Papa Francesco ha ricordato Giovanni XXIII, riconosciuto dal mondo intero come pastore e padre. L'obbedienza, ha detto Bergoglio, per Roncalli è stata lo strumento necessario per raggiungere la pace.
Città Nuova - Il 3 giugno è stata la ricorrenza dei cinquant'anni dalla morte di papa Giovanni. Una morte davanti al mondo, una morte offerta per l’unità della Chiesa e per la pace. Una morte che ha insegnato a molti credenti e non credenti a morire davanti a Dio e ai fratelli.
Nella morte di Roncalli è giunta a pienezza la vita di un cristiano diventato papa. E la sua morte è diventata il sigillo al Concilio, che aveva celebrato la sua prima sessione, e all’impegno per la pace, che, con la Pacem in terris, è diventata annuncio solenne della fine della giustificazione della guerra nell’era nucleare.
Papa Bergoglio ha ricordato tutto questo in modo solenne in occasione del pellegrinaggio della comunità di Bergamo che si è compiuto martedì a Roma. Francesco ha ricordato innanzitutto quei giorni e quell’ora: «Piazza San Pietro era diventata un santuario a cielo aperto, accogliendo giorno e notte fedeli di tutte le età e condizioni sociali, in trepidazione e preghiera per la salute del papa. Il mondo intero aveva riconosciuto in papa Giovanni un pastore e un padre. Pastore perché padre».
Chi, come me, ricorda ancora l’emozione di quei giorni e di quell’ora, ha presente questo grande mistero di paternità, espresso nel discorso alla luna dell’11 ottobre 1962, all’apertura del Concilio, ma anche il 17 marzo 1963, quando in San Pietro l’ho visto luminoso negli occhi, ma ferito e provato nel corpo dal cancro che lo avrebbe portato alla morte. Per tutti è stato il volto visibile della paternità di Dio, innanzitutto per i bambini, i carcerati, i poveri, i malati.
Papa Francesco ha colto il cuore della santità di papa Giovanni nel suo motto episcopale: oboedientia et pax (obbedienza e pace). Dalla obbedienza alla pace. Così ha commentato il papa: «Se la pace è stata la caratteristica esteriore, l’obbedienza ha costituito per Roncalli la disposizione interiore: l’obbedienza è stata lo strumento per raggiungere la pace».
Il papa così ha commentato: «Ancora più profondamente, mediante questo abbandono quotidiano alla volontà di Dio, il futuro papa Giovanni ha vissuto una purificazione, che gli ha permesso di distaccarsi completamente da sé stesso e di aderire a Cristo, lasciando così emergere quella santità che la Chiesa ha poi ufficialmente riconosciuto: "Chi perderà la propria vita per me, la salverà”, ci dice Gesù (Lc.9,24). Qui sta la vera sorgente della bontà di papa Giovanni, della pace che ha diffuso nel mondo, qui si trova la radice della sua santità».
Papa Giovanni è stato dunque un uomo e un cristiano fatto e guidato da Dio, dalla sua obbedienza all’Evangelo e in questa azione di purificazione e di visita del Signore ha incontrato i drammi della storia a partire dalla pace, che appena pochi mesi prima, con la crisi di Cuba, aveva vissuto ore angosciose. Secondo questa prospettiva tutto è teologale in lui, anche la sua bontà, frutto cioè di grazia e non di sentimenti superficiali. Davvero Roncalli ha perso la sua vita per il Vangelo e per il Signore.
Ha concluso papa Francesco: «A cinquant'anni dalla sua morte, la guida sapiente e paterna di papa Giovanni, il suo amore per la tradizione della Chiesa e la consapevolezza del suo costante bisogno di aggiornamento, l’intuizione profetica della convocazione del Concilio Vaticano II e l’offerta della propria vita restano pietre miliari nella storia della Chiesa del XX secolo, un faro luminoso per il cammino che ci attende».
Ecco il mistero di Roncalli, come profeta del Concilio, come lampada ai nostri passi, per il tempo che ci sta dinanzi, secondo quanto dice il salmo, e come visita di Dio nella nostra storia. Ecco quanto diceva Roncalli nell’ultimo discorso pubblico, per la ricezione del premio Balzan, il 10 maggio, venti giorni prima di morire: «Non più l’ora della vendetta, della rivincita, delle rivalità sanguinose; non più l’ora di un nuovo ricorso alla forza, che l’umanità non accetta, che la coscienza cristiana respinge con orrore… Il perdono, che parola commovente! Amo vedervi il sigillo del mio servizio di vescovo della Chiesa di Dio. Vorrei che essa fosse per tutti un richiamo a un rinnovamento per il bene, per la verità e per la giustizia. Il perdono sia sulle labbra e nel cuore di tutti, sempre! Il perdono a ben considerarlo è forza e giovinezza di animo, sicurezza di divine benedizioni, garanzia di successo vero e durevole. Oboedientia et pax; pax et evangelium. Vangelo di obbedienza a Dio, di misericordia e di perdono: ecco il programma che l’umile servo dei servi di Dio propone a tutti gli uomini di buona volontà».
