Un comunicato di Aiuto alla Chiesa che Soffre relativo all’attuale situazione nella Repubblica Centrafricana. Su richiesta del vescovo di Kaga Bandoro, monsignor Albert Vanbuel, la fondazione pontificia ha già stanziato un contributo iniziale di 40mila euro.
«Abbiamo accolto con gioia gli accordi di Libreville. Ma fino a che non sarà formato un nuovo governo e i ribelli non si ritireranno, le difficoltà continueranno a moltiplicarsi». Così scriveva il 23 gennaio scorso monsignor Albert Vanbuel, vescovo di Kaga Bandoro nella Repubblica Centrafricana, in una toccante richiesta di sostegno ad Aiuto alla Chiesa che Soffre. La fondazione pontificia ha prontamente risposto all’appello con un contributo iniziale di 40mila euro. Pochi giorni dopo la presentazione del nuovo governo di unità nazionale – istituzione stabilita dagli accordi di pace firmati a Libreville, in Gabon, l’11 gennaio – si registrano ancora episodi di violenza e saccheggi a danno della popolazione civile.
Dall’indipendenza del 1960 ad oggi, quella della Repubblica Centrafricana è una storia di ribellioni, povertà e instabilità politica. L’ultimo capitolo si aperto il 10 dicembre scorso con l’avanzata verso la capitale Bangui della Seleka, coalizione ribelle composta da vari movimenti armati provenienti in prevalenza dal Nordest del Paese. A muovere i ribelli, l’accusa al presidente François Bozizé di non aver rispettato i precedenti accordi del 2008 e del 2011 che prevedevano la smobilitazione e il reintegro degli ex guerriglieri nell’esercito regolare. «Il processo di disarmo, smobilitazione e reintegro è iniziato soltanto nel 2012 – racconta il vescovo – e il primo dei tre punti è per ora l’unico ad aver trovato attuazione».
La diocesi amministrata da monsignor Vanbuel è sulla strada che da Chad e Sudan porta alla capitale centrafricana e costituisce «un passaggio obbligato per le tante fazioni dissidenti presenti nel nostro Paese». La Seleka è giunta a Kaga Bandoro qualche giorno prima di Natale. Al suo arrivo la coalizione non ha trovato alcuna resistenza, perché le autorità e le forze lealiste avevano già abbandonato la città. Dopo il comune, la prefettura e il tribunale, il 16 gennaio è stato svaligiato anche l’arcivescovado. I ribelli hanno inoltre fatto razzia delle riserve di grano e dei campi di manioca e dato alle fiamme l’unico deposito di carburante della regione.
Secondo stime della FAO, centinaia di migliaia di persone si sono rifugiate nella boscaglia in seguito agli scontri e alla distruzione delle proprie case. La diocesi di Kaga Bandoro ne ha accolte più di 450. Gran parte della popolazione è gravemente denutrita, malata e senza accesso alle cure mediche. Peraltro le poche strutture sanitarie ancora aperte hanno esaurito i medicinali o sono state saccheggiate.
Nelle diocesi di Kaga Bandoro, Bambari, Alindao e Nagassou la Caritas e la Croce Rossa sono le uniche rimaste. «Le organizzazioni non governative ed il personale medico si sono dovuti trasferire a Bangui – spiega ad ACS l’abate Elysée Guejande della Caritas Centrafricana - con il conseguente aumento del rischio di mortalità nelle aree di conflitto. Tutto dipende ora dall’apertura dei corridoi umanitari». La Chiesa è il solo punto di riferimento della popolazione locale. Ma i bisogni sono molti e le poche risorse a disposizione già esaurite. Ecco perché Aiuto alla Chiesa che Soffre ha immediatamente risposto all’appello di monsignor Vanbuel con un contributo iniziale di 40mila euro. «Tutto è stato distrutto – scrive il presule - Quale avvenire ci sarà per il nostro povero Paese? La povertà spinge gli uomini a rubare quel poco che non è stato portato via dai ribelli. Le scuole sono ancora chiuse, le strutture sanitarie vuote. La gente ha paura di tornare a lavorare nei campi. Chi ci aiuterà?»
«Abbiamo accolto con gioia gli accordi di Libreville. Ma fino a che non sarà formato un nuovo governo e i ribelli non si ritireranno, le difficoltà continueranno a moltiplicarsi». Così scriveva il 23 gennaio scorso monsignor Albert Vanbuel, vescovo di Kaga Bandoro nella Repubblica Centrafricana, in una toccante richiesta di sostegno ad Aiuto alla Chiesa che Soffre. La fondazione pontificia ha prontamente risposto all’appello con un contributo iniziale di 40mila euro. Pochi giorni dopo la presentazione del nuovo governo di unità nazionale – istituzione stabilita dagli accordi di pace firmati a Libreville, in Gabon, l’11 gennaio – si registrano ancora episodi di violenza e saccheggi a danno della popolazione civile.
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La diocesi amministrata da monsignor Vanbuel è sulla strada che da Chad e Sudan porta alla capitale centrafricana e costituisce «un passaggio obbligato per le tante fazioni dissidenti presenti nel nostro Paese». La Seleka è giunta a Kaga Bandoro qualche giorno prima di Natale. Al suo arrivo la coalizione non ha trovato alcuna resistenza, perché le autorità e le forze lealiste avevano già abbandonato la città. Dopo il comune, la prefettura e il tribunale, il 16 gennaio è stato svaligiato anche l’arcivescovado. I ribelli hanno inoltre fatto razzia delle riserve di grano e dei campi di manioca e dato alle fiamme l’unico deposito di carburante della regione.
Secondo stime della FAO, centinaia di migliaia di persone si sono rifugiate nella boscaglia in seguito agli scontri e alla distruzione delle proprie case. La diocesi di Kaga Bandoro ne ha accolte più di 450. Gran parte della popolazione è gravemente denutrita, malata e senza accesso alle cure mediche. Peraltro le poche strutture sanitarie ancora aperte hanno esaurito i medicinali o sono state saccheggiate.
Nelle diocesi di Kaga Bandoro, Bambari, Alindao e Nagassou la Caritas e la Croce Rossa sono le uniche rimaste. «Le organizzazioni non governative ed il personale medico si sono dovuti trasferire a Bangui – spiega ad ACS l’abate Elysée Guejande della Caritas Centrafricana - con il conseguente aumento del rischio di mortalità nelle aree di conflitto. Tutto dipende ora dall’apertura dei corridoi umanitari». La Chiesa è il solo punto di riferimento della popolazione locale. Ma i bisogni sono molti e le poche risorse a disposizione già esaurite. Ecco perché Aiuto alla Chiesa che Soffre ha immediatamente risposto all’appello di monsignor Vanbuel con un contributo iniziale di 40mila euro. «Tutto è stato distrutto – scrive il presule - Quale avvenire ci sarà per il nostro povero Paese? La povertà spinge gli uomini a rubare quel poco che non è stato portato via dai ribelli. Le scuole sono ancora chiuse, le strutture sanitarie vuote. La gente ha paura di tornare a lavorare nei campi. Chi ci aiuterà?»
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