La vittoria annunciata di Putin è stata accolta, nonostante le denunce di brogli, anche dalla comunità internazionale: l’opinione di Pasquale Ferrara
Cittanuova Tutto come previsto: Vladimir Putin, con il 63,75 per cento dei voti, si è aggiudicato il terzo mandato alla presidenza della Russia. Un distacco abissale dagli avversari, peraltro non considerati alternative credibili: il candidato del Partito comunista, Gennadij Zjuganov, si è fermato al 17,19 per cento, il liberista Proxorov al 7,82, il nazionalista Žirinovskij al 6,23 e il socialista Mironov al 3,85. Una vittoria che Utro.ru definisce addirittura «un trionfo» nella zona del Caucaso, dove Putin è arrivato anche a superare l’80 per cento dei suffragi.
Nessuna sorpresa, dunque, nemmeno per il diretto interessato: in un’intervista rilasciata alla Komsomol’skaja Pravda, al giornalista che gli chiedeva se si aspettasse un tale successo, “lo zar” ha candidamente risposto di sì, in base alle rilevazioni sociologiche in suo possesso. E per la comunità internazionale? Lo chiediamo a Pasquale Ferrara, esperto di relazioni internazionali.
Dottor Ferrara, Putin ha ottenuto il suo terzo mandato, nonostante le denunce di brogli. La comunità internazionale, tuttavia, non ha fatto sentire la sua voce in merito alle presunte irregolarità, come in altri casi avviene: c’è una sorta di “rassegnazione”?
«Occorre distinguere i contesti specifici. Se si tratta di una "democrazia nascente" sotto monitoraggio internazionale (come nel caso dell'Iraq e dell'Afghanistan), allora il ruolo degli osservatori del processo elettorale è essenziale, e direi che fa parte del processo di “institution building”. Al contrario, nel caso di sistemi politici consolidati qual è quello russo, si pone – piaccia o no – una questione di sovranità nazionale rispetto alla verifica giuridica della regolarità delle operazioni elettorali. In ogni caso, l’esistenza di sistemi di controllo interni, previsti dall’assetto legislativo e istituzionale, pone limiti oggettivi all'azione di osservatori esterni. Più in generale, è chiaro che il giudizio politico sulle consultazioni elettorali non dipende solo dalle valutazioni degli osservatori. A questo riguardo, direi che le elezioni sono un elemento essenziale della democrazia, ma non la esauriscono affatto. Contano piuttosto i sistemi di pesi e contrappesi istituzionali, la libertà di stampa e di opinione, il rispetto dei diritti umani fondamentali. Le procedure democratiche sono importanti, ma i processi elettorali, che sostanziano la cultura politica democratica, lo sono ancora di più. Sono questi i veri parametri che determinano, a tutte le latitudini, la credibilità delle elezioni. Questo vale per tutti i Paesi, in un momento in cui la democrazia, intesa come reale possibilità di partecipazione e di influenza sulle decisioni dei governi, e non solo come procedure formali, è sottoposta a dura prova in molti sistemi politici, anche quelli occidentali avanzati».
Una delle questioni sollevate è il “potere contrattuale” della Russia rispetto al resto del mondo sul fronte energetico: c’è dunque un reciproco interesse a mantenere lo status quo?
«Certo il mondo ha bisogno della Russia, ma anche la Russia ha bisogno del mondo. Siamo abituati a vedere la Russia come un Paese emergente, ma la sua struttura economica è molto variegata. C’è infatti un settore “tradizionale”, basato sull'esportazione di materie prime ed energia, accanto a punte di terziario avanzato, in un contesto finanziario alquanto disordinato. La struttura demografica russa fa registrare, inoltre, uno stallo e una tendenziale contrazione della popolazione, mentre c’è una fortissima mobilità interna verso le metropoli; in particolare, la Russia asiatica si va spopolando, e in quella regione si registra un crescente fenomeno di immigrazione di lavoratori dalla Cina. Il mondo sta cambiando rapidamente, e ciò riguarda anche i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica); è difficile prevedere oggi quali saranno le potenze del futuro, e non è detto che tra esse ci siano Paesi europei, inclusa la Russia».
