domenica, luglio 29, 2012
La sostenibilità ambientale dei processi industriali e la necessità di una riconversione ecologica di alcuni settori di attività, restano sul tappeto. Nonostante Taranto. Ancora di più dopo Taranto.

GreenReport - L'attuale situazione che vive la città pugliese non deve far dimenticare che continuare a contrapporre lavoro e ambiente, come se si trattasse di uno scontro tra due fazioni o tra due squadre di calcio, conduce solo al perpetuarsi dei tanti disastri compiuti fino ad oggi. Disastri ambientali, è vero. Ma soprattutto disastri strategici, che vedono gli operai lottare per il loro lavoro mentre i giudici, troppo spesso chiamati a prendere decisioni che altri non hanno preso in passato, sono obbligati a far chiudere un impianto: apoteosi di una mancanza di una programmazione sostenibile e di una vera politica industriale.

Per ripartire da un nuovo modello di sviluppo, il primo passo da compiere è dunque quello di abbandonare l'inutile dibattito sul binario morto del lavoro/ambiente, vicolo cieco che ospita contesti simili a quelli dell'Ilva (e non sono pochi in Italia).

Ciò che serve, è invece fissare le fondamenta di un'economia che possa contare su norme chiare, su una politica industriale ben definita e che guardi a una gestione sostenibile dei flussi di materia e di energia. E poi servono anche investimenti sulla ricerca, e, non per ultimi, servono prodotti di qualità.

Perché fino a quando penseremo di competere con Cina e India producendo più auto con meno costi (magari costi della manodopera), non andremo da nessuna parte. E non c'è solo Taranto. Nel nostro Paese, i contesti simili all'Ilva sono centinaia, forse migliaia, e evidenziano tutti non tanto la crisi economica che attanaglia le imprese e talvolta intere città, ma l'inesistenza di un'idea, di un progetto, di una "lunga veduta". Appare perciò dovuto ma pur sempre tardivo il Consiglio dei ministri di oggi al centro del quale c'è il caso dell'acciaieria pugliese.

Nella seduta è stata esaminata la questione relativa alle misure urgenti per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione territoriale di Taranto e il ministro dell'Ambiente ha illustrato i contenuti del protocollo d'intesa sottoscritto il 26 luglio tra il Ministero dell'ambiente, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero della coesione territoriale, la regione Puglia, la provincia e il Comune di Taranto e il Commissario straordinario del porto di Taranto.

Gli obiettivi del protocollo - tra i quali rientrano lo sviluppo di interventi infrastrutturali di bonifica, gli incentivi alle imprese locali e la riqualificazione industriale dell'area - verranno realizzati nelle prossime settimane attraverso appositi accordi e sotto la guida di un Comitato di Sottoscrittori e di una cabina di regia coordinata e gestita dalla Regione Puglia. Lo stanziamento complessivo previsto dal protocollo e' di 336.668.320 euro, di cui 329.468.000 di parte pubblica e 7.200.000 di parte privata.

Il ministro dell'Ambiente Clini si è inoltre soffermato sulla «la necessità di sostenere la continuazione del programma di risanamento ambientale degli impianti di Taranto». Tutto questo mentre l'assemblea dei lavoratori svoltasi stamani dinanzi allo stabilimento, ha confermato lo sciopero a oltranza con presidi in tutta la città per tenere alta l'attenzione. Sempre oggi, a Piombino, alle acciaierie Lucchini di Piombino (Livorno), sono state programmate due ore di sciopero per chiedere con forza un rilancio dello stabilimento: un corteo di 2.000 lavoratori dai cancelli della fabbrica ha attraversato la città.

E questa volta, diversamente da quando era successo negli ultimi anni, la città non è rimasta indifferente alla protesta: i commercianti hanno applaudito in segno di solidarietà e gran parte dei negozi di Piombino è rimasto chiuso. Il calo della domanda di acciaio pare irreversibile, forse lo hanno capito anche in una della città più monoculturali d'Italia e in molti ora si stringono attorno alla fabbrica. Purtroppo, però, battere la stessa strada e insistere sulla produzione di un certo acciaio, quello che è stato l'orgoglio dell'altoforno toscano per più cento anni, non è una soluzione.

Perché per sopravvivere, Taranto come Piombino, dopo aver sanato le ferite ambientali, deve guardare alla qualità dei prodotti e puntare alla sostenibilità ambientale dei processi industriali. Solo così, non vedremo più operai e giudici "contendersi" una fabbrica.

È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

In Europa e direi nel resto del mondo sviluppato o in via di sviluppo non solo il lavoro è green, ma anche le tecnologie che lo accompagnano. In particolare l'IT fornirà una mano considerevole alla riduzione dell'impatto ambientale di numerosi settori, come dimostra una ricerca che fa interessanti stime sul mercato dell'IT in Gran Bretagna in relazione agli obblighi di riduzione dei gas serra in quel paese: http://www.creuzanews.com/?p=1562

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