lunedì, dicembre 31, 2012
Un augurio per il nuovo anno dai nostri emigranti all’estero, che diventa per gli italiani un generoso, rinnovato impegno civile nel costruire in tempi difficili una comunità, un popolo e un avvenire comune

del nostro corrispondente a Londra Renato Zilio

“E come sta l’Italia?” gli faccio a bruciapelo. Mi guarda serio, fa una smorfia dura. Alberto, 22 anni, appena sbarcato a Londra, non stenta a trovare le parole. Brutte. Ma vuole tentare la fortuna qui, come migliaia di altri giovani arrivati in questi mesi. All’arrembaggio. Vuole provare. Provarsi. Uscire dal nido. Questa metropoli di otto milioni di abitanti è un magnete potente per i nostri giovani italiani più di ogni altra città d’Europa. Sembra, forse, l’unica ancora di salvezza. Invece, anche qui si respira aria di crisi. Aria di povertà.

Imparare la lingua inglese, d’altronde, “il passaporto per il mondo”, li incanta. Noi, infatti, cultori dello spirito del campanile, appassionati della logica del simile, nel nostro curriculum non ci si siamo fatti generalmente esperti di lingue straniere, di altre culture, come lo si è qui o in Francia. L’altro resta sempre un po’ estraneo. Hospes, hostis. Ma per i nostri giovani è questa una lezione nuova, stimolante, specie in una Londra dagli orizzonti apertissimi, città multiculturale per eccellenza.

Al bar della nostra Missione italiana quelli che si accalcano, vecchi combattenti dell’emigrazione degli anni ‘60, li vedi parlottare attorno a un generale interrogativo: “Ma come è possibile?!”. Trattano del teatro della politica italiana, del ripresentarsi di vecchie comparse. Quasi in un antico gioco di marionette. “I politici italiani diventano commedianti - titolava recentemente un giornale inglese - e i commedianti diventano politici”. In verità, spesso è un triste scendere nelle arene romane. Per combattere e per combattersi. Dimenticando quel nobile ritratto di Chiara Lubich che diceva: “La politica è l’amore degli amori: raccoglie nell’unità di un disegno comune la ricchezza delle persone e dei gruppi, consentendo a ciascuno di realizzare la propria vocazione; ma fa pure in modo che collaborino tra di loro, facendo incontrare i bisogni con le risorse, le domande con le risposte, infondendo in tutti fiducia gli uni negli altri”.

Tra i nostri emigrati, il sentimento che si respira è spesso la compassione. Nel suo senso più grande. Compassione per il nostro popolo italiano. Per quella gente che non è emigrata, che non ha provato a vivere in società più aperte, plurali o moderne, sensibili più alla logica della competenza che a quella della compiacenza. “Che peccato!” si dicono l’un l’altro. La nostra terra sembra ancora impastoiata di barocco, di servilità, di dominio del proprio feudo, di privilegi inveterati. Un’impotenza strana rende incapaci di un colpo d’ala. In filigrana, in vari campi, ci si imbatte spesso in un signore feudale. Con un suo immancabile feudo circoscritto. Con un rapporto verticale sugli altri, onnipotente nel bene e nel male. Come altri tempi.

John, figlio di italiani emigrati, di passaggio qui a Londra dalla vecchia madre, cerca di farmi capire. Ha aperto da tempo una scuola di inglese a Torino, la terra dei suoi. Laggiù - uomo di due mondi - la gente lo compatisce per le sue osservazioni o le sue critiche: “John è un inglese!”. Mastica lentamente con accento anglosassone le prime parole di un proverbio nostrano: “È sempre vero, tutti i nodi...”. Abitudini antiche, modi incalliti di fare, libertà di un tempo, vezzi di farla franca... tutto pare ispirato al salvarsi da soli o alla propria esclusiva libertà. Al di sopra degli altri o di una legge. Una regola d’oro imperava, poi, nell’ultimo ventennio: quella di fare i propri interessi. Sì, tutti i nodi vengono al pettine. “Anche gli inglesi fanno affari - mi soffia qualcuno - fanno business per natura, ma gli affari li fanno con il mondo”. Non approfittano del bene comune. Non dilapidano il patrimonio di tutti. Del verde comune, per esempio, hanno un sacrosanto rispetto, come per i parchi in piena Londra.

Questi nostri vecchi emigrati o giovani italiani, veri combattenti in prima linea, sono una lezione grandiosa per la nostra terra. Quella di rimboccarsi le maniche. Lavorare insieme. Lavorare per tutti. Lavorare con tutti. Solo così si cammina insieme verso l’avvenire. Il coraggio, la solidarietà e la fiducia di chi ha costruito la propria esistenza sulla terra degli altri sono una lezione non ancora finita. Di valori, non di interessi. Buon anno.

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