Si celebra oggi la Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in tempo di guerra.
Radio Vaticana - Ricorrenza proclamata dall’Assemblea generale dell’Onu nel novembre 2001 per sottolineare la perdita di risorse naturali e i danni agli ecosistemi procurati dai belligeranti durante i conflitti armati. Il servizio di Roberta Gisotti: ascolta
Una Giornata a dire il vero ancora poco nota al grande pubblico. Eppure gli effetti negativi sull’ambiente portati dalle armi e da strategie di guerra volutamente mirate a distruggere siti e risorse naturali, sono davvero ingenti, si ripercuotono sulle popolazioni coinvolte nei conflitti, ma travalicano pure i confini dei belligeranti e si tramandano alle generazioni future. Gli esempi solo negli ultimi decenni sono innumerevoli. Studi recenti delle Nazioni Unite post conflitto documentano gravi danni all’ambiente in Sudan, nella Repubblica democratica del Congo, in Iraq, in Libano, nei territori occupati in Medio Oriente, in Afghanistan, nei Balcani. Del resto, ricorda il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, il 40 per cento dei conflitti interni negli ultimi 60 anni ha avuto per obiettivo la conquista del territorio e delle risorse naturali, come spiega Vittoria Luda, responsabile per i reati ambientali dell’Unicri, il Centro di ricerche delle Nazioni Unite sul crimine e la giustizia:
R. – Proprio oggi il segretario generale delle Nazioni Unite ha dato un messaggio agli Stati membri e alla comunità internazionale di quanto sia importante collegare e salvaguardare l’ambiente in tempo di guerra e nelle situazioni di post conflitto, perché bisogna riconoscere il collegamento che esiste tra la salvaguardia dei diritti umani, lo sviluppo sostenibile e la tutela dell’ambiente, e questo anche nel nostro cammino verso il raggiungimento dei famosi obiettivi del millennio delle Nazioni Unite, con cui dovremo fare i conti nel 2015 e vedere quanti e quali di questi sono stati raggiunti e da parte di quanti Stati membri delle Nazioni Unite.
D. – Quindi questa preoccupazione non deve restare limitata nel territorio dei belligeranti, ma è una preoccupazione che deve estendersi a livello internazionale...
R. – Assolutamente, la preoccupazione per l’ambiente - come ci ricordano le conferenze internazionali, a partire dal ’72, da quella di Stoccolma, proprio sulla salvaguardia dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile - è una tematica che dobbiamo sempre più tenere a mente, tanto più, naturalmente, nelle situazioni di conflitto. Abbiamo, purtroppo, avuto esempi eclatanti, come lo sfruttamento inappropriato e selvaggio delle risorse sia minerarie che animali - per esempio, il traffico di avorio è illegale - da parte dei belligeranti, dei gruppi criminali o comunque come finanziamento per destabilizzare una situazione nei conflitti. In un periodo “post conflict” l’ambiente è tra le prime vittime, oltre alle persone, naturalmente, quindi occorre sempre più tener presente che per uno sviluppo sostenibile è fondamentale la tutela non solo dei diritti delle persone, ma anche la tutela a tutto tondo dell’ambiente nel quale viviamo.
Radio Vaticana - Ricorrenza proclamata dall’Assemblea generale dell’Onu nel novembre 2001 per sottolineare la perdita di risorse naturali e i danni agli ecosistemi procurati dai belligeranti durante i conflitti armati. Il servizio di Roberta Gisotti: ascoltaUna Giornata a dire il vero ancora poco nota al grande pubblico. Eppure gli effetti negativi sull’ambiente portati dalle armi e da strategie di guerra volutamente mirate a distruggere siti e risorse naturali, sono davvero ingenti, si ripercuotono sulle popolazioni coinvolte nei conflitti, ma travalicano pure i confini dei belligeranti e si tramandano alle generazioni future. Gli esempi solo negli ultimi decenni sono innumerevoli. Studi recenti delle Nazioni Unite post conflitto documentano gravi danni all’ambiente in Sudan, nella Repubblica democratica del Congo, in Iraq, in Libano, nei territori occupati in Medio Oriente, in Afghanistan, nei Balcani. Del resto, ricorda il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, il 40 per cento dei conflitti interni negli ultimi 60 anni ha avuto per obiettivo la conquista del territorio e delle risorse naturali, come spiega Vittoria Luda, responsabile per i reati ambientali dell’Unicri, il Centro di ricerche delle Nazioni Unite sul crimine e la giustizia:
R. – Proprio oggi il segretario generale delle Nazioni Unite ha dato un messaggio agli Stati membri e alla comunità internazionale di quanto sia importante collegare e salvaguardare l’ambiente in tempo di guerra e nelle situazioni di post conflitto, perché bisogna riconoscere il collegamento che esiste tra la salvaguardia dei diritti umani, lo sviluppo sostenibile e la tutela dell’ambiente, e questo anche nel nostro cammino verso il raggiungimento dei famosi obiettivi del millennio delle Nazioni Unite, con cui dovremo fare i conti nel 2015 e vedere quanti e quali di questi sono stati raggiunti e da parte di quanti Stati membri delle Nazioni Unite.
D. – Quindi questa preoccupazione non deve restare limitata nel territorio dei belligeranti, ma è una preoccupazione che deve estendersi a livello internazionale...
R. – Assolutamente, la preoccupazione per l’ambiente - come ci ricordano le conferenze internazionali, a partire dal ’72, da quella di Stoccolma, proprio sulla salvaguardia dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile - è una tematica che dobbiamo sempre più tenere a mente, tanto più, naturalmente, nelle situazioni di conflitto. Abbiamo, purtroppo, avuto esempi eclatanti, come lo sfruttamento inappropriato e selvaggio delle risorse sia minerarie che animali - per esempio, il traffico di avorio è illegale - da parte dei belligeranti, dei gruppi criminali o comunque come finanziamento per destabilizzare una situazione nei conflitti. In un periodo “post conflict” l’ambiente è tra le prime vittime, oltre alle persone, naturalmente, quindi occorre sempre più tener presente che per uno sviluppo sostenibile è fondamentale la tutela non solo dei diritti delle persone, ma anche la tutela a tutto tondo dell’ambiente nel quale viviamo.
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