mercoledì, settembre 05, 2012
Anche quest’anno i santi sono scesi in piazza. Capita puntualmente da più di 40 anni. È il miracolo che succede normalmente all’estero, a Bedford, in terra anglicana, nell’ultima domenica di agosto.

del nostro corrispondente a Londra Renato Zilio

Con i santi scendono anche tutti gli emigranti, venuti dal sud Italia negli anni ‘50, ormai qui ben stanziati, come un tempo le truppe romane. Anni eroici: appena sbarcati, si erano messi subito di buona lena a lavorare nelle cinque fabbriche di mattoni della zona. A cottimo, anche dodici ore al giorno. La terra era ottima, argillosa. Ideale per servire con milioni di mattoni alla ricostruzione di Londra, devastata dalle incursioni tedesche.

I santi erano, poi, arrivati subito dopo. A opera iniziata. Così con i loro paramenti da festa si era presentati uno a uno dai paesi di origine dei nostri. Il primo è stato sant’Antonio, partito da Montefalcione nell’avellinese, seguito a ruota da santa Lucia, dal territorio siciliano, poi san Lorenzo, san Cipriano, Padre Pio... Così adesso, ogni anno, tutti insieme - uomini e santi - andiamo a visitare tra canti e preghiere il centro di Bedford, paese che ha accolto entrambi. La città, centomila abitanti, a un’ora da Londra, si ferma per contemplare il pellegrinaggio degli italiani. Ognuno cammina dietro al suo santo patrono e per un po’ non gli sembra di essere in terra straniera, ma a casa, tra i suoi. Forse, con una segreta convinzione: che il suo santo sia più miracoloso degli altri. C’è aria d’Italia, infatti, bella e familiare. Quasi una rivincita sul mondo anglossasone, che nonostante tutto, scorre già da tempo nelle loro vene...

Spesso non manca l’imprevisto. Il tempo inglese, per sé imprevedibile, si guasta continuamente. L’anno scorso la processione, in agguato alle porte della chiesa, aspettava pazientemenete di sbucare allo scoperto tra un acquazzone e un altro: fu uno slalom memorabile. L’anno prima, invece, tranquillo e devoto era stato l’inizio, quasi dal lento passo di danza, ma poi i santi cominciarono a mettersi al trotto... visto che pareva rovesciarsi il cielo addosso. Tuttavia, rimane sempre una festa unica. “Un-forgettable!” ti dicono qui.

La “festa dei santi” è un richiamo alla fede e al cammino stesso di questi emigranti. Per questa gente che ha dovuto tagliare tanti legami con la propria terra, la lingua, le abitudini, i ritmi e i volti familiari, i santi sono stati dei veri compagni di viaggio. Anche dei buoni samaritani, curando le loro ferite e le tante amarezze. Degli intercessori per le cose impossibili. Spesso, per loro, l’ultima sponda.

Così, camminando e pregando dietro di loro, la gente emigrata dal nostro Sud, che parla un italiano imbastardito di inglese, pensa ai tanti miracoli quotidiani vissuti in loro compagnia. “I santi sono pezzi di legno dorato!” tuonava invece in chiesa padre Mario, missionario scalabriniano, “ma quelli veri sono nel vostro cuore” aggiugeva con decisione. Camminando, le donne ogni tanto si toccavano il petto, quasi per stringerselo stretto il loro santo.

Ma lo stupore è anche veder sfilare felicemente una dozzina di santi protettori dei più diversi paesi italiani, portati senza gelosie o rivalità. “Anche questo fa l’unità d’Italia!” commentava il commendatore Peppino Ciampa, sempre sensibile al lato politico delle cose. Qualcuno poi ricordava che agli inizi, alle prime processioni, gli italiani che partecipavano erano legione, una vera valanga, un’impressionante e commossa massa di popolo che si muoveva mentre nel cielo tuonavano i botti, proprio come laggiù in terra nostrana. Ora, invecchiando, tantissimi riposano al cimitero. Distesi, in pace, a processione finita, sotto stupendi tappeti di erba verde-smeraldo. “Siamo arrivati all’ultima stazione!” senti ancora susurrare da qualcuno e capisci subito il perchè.

Ma la processione non ha perso di attualità. Alle porte delle case, davanti a deliziosi, minuscoli gardens, al passaggio dei nostri santi si assiepano indiani, pakistani, inglesi, colombiani, tutti curiosi di una processione fatta all’italiana e incantati a scattare una loro foto. Si passa, così, anche davanti alla moschea. Quest’anno l’imam si trovava là, attento e pensoso, a godersi la scena dei nostri ”marabout”, come chiamano loro gli uomini con lo spirito di Dio. È naturale qui rispettare la religiosità degli altri, che sa dare forza e coraggio a una vita di migranti. In fondo, si percorre tutti lo stesso cammino di umanità. Ancora una volta, qui emigrare è lezione di vita e di rispetto dell’altro.

Alla fine, tavole di birra, di dolci e di infiniti manicaretti attendono i nostri uomini; delle nicchie profumate, invece, i nostri santi. A tavola o in chiesa, ognuno era felice di ritrovare il suo posto.

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