Nel comprendere e raccontare papa Giovanni, papa Francesco rivela il suo mistero: due papi e l’unica visita di Dio.
Città Nuova - Il 3 giugno è stata la ricorrenza dei cinquant'anni dalla morte di papa Giovanni. Una morte davanti al mondo, una morte offerta per l’unità della Chiesa e per la pace. Una morte che ha insegnato a molti credenti e non credenti a morire davanti a Dio e ai fratelli.
Nella morte di Roncalli è giunta a pienezza la vita di un cristiano diventato papa. E la sua morte è diventata il sigillo al Concilio, che aveva celebrato la sua prima sessione, e all’impegno per la pace, che, con la Pacem in terris, è diventata annuncio solenne della fine della giustificazione della guerra nell’era nucleare.
Papa Bergoglio ha ricordato tutto questo in modo solenne in occasione del pellegrinaggio della comunità di Bergamo che si è compiuto martedì a Roma. Francesco ha ricordato innanzitutto quei giorni e quell’ora: «Piazza San Pietro era diventata un santuario a cielo aperto, accogliendo giorno e notte fedeli di tutte le età e condizioni sociali, in trepidazione e preghiera per la salute del papa. Il mondo intero aveva riconosciuto in papa Giovanni un pastore e un padre. Pastore perché padre».
Chi, come me, ricorda ancora l’emozione di quei giorni e di quell’ora, ha presente questo grande mistero di paternità, espresso nel discorso alla luna dell’11 ottobre 1962, all’apertura del Concilio, ma anche il 17 marzo 1963, quando in San Pietro l’ho visto luminoso negli occhi, ma ferito e provato nel corpo dal cancro che lo avrebbe portato alla morte. Per tutti è stato il volto visibile della paternità di Dio, innanzitutto per i bambini, i carcerati, i poveri, i malati.
Papa Francesco ha colto il cuore della santità di papa Giovanni nel suo motto episcopale: oboedientia et pax (obbedienza e pace). Dalla obbedienza alla pace. Così ha commentato il papa: «Se la pace è stata la caratteristica esteriore, l’obbedienza ha costituito per Roncalli la disposizione interiore: l’obbedienza è stata lo strumento per raggiungere la pace».
Il papa così ha commentato: «Ancora più profondamente, mediante questo abbandono quotidiano alla volontà di Dio, il futuro papa Giovanni ha vissuto una purificazione, che gli ha permesso di distaccarsi completamente da sé stesso e di aderire a Cristo, lasciando così emergere quella santità che la Chiesa ha poi ufficialmente riconosciuto: "Chi perderà la propria vita per me, la salverà”, ci dice Gesù (Lc.9,24). Qui sta la vera sorgente della bontà di papa Giovanni, della pace che ha diffuso nel mondo, qui si trova la radice della sua santità».
Papa Giovanni è stato dunque un uomo e un cristiano fatto e guidato da Dio, dalla sua obbedienza all’Evangelo e in questa azione di purificazione e di visita del Signore ha incontrato i drammi della storia a partire dalla pace, che appena pochi mesi prima, con la crisi di Cuba, aveva vissuto ore angosciose. Secondo questa prospettiva tutto è teologale in lui, anche la sua bontà, frutto cioè di grazia e non di sentimenti superficiali. Davvero Roncalli ha perso la sua vita per il Vangelo e per il Signore.
Ha concluso papa Francesco: «A cinquant'anni dalla sua morte, la guida sapiente e paterna di papa Giovanni, il suo amore per la tradizione della Chiesa e la consapevolezza del suo costante bisogno di aggiornamento, l’intuizione profetica della convocazione del Concilio Vaticano II e l’offerta della propria vita restano pietre miliari nella storia della Chiesa del XX secolo, un faro luminoso per il cammino che ci attende».
Ecco il mistero di Roncalli, come profeta del Concilio, come lampada ai nostri passi, per il tempo che ci sta dinanzi, secondo quanto dice il salmo, e come visita di Dio nella nostra storia. Ecco quanto diceva Roncalli nell’ultimo discorso pubblico, per la ricezione del premio Balzan, il 10 maggio, venti giorni prima di morire: «Non più l’ora della vendetta, della rivincita, delle rivalità sanguinose; non più l’ora di un nuovo ricorso alla forza, che l’umanità non accetta, che la coscienza cristiana respinge con orrore… Il perdono, che parola commovente! Amo vedervi il sigillo del mio servizio di vescovo della Chiesa di Dio. Vorrei che essa fosse per tutti un richiamo a un rinnovamento per il bene, per la verità e per la giustizia. Il perdono sia sulle labbra e nel cuore di tutti, sempre! Il perdono a ben considerarlo è forza e giovinezza di animo, sicurezza di divine benedizioni, garanzia di successo vero e durevole. Oboedientia et pax; pax et evangelium. Vangelo di obbedienza a Dio, di misericordia e di perdono: ecco il programma che l’umile servo dei servi di Dio propone a tutti gli uomini di buona volontà».
Nel comprendere e raccontare papa Giovanni, papa Francesco rivela il suo mistero: due papi e l’unica visita di Dio.
di Massimo Toschi
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