Resta acceso il dibattito politico italiano sulla manovra e in particolare sulla possibile riforma dell’articolo 18 che affida alla discrezionalità del giudice la cause di licenziamento dei lavoratori
Radio Vaticana - Per il ministro del welfare Elsa Fornero non ci devono essere tabù in una riforma complessiva del settore lavoro, ma i sindacati tengono la posizione e ne fanno una questione di coesione sociale. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Bruno Caruso, docente di Diritto del lavoro all’Università di Catania:
R. – L’art. 18 sicuramente ha una valenza simbolica, perché quando fu inserito nello Statuto dei lavoratori era la risposta più significativa in termini di cambiamento rispetto ad una possibilità di licenziare più o meno arbitrariamente. Bisogna poi chiarire che l’art. 18 non è che introduca la causalità del licenziamento, la giusta causa: l’art. 18 si limita a predisporre una sanzione particolarmente significativa, nel caso in cui il licenziamento venisse dichiarato illegittimo. Quindi, anche l’art. 18 in fondo è una questione di quantum di risarcimento. Nella proposta tutto si basa su un calcolo economico del costo del licenziamento e quindi su una determinazione a priori di quanto costi il licenziamento. Quindi, non è che cambi moltissimo.
D. – Riformare il settore del lavoro, include passare anche attraverso questo articolo?
R. – L’art. 18 potrebbe essere modificato, concedendo al giudice la possibilità di valutare caso per caso. Il problema è che pensare che attraverso la riforma dell’art. 18 si risolvano i problemi del mercato del lavoro complessivamente è assolutamente falso. Il sistema degli ammortizzatori sociali italiani è il più arretrato d’Europa, perché non ci sono incentivi occupazionali funzionanti, non c’è una tutela effettiva nel periodo della transizione dalla perdita del posto di lavoro all’acquisizione, non funziona il sistema di riqualificazione e formazione, non esistono indennità per i giovani che si affacciano al mercato del lavoro, non funziona la legge sull’apprendistato, il sistema di apprendistato. Sono quelle le riforme vere, con cui si sdrammatizzerebbe il problema dell’art. 18 e credo che pure i sindacati alla fine potrebbero essere meno posizionati su questioni di principio. Non bisogna partire dall’art. 18 però, bisogna partire da altro e poi arrivare semmai all’art. 18.
Radio Vaticana - Per il ministro del welfare Elsa Fornero non ci devono essere tabù in una riforma complessiva del settore lavoro, ma i sindacati tengono la posizione e ne fanno una questione di coesione sociale. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Bruno Caruso, docente di Diritto del lavoro all’Università di Catania:R. – L’art. 18 sicuramente ha una valenza simbolica, perché quando fu inserito nello Statuto dei lavoratori era la risposta più significativa in termini di cambiamento rispetto ad una possibilità di licenziare più o meno arbitrariamente. Bisogna poi chiarire che l’art. 18 non è che introduca la causalità del licenziamento, la giusta causa: l’art. 18 si limita a predisporre una sanzione particolarmente significativa, nel caso in cui il licenziamento venisse dichiarato illegittimo. Quindi, anche l’art. 18 in fondo è una questione di quantum di risarcimento. Nella proposta tutto si basa su un calcolo economico del costo del licenziamento e quindi su una determinazione a priori di quanto costi il licenziamento. Quindi, non è che cambi moltissimo.
D. – Riformare il settore del lavoro, include passare anche attraverso questo articolo?
R. – L’art. 18 potrebbe essere modificato, concedendo al giudice la possibilità di valutare caso per caso. Il problema è che pensare che attraverso la riforma dell’art. 18 si risolvano i problemi del mercato del lavoro complessivamente è assolutamente falso. Il sistema degli ammortizzatori sociali italiani è il più arretrato d’Europa, perché non ci sono incentivi occupazionali funzionanti, non c’è una tutela effettiva nel periodo della transizione dalla perdita del posto di lavoro all’acquisizione, non funziona il sistema di riqualificazione e formazione, non esistono indennità per i giovani che si affacciano al mercato del lavoro, non funziona la legge sull’apprendistato, il sistema di apprendistato. Sono quelle le riforme vere, con cui si sdrammatizzerebbe il problema dell’art. 18 e credo che pure i sindacati alla fine potrebbero essere meno posizionati su questioni di principio. Non bisogna partire dall’art. 18 però, bisogna partire da altro e poi arrivare semmai all’art. 18.
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