mercoledì, maggio 23, 2012
Decine sono stati i cortei, le fiaccolate, le manifestazioni di solidarietà e di indignazione per precludere all’incubo l’accesso al nostro mondo : è il sacrosanto desiderio di reagire, ma non basta.

di Patrizio Ricci

Sulla strage di Brindisi ancora nessuna rivendicazione. In un primo tempo si è ipotizzato che l’attentato potesse essere stato compiuto dalla criminalità organizzata ma questa eventualità, quasi da subito, si è rivelata assai debole. In seguito, grazie alle rilevazioni di alcune telecamere si è pensato all’opera di un pazzo o di un individuo che abbia agito per un movente personale, anche oggettivamente irrilevante. Allo stato attuale in realtà non sarebbe da scartare nessuna ipotesi. Ad esempio, nessuno lo ha ricordato, ma esattamente un anno fa in questi stessi giorni era in pieno svolgimento il controverso intervento italiano nel conflitto libico. Non fu fatto in maniera indolore: gli aerei della Nato causarono morti e feriti non ancora quantificabili. E’ una realtà che quasi non conosciamo, tanto poco se n’è parlato, ma ci rendiamo conto che di odio se ne è diffuso tanto e da qualche tempo le controversie tra stati non si risolvono più pacificamente… e gli esiti non sono prevedibili.

Infine, senza andare troppo lontano e restando a casa nostra, l’attentato può aver avuto lo scopo di creare ‘semplicemente’ panico e confusione mentale, come strategia a se stante alla stregua di quanto avvenuto in Italia tra il 1969 ed il 1975, nel cosiddetto periodo della ‘strategia della tensione’: allora, di attentati ne furono eseguiti ben 4.584. Su quest’ultimo aspetto colpiscono le parole di Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, che ha detto a Repubblica: “Quali sono state le ragioni dell'attentato, si vedrà in seguito e solo le indagini potranno chiarire se è un crimine di stampo mafioso o che mira a destabilizzare o a conservare la situazione esistente".

Non voglio qui infoltire lo stuolo di ipotesi che da subito dopo l’attentato abbiamo sentito, ricordo però quanto il presidente Francesco Cossiga diceva al quotidiano Repubblica in una intervista: "Per il consenso serve la paura. Prima una vittima, poi mano dura". Solo congetture forse, certo non pacificanti, ma dati i nostri trascorsi assolutamente da non sottovalutare.

Tuttavia a sollecitare da subito la responsabilità personale, appare più vicino e vero il giudizio del Papa che ieri, festeggiando con i cardinali il suo 85° compleanno, ha detto: "Vediamo come il male vuol dominare nel mondo e che è necessario entrare in lotta contro il male. Vediamo come lo fa in tanti modi, cruenti, con le diverse forme di violenza, ma anche mascherato col bene e proprio così distruggendo le fondamenta morali della società". Sono parole che indicano il grande fraintendimento e la debolezza della nostra reazione: ci si indigna e ci si ribella, come se il male non esistesse, come se il male per forza non possa durare che l’arco di un attimo, e ci consenta poi di girare pagina come se fosse qualcosa di estraneo al nostro vivere e al nostro modo di pensare. Affermare che la vita vale come fatto quotidianamente vissuto sarebbe l’unico modo per contrastare il male, perché il male c’è e resta dentro di ognuno di noi. Sembra che nessuno si accorga che la violenza di Brindisi, per quanto tremenda ed eclatante, accade in realtà tutti i giorni. A Brescia un padre ha gettato due figli dalla finestra e si è ucciso. Un quindicenne la notte scorsa è stato ucciso a colpi di arma da fuoco a Napoli. E’ proprio nella famiglia che si consumano le vendette e i delitti più efferati ed è proprio la famiglia lasciata ai margini della società civile.

Per cambiare profondamente le cose, per quando auspicabili e lodevoli non ci sono indagini di polizia che tengano, non c’è austerity che basti. La violenza s’insinua ovunque, nel nostro stesso modo di vivere che non mette al centro l’uomo, nella famiglia, nelle ingiustizie sociali, nella politica, nel rapporto tra i popoli fondati sul profitto illimitato, sulla spregiudicatezza della finanza, sulla pretesa di pensare ineluttabile questo modello di sviluppo e di convivenza civile. Giocando così di riserva, al di là delle frasi di auto-rassicurazione, in realtà non si cambia nulla. Non può essere solo il dolore che unisce, né tantomeno il dovere. Il popolo italiano ha dato sempre grande prova di unirsi ed essere solidale nel dolore, salvo poi scatenarsi nelle solite beghe, nelle solite discutibili quotidiane abitudini. La crisi che stiamo attraversando, con i suoi suicidi e con atti sconsiderati sempre più frequenti, mostra che il problema è più radicale e, come ha detto ancora il Papa parafrasando una frase di Sant’Agostino: ” La storia è una lotta tra due amori: quello per se stessi e quella per Dio”. E' qui la grande responsabilità del potere, che ha preteso la disgregazione del nostro passato e delle nostre radici e proposto l’inconsistenza umana come modello e tema conduttore del nostro vivere.

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