giovedì, maggio 24, 2012
Castelli, chiese, rocche: anche un'importante parte del patrimonio architettonico emiliano è stato danneggiato dal terremoto. Occorre intervenire con rapidità ed efficienza per evitare che vada perduto.

Città Nuova - Ben pochi si ricordavano che la terra nella grassa Emilia aveva già tremato. Secoli orsono, nel ‘500, ma poi le scosse ogni tanto si facevano sentire. Anche se debolmente. Qualche giorno fa, il terremoto è tornato, con vittime, feriti e sfollati. Ma anche con un patrimonio artistico gravemente danneggiato. Gli edifici certo erano stati restaurati, ma, come purtroppo succede spesso da noi, sempre con mezze misure. Mi riferisco alle torri medioevali che, se fossero state avvolte da catene metalliche o di acciaio, con una spesa bassa, oltretutto (30mila euro) -- come si è fatto con la basilica di Collemaggio all’Aquila, ora riaperta al pubblico – avrebbero forse resistito. Invece a Ferrara il Castello Estense è in pericolo e la Cattedrale pure (speriamo non ci siano altre scosse e non tocchino quel miracolo che è Palazzo Schifanoia, mentre nei paesi – Finale Emilia, Cento, Poggio Renatico, Crevalcore – chiese e rocche sono venute giù come con un soffio. Ora si tratta di portare in salvo e restaurare quello che è rimasto, come il Trittico di san Felice, a dieci chilometri da Finale, esposto alla pioggia e annerito. Per fortuna, i centri storici sono abitabili e non si farà la fine dell’Aquila, dove il centro antico è diventato un fantasma. Purtroppo, però, manca la cultura della prevenzione da noi. Siamo più indietro della Turchia, terra a prova sismica eccezionale.

Il ministero dei Beni culturali ha avviato la stesura della Carta del rischio sismico, ma è penalizzato dalle scarse risorse e stenta a decollare. Come sempre, il bene numero uno dell’Italia – cultura, arte, paesaggio- fa la parte di Cenerentola nel bilancio. Pochi fondi, poco personale professionale, scarsa attenzione. Anche da parte dei cittadini. Non basta infatti solo visitare musei e chiese o paesaggi, se non si provvede anzitempo alla loro salvaguardia. Viene da pensare a Venezia, così fragile, dove i palazzi hanno tremato, costruiti come sono su palafitte.

Quanto resisteranno? Meglio affrettarsi. A ricostruire, come s’è fatto con la Fenice veneziana, com’era e dove era, come ha detto giustamente Sgarbi. La lezione di Dresda, annientata dalle bombe dell’ultima guerra, insegna: è ridiventata la Firenze sull’Elba. Nessun pianto inutile, quindi. Ma cominciare subito a lavorare. Cioè a custodire, restaurare e, soprattutto, prevenire. Senza aspettarsi che faccia tutto lo Stato. L’esempio del Friuli, dopo il terremoto, insegna.

Mario Dal Bello

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