Gli italiani per verdura e frutta pensano al “fai da te”.
GreenReport - «Nell’ultimo anno gli “urban farmer” che coltivano stabilmente l’orto in terrazzo o su piccoli appezzamenti di terra cittadini sono cresciuti del 9 per cento, passando da 4,5 milioni a 4,9 milioni», hanno spiegato dalla Cia. Ma secondo la Confederazione italiana agricoltori il fenomeno del “fai da te” agricolo riguarda una fascia di persone molto più ampia, con una famiglia su tre che nel proprio giardino o addirittura sul terrazzo di casa sostituisce i fiori con qualche pianta di basilico, peperoncini e pomodori ciliegini.
Una rinnovata passione per la terra o anche questo nuovo fenomeno è collegato alla triste congiuntura economica? Per la Cia non ci sono dubbi: la crisi influisce eccome. «Nell’anno del crollo record dei consumi, con 7 famiglie su 10 costrette a “tagliare” quantità e qualità del cibo, gli orti urbani cambiano pelle e da hobby del week-end diventano una pratica quotidiana “anticrisi”.
Oggi infatti sono sempre di più gli italiani che coltivano zucchine, lattuga e limoni in giardino o sul balcone, risparmiando minimo il 10 per cento sulla spesa mensile per frutta e verdura e garantendosi la completa trasparenza e tracciabilità alimentare. Nella classifica dei prodotti agricoli più gettonati tra i nuovi “farmer” urbani-hanno aggiunto dalla Cia- al primo posto ci sono verdure da mangiare a crudo, come insalate e pomodori (36 per cento). Seguono le erbe aromatiche (29 per cento), la frutta (18 per cento) e infine verdure da cuocere, come zucchine, melanzane e piselli (17 per cento)» hanno concluso dalla Cia.
Del resto i numeri attinenti gli orti urbani evidenziano una crescita netta sia per l’estensione delle superfici con 1,8 milioni di ettari coltivati in tutta Italia nelle aree cittadine, sia per l’impegno delle amministrazioni locali a sostegno del “city farming”, con quasi 4 comuni su 10 tra i capoluoghi di provincia che prevedono spazi di verde pubblico da adibire alle coltivazioni a uso domestico. Nel caso degli orti il vantaggio è duplice perché si dà un sostegno alle famiglie e si sottraggono all’incuria e al degrado terreni per lo più lasciati incolti e abbandonati. Ciò a patto che gli orti e anche i terrazzi in casa vengano coltivati senza aiuto di pesticidi e fertilizzanti chimici, altrimenti si produce un danno all’ambiente e nel piatto si mangia “chimica”, ancorché tracciabile.
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Una rinnovata passione per la terra o anche questo nuovo fenomeno è collegato alla triste congiuntura economica? Per la Cia non ci sono dubbi: la crisi influisce eccome. «Nell’anno del crollo record dei consumi, con 7 famiglie su 10 costrette a “tagliare” quantità e qualità del cibo, gli orti urbani cambiano pelle e da hobby del week-end diventano una pratica quotidiana “anticrisi”.
Oggi infatti sono sempre di più gli italiani che coltivano zucchine, lattuga e limoni in giardino o sul balcone, risparmiando minimo il 10 per cento sulla spesa mensile per frutta e verdura e garantendosi la completa trasparenza e tracciabilità alimentare. Nella classifica dei prodotti agricoli più gettonati tra i nuovi “farmer” urbani-hanno aggiunto dalla Cia- al primo posto ci sono verdure da mangiare a crudo, come insalate e pomodori (36 per cento). Seguono le erbe aromatiche (29 per cento), la frutta (18 per cento) e infine verdure da cuocere, come zucchine, melanzane e piselli (17 per cento)» hanno concluso dalla Cia.
Del resto i numeri attinenti gli orti urbani evidenziano una crescita netta sia per l’estensione delle superfici con 1,8 milioni di ettari coltivati in tutta Italia nelle aree cittadine, sia per l’impegno delle amministrazioni locali a sostegno del “city farming”, con quasi 4 comuni su 10 tra i capoluoghi di provincia che prevedono spazi di verde pubblico da adibire alle coltivazioni a uso domestico. Nel caso degli orti il vantaggio è duplice perché si dà un sostegno alle famiglie e si sottraggono all’incuria e al degrado terreni per lo più lasciati incolti e abbandonati. Ciò a patto che gli orti e anche i terrazzi in casa vengano coltivati senza aiuto di pesticidi e fertilizzanti chimici, altrimenti si produce un danno all’ambiente e nel piatto si mangia “chimica”, ancorché tracciabile.
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