da 30 o 40 anni, ndr), dal pan-europeo Typhoon e dal Sukhoi 30 russo e dal J-10 cinese”. Critiche al progetto sono arrivate anche da parte di importanti riviste nel settore come l’italiana ‘Analisi Difesa’ e la statunitense ‘World Military Affair’. Anche un gruppo di piloti statunitensi collaudatori, che hanno provato in volo il mezzo, l'ha definito "per niente stellare” e ne hanno suggerito la riprogettazione. La ‘Rand Corporation’ (una società di indagini strategiche USA che collabora con il Dipartimento di Stato USA) ha dichiarato che l’aereo "non è in grado di virare, né di salire di quota, né di accelerare".

Insomma intorno al progetto non tira una bell’aria: sarà per questo che la Lockheed Martin (l’azienda costruttrice) , temendo un esodo di massa da parte degli stati compratori, ha deciso di mettere gli acquirenti di fronte al fatto compiuto: ha avviato la produzione del caccia prima ancora di ultimare il progetto e perfezionare il prototipo.

E’ sconcertante che, malgrado queste riserve, l’Italia sia rimasta la sola in Europa a non procedere a un’accurata riflessione politica. Le dichiarazioni dei massimi responsabili della Difesa intanto sono sorprendenti; il Ministro Mario Mauro in un’intervista al Messaggero ha dichiarato che i “sistemi di difesa avanzati, come gli F35 (ndr: F35 ‘Joint Strike Fighter’ significa ‘caccia bombardiere d’attacco e immediata distruzione’) servono per fare la pace”. I fatti ovviamente dicono esattamente il contrario: basta guardare alla disastrosa situazione libica per capire che con le bombe si vincono le guerre ma non si costruisce la pace.

La soluzione sarebbe discuterne serenamente, ma la nota del Consiglio supremo della Difesa ‘non è compito del Parlamento decidere sulla questione‘ non fa ben sperare. Comunque, vedremo se è dello stesso avviso il Senato, chiamato oggi a rispondere alle mozioni che saranno presentate. Né la parola ‘pace’ né le pretese d’insindacabilità sulle decisioni prese possono distogliere dal sospetto che ci siano in ballo ben altre questioni rispetto alle considerazioni di natura tecnica ed economica sin qui accennate. Lo capiremo dall’esito della seduta di oggi al Senato: speriamo che prevalgano non gli interessi industriali e la ‘realpolitik’ delle alleanze ma il bene collettivo ed il buon senso.


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