Necessario introdurre in Italia il reato di tortura:
lo dicono oltre 40 associazioni impegnate in una raccolta firme
lo dicono oltre 40 associazioni impegnate in una raccolta firme
Sette condanne definitive, 33 prescrizioni del reato, 4 assouzioni: il verdetto pronunciato ieri dalla Cassazione sulle violenze a Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001, “lasciano una ferita aperta”. Il commento è di Amnesty International che in una nota rileva come la mancanza del reato di tortura nel codice penale italiano abbia "impedito ai giudici di punire i responsabili in modo proporzionato alla gravità della condotta loro attribuita".
Radio Vaticana - Una quarantina, intanto, le associazioni impegnate nella raccolta di firme a sostegno di una legge di iniziativa popolare che introduca proprio questo tipo di reato come spiega, al microfono di Adriana Masotti, Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone:
R. – Prima di tutto, perché forse è l’unico delitto di cui c’è l’obbligo costituzionale a prevederne la fattispecie nel nostro Codice penale: infatti, l’unica volta che nella Costituzione si usa la parola “punizione” è l’articolo 13 a proposito di chi ha obblighi di custodia. Poi, perché c’è un obbligo internazionale, una Convenzione del 1984 delle Nazioni Unite che ci obbliga – come obbliga tutti i Paesi del mondo – a prevedere una norma in merito all’interno del proprio Codice penale. L’Italia ha ratificato quella Convenzione ma non si è mai adeguata, e quindi nel nostro Codice ci sono varie migliaia di norme penali di tutti i tipi – puniamo tutto! – ma non puniamo chi commette un crimine contro l’umanità. E quindi è una vera e propria ingiustizia, e nel caso di Bolzaneto questo è stato esplicitato dai giudici sin dal primo grado di giudizio, dicendo: “Se avessimo avuto il delitto di tortura, non saremmo arrivati alla prescrizione”.
D. – La norma che voi proponete che vuole introdurre, appunto, il reato di tortura, parla esplicitamente di “un reato commesso da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio”; non vuole quindi colpire un qualunque cittadino che infligga torture ad un altro…
R. – Per i cittadini ci sono già le norme presenti: ci sono le lesioni, c’è l’omicidio … Il punto è che la tortura è qualcos’altro: è qualcosa che riguarda il rapporto tra lo Stato ed i suoi cittadini, è qualcosa che investe l’etica dello Stato, il suo modo di essere. Noi vorremmo che le forze dell’ordine in generale fossero i primi garanti dei diritti, quelli a cui affidare noi e i nostri figli e non quelli da cui temere. Ecco: bisogna proprio rovesciare l’ottica. E in questa grande campagna per l’introduzione del delitto di tortura vorremmo avere vicini tutti i corpi di polizia, “complici” con noi in questa battaglia, per dare il segno che chi commette violenze è veramente una mela marcia. Se invece vediamo che loro si difendono, che dicono che non ce n’è bisogno, a quel punto noi pensiamo che non si tratti di una questione di mele marce, ma che sia una questione di un inqualificabile realismo politico.
D. – Ecco: si tratta quindi di un’assunzione di responsabilità e di volontà politica. Basterà allora, per cambiare le cose, l’introduzione del reato di tortura?
R. – Noi non pensiamo che una volta introdotto il reato, allora abbiamo sradicato i rischi e il problema. E’ chiaro: non è che una volta introdotto il delitto di violenza sessuale siano finite le violenze sessuali. Ma a quel punto c’è quantomeno la condizione necessaria per punire. Poi, condizione sufficiente è il lavoro culturale con le forze della magistratura e quindi poi bisognerà fare un lavoro di prevenzione, ma sarà più facile farlo … Dobbiamo raccogliere 50 mila firme per dare il segno che questi non sono temi di minoranza, ma sono temi che investono le persone, sono i temi della democrazia liberale: non sono i temi di poche sparute frange estremiste. Il divieto di tortura ha origini nell’Habeas Corpus del 1215 della Magna Charta Libertatum anglosassone; nasce nelle democrazie liberali, nasce nel divieto di detenzioni arbitrarie … Speriamo, questa volta, di riuscirci in modo sereno. Si può andare anche nei comuni a firmare, oltre che sui siti e, lo segnalo, il 26 giugno, Giornata mondiale dell’Onu a favore delle vittime della tortura, ci saranno manifestazioni in tantissime piazze italiane. A Roma, l’appuntamento è a Piazza Farnese.
