A partire da marzo del 2011, come conseguenza della guerra in Libia, sono approdati sulle coste italiane circa 21600 “profughi”
E-il mensile - I loro paesi d’origine sono Somalia, Eritrea, Mali, Ciad, Sudan, Ghana, Nigeria, Costa d’Avorio, ma anche Bangladesh e Pakistan. Molti erano in Libia a lavorare, a volte anche da anni; altri, già in fuga da situazioni di guerra, puntavano all’Europa in cerca d’asilo, diritto che in Libia non è riconosciuto. Numerosi e documentati sono stati i casi di imbarco coatto attuato dalle milizie di Gheddafi, a titolo di ritorsione nei confronti dell’Italia un tempo “amica”. Una volta arrivati è stata fatta fare a tutti domanda d’asilo e sono stati accolti da un sistema creato ad hoc grazie alla dichiarazione dello stato d’emergenza e alla conseguente gestione da parte della Protezione Civile. Smistati in base a criteri di proporzionalità numerica sui territori regionali, e senza riferimento al sistema d’accoglienza precedente, le modalità di presa in carico sono state disomogenee.
ASGI (associazione studi giuridici sull’immigrazione) stima che il 70% riceverà un diniego alla domanda d’asilo. L’esito paradossale della procedura, sarà lo scivolamento dei “diniegati” nella clandestinità, dopo un’attesa lunga anche un anno. La battaglia portata avanti da associazioni ed enti locali chiede il riconoscimento della protezione umanitaria a tutti i profughi provenienti dalla guerra in Libia, indipendentemente dalle condizioni del paese d’origine, elemento che è invece centrale nella valutazione del riconoscimento dello status di rifugiato.
Da Partanna, cittadina della provincia di Trapani, a Lizzola, paesino delle montagne bergamasche, i richiedenti asilo sono stati accolti in luoghi a volte isolati. L’attesa è un’arte che logora, la forza dei ricordi del passato a volte soverchia la capacità di immaginare un futuro, e intanto si è intrappolati in un presente che si interroga alla ricerca di senso. La storia raccontata alla commissione territoriale che deciderà della loro domanda d’asilo è l’unico unico appiglio per negoziare la loro presenza qui. Scappati da una guerra che tuttavia non è considerata motivazione sufficiente per concedere una forma di protezione internazionale, l’ambiguità della loro presenza è resa evidente dalle reazioni degli abitanti locali. Accoglierli si deve, ma il fastidio manifestato da alcuni è malcelato, ed evidenzia i limiti del nostro paese nella capacità di leggere nelle loro esperienza di vita una ricchezza da non disperdere.
E-il mensile - I loro paesi d’origine sono Somalia, Eritrea, Mali, Ciad, Sudan, Ghana, Nigeria, Costa d’Avorio, ma anche Bangladesh e Pakistan. Molti erano in Libia a lavorare, a volte anche da anni; altri, già in fuga da situazioni di guerra, puntavano all’Europa in cerca d’asilo, diritto che in Libia non è riconosciuto. Numerosi e documentati sono stati i casi di imbarco coatto attuato dalle milizie di Gheddafi, a titolo di ritorsione nei confronti dell’Italia un tempo “amica”. Una volta arrivati è stata fatta fare a tutti domanda d’asilo e sono stati accolti da un sistema creato ad hoc grazie alla dichiarazione dello stato d’emergenza e alla conseguente gestione da parte della Protezione Civile. Smistati in base a criteri di proporzionalità numerica sui territori regionali, e senza riferimento al sistema d’accoglienza precedente, le modalità di presa in carico sono state disomogenee.
ASGI (associazione studi giuridici sull’immigrazione) stima che il 70% riceverà un diniego alla domanda d’asilo. L’esito paradossale della procedura, sarà lo scivolamento dei “diniegati” nella clandestinità, dopo un’attesa lunga anche un anno. La battaglia portata avanti da associazioni ed enti locali chiede il riconoscimento della protezione umanitaria a tutti i profughi provenienti dalla guerra in Libia, indipendentemente dalle condizioni del paese d’origine, elemento che è invece centrale nella valutazione del riconoscimento dello status di rifugiato.
Da Partanna, cittadina della provincia di Trapani, a Lizzola, paesino delle montagne bergamasche, i richiedenti asilo sono stati accolti in luoghi a volte isolati. L’attesa è un’arte che logora, la forza dei ricordi del passato a volte soverchia la capacità di immaginare un futuro, e intanto si è intrappolati in un presente che si interroga alla ricerca di senso. La storia raccontata alla commissione territoriale che deciderà della loro domanda d’asilo è l’unico unico appiglio per negoziare la loro presenza qui. Scappati da una guerra che tuttavia non è considerata motivazione sufficiente per concedere una forma di protezione internazionale, l’ambiguità della loro presenza è resa evidente dalle reazioni degli abitanti locali. Accoglierli si deve, ma il fastidio manifestato da alcuni è malcelato, ed evidenzia i limiti del nostro paese nella capacità di leggere nelle loro esperienza di vita una ricchezza da non disperdere.
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