martedì, maggio 14, 2013
La morte delle tre persone prese a picconate da un immigrato ha generato reazioni nobili e manifestazioni politiche di dubbia opportunità. I compagni di Daniele, il giovane deceduto ieri hanno scritto a Pisapia: «vogliamo fermare la spirale di violenza dedicando una strada al nostro amico»

Città Nuova - La reazione più bella e nobile, davanti al gesto del folle, che all’alba di sabato mattina ha ucciso tre persone a picconate in zona Niguarda, a Milano, l’hanno data i genitori di Daniele il ragazzo di 21 anni, acconsentendo alla donazione degli organi e permettendo così al figlio di continuare a vivere in altre persone. In questi giorni la città è scossa dal terribile accaduto e dall’indifferenza della gente che ne è stata testimone, poiché è inspiegabile a tutti il ritardo con cui sono state chiamate le forze dell’ordine.

E altrettanto vergognosa è la reazione di un altro gruppo di cittadini che con striscioni manifestava convinto che «la cittadinanza agli immigrati porta all’invasione del Paese». Sfiora il ridicolo la presenza dei leghisti come Borghezio, dell’ex presidente del Consiglio regionale Boni, e di alcuni consiglieri provinciali che accusavano del massacro il presidente della Camera, Laura Boldrini e il ministro per l’integrazione Cécile Kyenge. Mentre nobile e intelligente è stato lo sdegno degli abitanti del quartiere, che davanti a questa rassegna gratuita di stupidità, non hanno raccolto alcuna provocazione costringendo il gruppo ad una vergognosa “ritirata”.

Renzo è un abitante della zona che si domanda «cosa c’entri quanto è accaduto qui con il diritto alla cittadinanza dei figli degli immigrati regolari. Mada Kabobo forse ha chiesto asilo, ma sarà uno dei tanti “dimenticati” dalle leggi in corso e che la Lega ha contribuito a rendere ancora più odiose e inefficienti». Qui lo sanno bene che il ritorno dell’esercito a presidiare i quartieri a rischio, serve a ben poco. Dice qualcuno che il disagio psichico non si combatte a colpi di mitra mostrati da giovani ragazzi in divisa. Che tra l’altro c’erano già stati un paio d’anni fa e che erano serviti a ben poco, se non solamente per aumentare la confusione.

Quello che in fondo hanno provocato le quattro bottiglie molotov pronte all’uso, fatte trovare davanti a un centro di assistenza per rifugiati politici in via Antonio Fortunato Stella. Milano cerca di reagire, la gente che vive di fatto già mescolata nella quotidianità, sa benissimo che in una città grande, arrivi, partenze e soste di persone di ogni razza e nazionalità sono un fatto normale. Sanno molto bene che tra questi ci sono persone con problemi seri dovuti al lavoro e alla salute psichica. Sanno molto bene dove questi si ritrovano per vivere e sopravvivere. Anziché mettere in strada le forze dell’ordine, forse la prima proposta positiva potrebbe essere quella di mandare educatori di strada. Intanto gli amici di Daniele Carella con una lettera, inviata al sindaco, lo invitano a dedicargli la strada dove abitava. E’ una lettera molto bella, ricca di spunti positivi e di semplicità, quella tipica di ragazzi che sanno, nonostante tutto, guardare il positivo.

Eccone una parte.: «Abitiamo un mondo pieno di ingiustizie, in cui ad andarsene è stato il più generoso tra di noi, il più disponibile. Se nessuno merita una morte così, lui la meritava ancora meno degli altri. Daniele era sempre disposto a dare una mano, a condividere quel poco che aveva, a portarci tutti fuori la sera in macchina quando eravamo a piedi. Abbiamo apprezzato la sua visita, domenica sera, e abbiamo ascoltato la sua disponibilità ad aiutare le famiglie delle vittime «pubblicamente o privatamente», per usare le sue stesse parole. Ecco, la famiglia di Daniele siamo noi: il quartiere. Il cortile. Due generazioni unite, perché le nostre mamme e papà sono tra loro come fratelli.

Ci appelliamo a lei, perché questa morte ingiusta possa trovare un senso. Noi abbiamo perso un amico, ma la città ha perso un cittadino. Quello che è successo è inspiegabile, vorremmo poter parlare con chi ha strappato Daniele dalle nostre vite. Gli dimostreremmo che non siamo come lui. Che la vendetta non serve, che nessuno merita di morire così. Neppure uno come lui. Conta poco il colore della sua pelle e la sua storia. Conta quello che ha fatto. E anche se la rabbia serpeggia tra noi, vogliamo fermare la spirale di violenza. Per questo pensiamo che il modo migliore per farlo, sia un segnale della sua Amministrazione. E cioè che la via in cui viviamo - che già da ieri non è più la stessa - cambi anche nome. Chiamiamola via Daniele Carella».

di Silvano Gianti


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