Il vescovo Giovanni Martinelli invita alla calma, in un momento in cui il Paese ha bisogno di riconciliazione
Città Nuova - Un giorno dopo l’anniversario dell’11 settembre, i fondamentalisti islamici (non si sa ancora chi sia stato l’autore materiale dell’attentato che ha ucciso l’ambasciatore statunitense in Libia, Chris Stevens, e altri tre statunitensi) hanno colpito gli interessi occidentali in un Paese arabo, prendendo come pretesto la pellicola anti-islamica, opera di autori copti presenti negli Usa. E hanno colpito duro, uccidendo il simbolo stesso della presenza statunitense in Libia. Abbiamo raggiunto telefonicamente mons. Giovanni Martinelli, vicario latino di Tripoli, che non ha dubbi: «Quest’attentato porta il segno del fondamentalismo islamico. Dopo la caduta di Gheddafi i focolai di violenza fomentati da varie organizzazioni radicali, salafiti in tesa, non sono certo scomparsi. Al contrario, paiono avere una nuova energia e nuove risorse. Il Paese sta faticosamente cercando la riconciliazione e la pace, un colpo come questo potrebbe far ritornare il Paese in una pericolosa confusione».
Il presule accusa, però, anche le provocazioni occidentali: «Non era proprio il momento di fare uscire il film su Muhammad considerato blasfemo dai musulmani. Che bisogno c’era di farlo, proprio nel momento del massimo sforzo per ricucire le tante ferite della guerra? Ora bisogna assolutamente mantenere i nervi saldi, non reagire, entrare nella logica del perdono, evitare le provocazioni».
In Libia, se si comprende la reazione molto dura di Obama – che ha parlato di «attacchi oltraggiosi» e che ha promesso di operare attivamente per proteggere la sicurezza del personale Usa –, nel Paese libico si spera che ciò non porti ad un’escalation della tensione che potrebbe infiammare le tante milizie e i tanti focolai di violenza che ancora sussistono. Non è ancora il tempo della pace in Libia, ma non è nemmeno il tempo di tornare alla guerra.
Città Nuova - Un giorno dopo l’anniversario dell’11 settembre, i fondamentalisti islamici (non si sa ancora chi sia stato l’autore materiale dell’attentato che ha ucciso l’ambasciatore statunitense in Libia, Chris Stevens, e altri tre statunitensi) hanno colpito gli interessi occidentali in un Paese arabo, prendendo come pretesto la pellicola anti-islamica, opera di autori copti presenti negli Usa. E hanno colpito duro, uccidendo il simbolo stesso della presenza statunitense in Libia. Abbiamo raggiunto telefonicamente mons. Giovanni Martinelli, vicario latino di Tripoli, che non ha dubbi: «Quest’attentato porta il segno del fondamentalismo islamico. Dopo la caduta di Gheddafi i focolai di violenza fomentati da varie organizzazioni radicali, salafiti in tesa, non sono certo scomparsi. Al contrario, paiono avere una nuova energia e nuove risorse. Il Paese sta faticosamente cercando la riconciliazione e la pace, un colpo come questo potrebbe far ritornare il Paese in una pericolosa confusione».Il presule accusa, però, anche le provocazioni occidentali: «Non era proprio il momento di fare uscire il film su Muhammad considerato blasfemo dai musulmani. Che bisogno c’era di farlo, proprio nel momento del massimo sforzo per ricucire le tante ferite della guerra? Ora bisogna assolutamente mantenere i nervi saldi, non reagire, entrare nella logica del perdono, evitare le provocazioni».
In Libia, se si comprende la reazione molto dura di Obama – che ha parlato di «attacchi oltraggiosi» e che ha promesso di operare attivamente per proteggere la sicurezza del personale Usa –, nel Paese libico si spera che ciò non porti ad un’escalation della tensione che potrebbe infiammare le tante milizie e i tanti focolai di violenza che ancora sussistono. Non è ancora il tempo della pace in Libia, ma non è nemmeno il tempo di tornare alla guerra.
Michele Zanzucchi
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