domenica, ottobre 23, 2011
Da “Dietro al paesaggio” a “Conglomerati”: unità di poesia e di pensiero

di Benedetta Biasci

Andrea Zanzotto, morto il 18 ottobre all’ospedale di Conegliano Veneto, è stato uno dei più grandi autori della poesia italiana del Novecento, caldeggiato addirittura più volte per il Nobel per la letteratura. Aveva compiuto da pochi giorni novant’anni, ma non aveva mai smesso di dedicarsi al suo grande amore, la poesia. La sua vita peraltro è stata sempre molto movimentata, ricca di interessi e di emozioni: partecipò alla Resistenza nella fila di Giustizia e Libertà, occupandosi del settore stampa e propaganda, si dedicò all’insegnamento, iniziò giovanissimo la sua carriera di artista e nel 1950 vinse il premio San Babila.

Nelle sue opere Andrea Zanzotto è stato da sempre dedito alle tematiche ambientali. La sua prima preoccupazione? “Far sentire la bellezza del paesaggio […] perché dal paesaggio ricevo come una forza di bellezza e di tranquillità”, ha dichiarato il poeta in un’intervista alla Rai. Di fronte all’attuale distruzione della natura il poeta non poteva che commentare così tristemente: “E’ un lutto terribile per me”. Un lutto perché per Zanzotto la natura è sempre stata la sua “musa ispiratrice”. Sin dall’infanzia ha avuto un rapporto straordinario con essa, nato dal suo legame con il papà, artista e pittore: “Sono sempre vissuto in mezzo ai paesaggi che mio padre elegantemente trasformava in opere d’arte”.
Non a caso dalla sua prima opera “Dietro il paesaggio” alla sua ultima raccolta “Conglomerati”, pubblicata in occasione del suo ottantottesimo compleanno, il paesaggio ha avuto un posto centrale nella sua produzione poetica: appare come l'unico elemento in grado di rieducare alla bellezza, alla civiltà, ai valori della natura.

La sua poesia si fondava su un immenso retroterra culturale che comprendeva la linguistica, la psicoanalisi, l’antropologia, ma anche le svariate forme della tecnologia e delle telecomunicazioni, che, pur non ‘praticando’, non cessava di perscrutare. Zanzotto era uno sperimentatore, in lui non c’era solo la vena poetica: ha collaborato con alcuni quotidiani, dal Gazzettino a L’Avanti! al Corriere della Sera; ha cooperato alla stesura dei testi e delle sceneggiature per i film di Fellini; ha tradotto opere dal francese; ha partecipato a convegni e dibattiti di ogni genere. Era infatti convinto che la poesia dovesse "raspar su tutti i materiali a disposizione. I più inusitati, i più eterogenei. A partire da quelli che salgono dall'inconscio, da quella forza interiore inarrestabile e incontrollabile che poi si trascina appresso il carretto dei versi”. Questo era ed è il segreto della forza della sua poesia.

Il poeta ci ha lasciato un’eredità importantissima: la sua produzione letteraria, i suoi scritti, i suoi testi, le sue parole. E’ vero l’Italia ha perso un “grande figlio”, come ha commentato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ma la sua poesia non è morta: Zanzotto continuerà a vivere attraverso i suoi versi e le sue parole. L’attuale Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Giancarlo Galan, dopo aver appreso la notizia, ha dichiarato che “la sua poesia lo rende immortale. L’arte di Andrea Zanzotto, poeta sempre, è il suo dono di uno stile inimitabile, perché è il dono di una poesia che ti porta in contatto ravvicinato con la vita, con la natura, con la storia, e questo mediante una lingua speciale. […] Ma la morte non è l’oblio, non è la fine, non può esserlo perché questo è il privilegio dei poeti immortali. Ora c’è solo un modo di onorarlo, di ricordarlo: leggere le sue poesie”.

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