martedì, luglio 17, 2012
Human right watch, International rivers e Survival international condannano la decisione della Banca Mondiale di finanziare le linee di trasmissione elettrica della diga Gibe III in Etiopia, la mega-opera appaltata all'italiana Salini e che diverse Ong dicono essere legata al land grabbing delle terre della valle del fiume Omo ed alla possibilità che il lago Turkana in Kenya subisca un rapido disseccamento.

Greenreport - Il nuovo Eastern electrical highway project approvato dalla Banca Mondiale contribuirà a condurre l'energia prodotta dalla famigerata diga idroelettrica etiope fino alla rete elettrica del Kenya e secondo il Board of Executive Directors della Banca Mondiale «ridurrà i costi energetici, promuoverà la produzione di energia sostenibile e rinnovabile, proteggerà meglio l'ambiente della regione, e spianerà la strada ad una cooperazione regionale più dinamica tra i Paesi dell'Africa orientale». Il nuovo progetto segna la prima fase di un programma di integrazione energetica dell'Africa orientale da 1,3 miliardi di dollari del quale «Alla fine beneficeranno 212 milioni di persone che vivono in 5 Paesi con un Pil di 107 miliardi di dollari» dice la Banca Mondiale che , insieme ai governi di Etiopia e Kenya, all'African development all' Agence française de développement finanzierà il progetto della linea di alimentazione transfrontaliera che giura «Sarà costruita in base a rigorose garanzie sociali e ambientali che permetterà l'Etiopia di vendere il suo surplus di energia in Kenya e di ridurre la necessità di energia termica inquinante in Kenya».

La Banca Mondiale finanzierà l'Etiopia con 243 milioni di dollari e iol Kenya con 441 milioni di dollari provenienti dall'International Development Association, il fondo della Banca per i paesi più poveri del mondo. Makhtar Diop, vicepresidente per l'Africa della Banca Mondiale, è convinto che «Questo "landmark transformational project" cambierà i fondamenti del settore energetico in Africa orientale. Amplierà l'accesso e ridurrà il costo della bolletta elettrica per le abitazioni e aziende in tutto il Kenya e contribuire a ridurre le emissioni termiche in Kenya, un chiaro beneficio per l'ambiente della regione. Attualmente, solo un africano su tre ha accesso all'elettricità nelle sue comunità, quindi trovare il modo da aumentare la condivisione dell'energia tra i vari Paesi è un passo essenziale verso la risoluzione dei bisogni dell'Africa».

In questa visione ottimistica, che tira una riga su quello che è successo e sta succedendo nell'area, l'Etiopia ci guadagnerà vendendo energia al Kenya che altrimenti avrebbe gravi carenze energetiche gravi che non gli permetterebbero di raggiungere status di reddito medio nel prossimo decennio con una crescita deel Pil annua del 6%. Jamal Saghir, direttore Sustainable Development della World Bank per l'Africa, non ha dubbi: «L'Eastern electricity highway project darà un contributo significativo per contribuire a soddisfare le esigenze di sviluppo dei popoli dell'Etiopia, del Kenya e della sub-regione. Una volta costruita, la linea elettrica sarà un simbolo della determinazione dell'Africa di risolvere la sua crisi energetica attraverso la cooperazione negli scambi di energia. Sarà un punto di riferimento per raggiungere una maggiore crescita e minore povertà nella regione».

In realtà l'intero progetto è stato pensato, progettato e imposto e realizzato da Paesi occidentali e punta ad indirizzare la veloce crescita africana fornendo le infrastrutture necessarie ad uno sviluppo già sperimentato con disastrosi risultati ambientali e sociali in altre parti del mondo. Il tutto è come sempre ammantato di buoni propositi sociali ed ecologici, come dice il team leader del nuovo progetto Paivi Koljonen, uno specialista della Banca Africana, «L'Eastern electricity highway project è un'occasione unica per sbloccare il vasto potenziale energetico dell'Africa orientale, compresa l'energia idroelettrica, pur salvaguardando l'ambiente. Non vediamo l'ora che il progetto entri in funzione in modo che l'idea della condivisione dell'energia diventi una realtà, e contribuisca a creare prospettive di sviluppo migliore per le comunità in tutti i Paesi dell'Africa orientale».

Ma le Ong internazionali che lavorano quotidianamente con le popolazioni della valle dell'Omo e del Turkana non sono affatto d'accordo con questa rosea versione del progresso donato ai poveri neri africani. Survival International spiega che «La Gibe III dovrebbe essere completata entro il 2014, ma le devastanti conseguenze sociali e ambientali della sua costruzione hanno alimentato una massiccia opposizione. La decisione di sostenere una tale controversa iniziativa viola le linee guida della Banca Mondiale sulla salvaguardia dei diritti dei popoli indigeni e sul reinsediamento forzato. La diga minaccia di distruggere i mezzi di sussistenza e la sicurezza alimentare degli oltre 200.000 indigeni che vivono nella bassa Valle dell'Omo. Il livello dell'acqua nel fiume non è mai stato tanto basso come in questo periodo, con conseguenze devastanti per l'autosufficienza di tribù pastorali come i Bodi, i Mursi e i cacciatori-raccoglitori Kwegu. Oltre a ciò, di pari passo con le operazioni governative di spianatura delle terre della bassa Valle dell'Omo per la loro trasformazione in redditizie piantagioni di canna da zucchero e cotone (che potranno essere irrigate grazie alla presenza della diga), nell'area si stanno diffondendo anche violenti furti di terra, reinsediamenti forzati e abusi dei diritti umani».

Il regime etiope, come ha già scritto anche greenreport.it, non ha consultato nessuna comunità indigena riguardo alla ostruzione della GibeIII o sui suoi mega-progetti agro-industriali, che devasteranno la bassa Valle dell'Omo, un sito Patrimonio dell'Umanità Unesco, con il land grabbing spinto. Human Right Watch, International Rivers e Survival denunciano che «la diga, inoltre, colpirà anche molte comunità tribali che vivono oltre il confine con il Kenya, vicino alle sponde del lago Turkana, il lago desertico più grande del mondo».

Il direttore generale di Survival International, Stephen Corry, demolisce tutte le teorie sviluppise degli esponenti della Banca Mondiale: «Il bisogno di energia elettrica di Kenya ed Etiopia non dovrebbe essere usato come scusa per giustificare queste palesi violazioni dei diritti umani. La Banca Mondiale ha deciso ancora una volta di sostenere un progetto infelice, che distruggerà le vite di centinaia di migliaia di persone. Oggi, questi popoli sono i più autosufficienti del Corno d'Africa, ma si vedono calpestare i loro diritti umani da un'organizzazione che anziché imparare dalla storia, continua a ripetere gli errori del passato».

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