Una sarcastica cronaca delle recenti prove per il Tirocinio Formativo Attivo per l'insegnamento
di Claudia Zichi
Dopo la prova del TFA noi candidati ridevamo. Non per nervosismo, né per liberazione, né per ira. Ridevamo pensando di essere matti e che quel test di 60 domande fosse uno scherzo di menti malsane... sarebbe stato tutto più facile. E invece no, era tutto vero! Ma allora per quale motivo scegliere quelle domande assurde, quei quesiti a risposta multipla, concettualmente imparentati con i cruciverba della «Settimana enigmistica» e pallida reincarnazione dei quiz di Mike Bongiorno (cit. Canfora), che neanche Totò in Lascia e Raddoppia avrebbe indovinato? Qual era il senso di indovinare (perché di divinatio si tratta) i versi dell’unica raccolta poetica di Primo Levi, o la data della battaglia di Lepanto, combattuta nel 1571 e non, bada, nel ’61, ’51 o ’81?
Viene da pensare che il fine ultimo fosse umiliarci. In tal caso non c’era bisogno di darsi tanta pena e dividere la selezione in tre fasi e affidarsi alle crocette (che, si sa, gratificano la fortuna più della virtù), il tutto per ottenere in premio una spesa di 2600 euro per imparare a insegnare, cosa di per sé già piuttosto umiliante. Ad onore del vero, già dall’inizio sapevamo che si trattava di una fandonia -d’altronde o sono una bufala i 5000 insegnanti in esubero o è una bufala un tirocinio che promette la cattedra in un anno - eppure nel ricatto sociale del vuoto cosmico uno i 100 euro di iscrizione li paga, ne paga anche 200, arriva fino a 300 o a 400 se è proprio disperato: d’altronde anche con i Gratta e Vinci ogni tanto si vince. E la prospettiva di poter spendere 2600 euro è, ripeto, una vincita ambita.
Eppure una ragione ci deve pur essere per accettare di essere valutati sulla base della geografia dell’Africa sub-sahariana: è importante, infatti, sapere che il Mali NON confina con la Nigeria, o che il Colorado NON confina con il Tennessee, e che l’antica penisola del Siam è la Tailandia e non la Cambogia, e forse i pochi fortunati ad aver visto l’ultimo film di Tate Taylor The Help prima del 28 luglio saranno stati felici di sapere che Jackson è la capitale del Mississippi. Forse la risposta sta nella Ragion di Stato, il segreto che si invoca per evitare gli inconvenienti. È sconveniente infatti ritrovarsi a pensare che il fine sia lo smantellamento dell’istruzione pubblica, eppure la sua inadeguatezza nella formazione di nuovi insegnanti non lascia spazio a molti dubbi.
Un progetto politico raffinato e ambizioso che ci ha tenuti sequestrati per due ore e mezza, mentre già dopo mezz’ora sapevamo di non sapere (e almeno Socrate è servito!). Impegnati a riflettere sull’anno di pubblicazione di “Forse che sì, forse che no”, ci siamo in effetti pentiti della nostra ignoranza: che fosse questo un altro fine, la missione punitiva?
Il punto è che forse non c’era necessità di altre prove che azzerassero ancora, di nuovo, la fiducia e la speranza di giovani e non giovani verso una professione troppo spesso bistrattata. Anche perché mentre a perdere si impara qualcosa, essere ingannati ti butta fuori dal ring e vanifica il desiderio di risalirci… ed ecco un quarto fine.
Ormai l’abbiamo inteso: per entrare nel magico mondo dell’insegnamento non resta che tentare la sorte, metà fortuna e metà virtù, come insegna Machiavelli, con buona pace di Seneca e la sua fortuna che non porta né vantaggi né svantaggi. E quando l’ora X di quel giorno con troppe inutili croci stava per scadere, ecco l’apoteosi della seduta: i candidati cercavano di ripescare nella memoria le filastrocche imparate da bambini, nella speranza che almeno qualche croce potesse colpire nel segno. Tutto finito, all’uscita le telefonate per l’Italia generavano un’insolita e fittizia ilarità.
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