Radio Vaticana - Una quarantina, intanto, le associazioni impegnate nella raccolta di firme a sostegno di una legge di iniziativa popolare che introduca proprio questo tipo di reato come spiega, al microfono di Adriana Masotti, Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone:R. – Prima di tutto, perché forse è l’unico delitto di cui c’è l’obbligo costituzionale a prevederne la fattispecie nel nostro Codice penale: infatti, l’unica volta che nella Costituzione si usa la parola “punizione” è l’articolo 13 a proposito di chi ha obblighi di custodia. Poi, perché c’è un obbligo internazionale, una Convenzione del 1984 delle Nazioni Unite che ci obbliga – come obbliga tutti i Paesi del mondo – a prevedere una norma in merito all’interno del proprio Codice penale. L’Italia ha ratificato quella Convenzione ma non si è mai adeguata, e quindi nel nostro Codice ci sono varie migliaia di norme penali di tutti i tipi – puniamo tutto! – ma non puniamo chi commette un crimine contro l’umanità. E quindi è una vera e propria ingiustizia, e nel caso di Bolzaneto questo è stato esplicitato dai giudici sin dal primo grado di giudizio, dicendo: “Se avessimo avuto il delitto di tortura, non saremmo arrivati alla prescrizione”.
D. – La norma che voi proponete che vuole introdurre, appunto, il reato di tortura, parla esplicitamente di “un reato commesso da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio”; non vuole quindi colpire un qualunque cittadino che infligga torture ad un altro…
R. – Per i cittadini ci sono già le norme presenti: ci sono le lesioni, c’è l’omicidio … Il punto è che la tortura è qualcos’altro: è qualcosa che riguarda il rapporto tra lo Stato ed i suoi cittadini, è qualcosa che investe l’etica dello Stato, il suo modo di essere. Noi vorremmo che le forze dell’ordine in generale fossero i primi garanti dei diritti, quelli a cui affidare noi e i nostri figli e non quelli da cui temere. Ecco: bisogna proprio rovesciare l’ottica. E in questa grande campagna per l’introduzione del delitto di tortura vorremmo avere vicini tutti i corpi di polizia, “complici” con noi in questa battaglia, per dare il segno che chi commette violenze è veramente una mela marcia. Se invece vediamo che loro si difendono, che dicono che non ce n’è bisogno, a quel punto noi pensiamo che non si tratti di una questione di mele marce, ma che sia una questione di un inqualificabile realismo politico.
D. – Ecco: si tratta quindi di un’assunzione di responsabilità e di volontà politica. Basterà allora, per cambiare le cose, l’introduzione del reato di tortura?
R. – Noi non pensiamo che una volta introdotto il reato, allora abbiamo sradicato i rischi e il problema. E’ chiaro: non è che una volta introdotto il delitto di violenza sessuale siano finite le violenze sessuali. Ma a quel punto c’è quantomeno la condizione necessaria per punire. Poi, condizione sufficiente è il lavoro culturale con le forze della magistratura e quindi poi bisognerà fare un lavoro di prevenzione, ma sarà più facile farlo … Dobbiamo raccogliere 50 mila firme per dare il segno che questi non sono temi di minoranza, ma sono temi che investono le persone, sono i temi della democrazia liberale: non sono i temi di poche sparute frange estremiste. Il divieto di tortura ha origini nell’Habeas Corpus del 1215 della Magna Charta Libertatum anglosassone; nasce nelle democrazie liberali, nasce nel divieto di detenzioni arbitrarie … Speriamo, questa volta, di riuscirci in modo sereno. Si può andare anche nei comuni a firmare, oltre che sui siti e, lo segnalo, il 26 giugno, Giornata mondiale dell’Onu a favore delle vittime della tortura, ci saranno manifestazioni in tantissime piazze italiane. A Roma, l’appuntamento è a Piazza Farnese.
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