Cittanuova Tutto come previsto: Vladimir Putin, con il 63,75 per cento dei voti, si è aggiudicato il terzo mandato alla presidenza della Russia. Un distacco abissale dagli avversari, peraltro non considerati alternative credibili: il candidato del Partito comunista, Gennadij Zjuganov, si è fermato al 17,19 per cento, il liberista Proxorov al 7,82, il nazionalista Žirinovskij al 6,23 e il socialista Mironov al 3,85. Una vittoria che Utro.ru definisce addirittura «un trionfo» nella zona del Caucaso, dove Putin è arrivato anche a superare l’80 per cento dei suffragi.Nessuna sorpresa, dunque, nemmeno per il diretto interessato: in un’intervista rilasciata alla Komsomol’skaja Pravda, al giornalista che gli chiedeva se si aspettasse un tale successo, “lo zar” ha candidamente risposto di sì, in base alle rilevazioni sociologiche in suo possesso. E per la comunità internazionale? Lo chiediamo a Pasquale Ferrara, esperto di relazioni internazionali.
Dottor Ferrara, Putin ha ottenuto il suo terzo mandato, nonostante le denunce di brogli. La comunità internazionale, tuttavia, non ha fatto sentire la sua voce in merito alle presunte irregolarità, come in altri casi avviene: c’è una sorta di “rassegnazione”?
«Occorre distinguere i contesti specifici. Se si tratta di una "democrazia nascente" sotto monitoraggio internazionale (come nel caso dell'Iraq e dell'Afghanistan), allora il ruolo degli osservatori del processo elettorale è essenziale, e direi che fa parte del processo di “institution building”. Al contrario, nel caso di sistemi politici consolidati qual è quello russo, si pone – piaccia o no – una questione di sovranità nazionale rispetto alla verifica giuridica della regolarità delle operazioni elettorali. In ogni caso, l’esistenza di sistemi di controllo interni, previsti dall’assetto legislativo e istituzionale, pone limiti oggettivi all'azione di osservatori esterni. Più in generale, è chiaro che il giudizio politico sulle consultazioni elettorali non dipende solo dalle valutazioni degli osservatori. A questo riguardo, direi che le elezioni sono un elemento essenziale della democrazia, ma non la esauriscono affatto. Contano piuttosto i sistemi di pesi e contrappesi istituzionali, la libertà di stampa e di opinione, il rispetto dei diritti umani fondamentali. Le procedure democratiche sono importanti, ma i processi elettorali, che sostanziano la cultura politica democratica, lo sono ancora di più. Sono questi i veri parametri che determinano, a tutte le latitudini, la credibilità delle elezioni. Questo vale per tutti i Paesi, in un momento in cui la democrazia, intesa come reale possibilità di partecipazione e di influenza sulle decisioni dei governi, e non solo come procedure formali, è sottoposta a dura prova in molti sistemi politici, anche quelli occidentali avanzati».
Una delle questioni sollevate è il “potere contrattuale” della Russia rispetto al resto del mondo sul fronte energetico: c’è dunque un reciproco interesse a mantenere lo status quo?
«Certo il mondo ha bisogno della Russia, ma anche la Russia ha bisogno del mondo. Siamo abituati a vedere la Russia come un Paese emergente, ma la sua struttura economica è molto variegata. C’è infatti un settore “tradizionale”, basato sull'esportazione di materie prime ed energia, accanto a punte di terziario avanzato, in un contesto finanziario alquanto disordinato. La struttura demografica russa fa registrare, inoltre, uno stallo e una tendenziale contrazione della popolazione, mentre c’è una fortissima mobilità interna verso le metropoli; in particolare, la Russia asiatica si va spopolando, e in quella regione si registra un crescente fenomeno di immigrazione di lavoratori dalla Cina. Il mondo sta cambiando rapidamente, e ciò riguarda anche i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica); è difficile prevedere oggi quali saranno le potenze del futuro, e non è detto che tra esse ci siano Paesi europei, inclusa la Russia».
di Chiara Andreola
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