L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) lancia l’allarme per una nuova epidemia del virus Ebola in Repubblica Democratica del Congo. La febbre emorragica avrebbe già causato nelle ultime due settimane oltre 30 vittime. Il servizio di Giulio Albanese.
Radio V
aticana - Al momento il micidiale virus ha colpito le città di Isiro e Viadana ma secondo l’Organizzazione mondiale della sanità potrebbe estendersi ad altri centri urbani per ora ufficialmente sono stati registrati 31 decessi ma il numero a questo punto pare destinato a salire. E’ d’altronde difficile monitorare efficacemente territori dove la mancanza di presidi sanitari efficienti e di infrastrutture di trasporto, unitamente alla diffusa insicurezza per ragioni belliche, rendono spesso gli interventi tardivi.
Inoltre la creazione di un cordone di sicurezza in zone rurali è resa ardua dalla morfologia di località isolate dove la mobilità umana è difficilmente tracciabile.
Sulla dimensione di questa emergenza nell’ambito di una situazione sociale fortemente degradata, Giancarlo La Vella ha intervistato padre Eliseo Tacchella, responsabile dei missionari comboniani in Congo:R. – La diffusione della malattia è stata pesante, grave, perché si è manifestata in un luogo dove non vi è tanta possibilità di cure. Dalle ultime notizie che ho, invece sono riusciti a bloccarla, anche perché non è la prima volta che Ebola si manifesta in Congo. L’importante è che siano riusciti ad isolare il virus.
D. – Da che cosa è causata una malattia così particolare?
R. – Si dice che sia dovuta a mancanza di igiene e che viene facilmente trasmessa da una persona all’altra, ma non si prende se non si tocca il malato e quindi sarebbe abbastanza facile evitare il contagio.
D. – La situazione sociale della Repubblica Democratica del Congo - vuoi a causa di queste emergenze di tipo sanitario, vuoi anche per le emergenze ambientali e belliche - è sempre di una certa gravità…
R. – La situazione sociale è da anni critica: gli stipendi sono bassi, la gente ha pochissima possibilità di far fronte alle malattie, anche a malattie semplici, come la malaria o la dissenteria. Soltanto se il malanno è veramente grave la gente si rivolge all’ospedale, si rivolge ad un dottore, altrimenti cerca di curarsi da sola, così come può. Questo è il pericolo e la causa anche di tante morti.
D. – Il vostro ruolo, il ruolo dei missionari?
R. – Noi comboniani abbiamo un ospedale non lontano dalla regione in cui si è manifestato – sembra – un caso di ebola, che è stato isolato e curato. Il nostro lavoro nel campo sanitario è proprio quello di sensibilizzare la gente a queste epidemie, dando loro la possibilità di potersi curare.
D. – Un intervento più mirato da parte della comunità internazionale consentirebbe di arginare meglio queste emergenze?
R. – Sì. E’ chiaro che se queste cose capitassero in altri Paesi, sarebbero subito risolte, ma qui per vari motivi, forse la distanza dai centri di cura, forse perché riguarda un continente spesso dimenticato come l’Africa o forse perché si tratta di zone che non interessano, tutto assume una gravità inconsueta. Ma abbiamo visto, però, che c’è stato un intervento abbastanza tempestivo.
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aticana - Al momento il micidiale virus ha colpito le città di Isiro e Viadana ma secondo l’Organizzazione mondiale della sanità potrebbe estendersi ad altri centri urbani per ora ufficialmente sono stati registrati 31 decessi ma il numero a questo punto pare destinato a salire. E’ d’altronde difficile monitorare efficacemente territori dove la mancanza di presidi sanitari efficienti e di infrastrutture di trasporto, unitamente alla diffusa insicurezza per ragioni belliche, rendono spesso gli interventi tardivi.Inoltre la creazione di un cordone di sicurezza in zone rurali è resa ardua dalla morfologia di località isolate dove la mobilità umana è difficilmente tracciabile.
Sulla dimensione di questa emergenza nell’ambito di una situazione sociale fortemente degradata, Giancarlo La Vella ha intervistato padre Eliseo Tacchella, responsabile dei missionari comboniani in Congo:R. – La diffusione della malattia è stata pesante, grave, perché si è manifestata in un luogo dove non vi è tanta possibilità di cure. Dalle ultime notizie che ho, invece sono riusciti a bloccarla, anche perché non è la prima volta che Ebola si manifesta in Congo. L’importante è che siano riusciti ad isolare il virus.
D. – Da che cosa è causata una malattia così particolare?
R. – Si dice che sia dovuta a mancanza di igiene e che viene facilmente trasmessa da una persona all’altra, ma non si prende se non si tocca il malato e quindi sarebbe abbastanza facile evitare il contagio.
D. – La situazione sociale della Repubblica Democratica del Congo - vuoi a causa di queste emergenze di tipo sanitario, vuoi anche per le emergenze ambientali e belliche - è sempre di una certa gravità…
R. – La situazione sociale è da anni critica: gli stipendi sono bassi, la gente ha pochissima possibilità di far fronte alle malattie, anche a malattie semplici, come la malaria o la dissenteria. Soltanto se il malanno è veramente grave la gente si rivolge all’ospedale, si rivolge ad un dottore, altrimenti cerca di curarsi da sola, così come può. Questo è il pericolo e la causa anche di tante morti.
D. – Il vostro ruolo, il ruolo dei missionari?
R. – Noi comboniani abbiamo un ospedale non lontano dalla regione in cui si è manifestato – sembra – un caso di ebola, che è stato isolato e curato. Il nostro lavoro nel campo sanitario è proprio quello di sensibilizzare la gente a queste epidemie, dando loro la possibilità di potersi curare.
D. – Un intervento più mirato da parte della comunità internazionale consentirebbe di arginare meglio queste emergenze?
R. – Sì. E’ chiaro che se queste cose capitassero in altri Paesi, sarebbero subito risolte, ma qui per vari motivi, forse la distanza dai centri di cura, forse perché riguarda un continente spesso dimenticato come l’Africa o forse perché si tratta di zone che non interessano, tutto assume una gravità inconsueta. Ma abbiamo visto, però, che c’è stato un intervento abbastanza tempestivo.
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