“Una tregua non ufficiale fa tirare un sospiro di sollievo alla popolazione di Sana’a, ma ci sono volute decine di morti perché la comunità internazionale aprisse gli occhi sulla situazione yemenita. Agli oppositori pacifici, stanchi e demoralizzati dopo più di sei mesi di proteste represse nel sangue, pesa il silenzio dei grandi media e delle grandi potenze”.
A
genzia Misna - A riferire della situazione in Yemen alla MISNA è Benjamin Wiacek, caporedattore della “Voix du Yémen” (La Voce dello Yemen), portale informativo in lingua francese. La capitale ha sperimentato la scorsa settimana giornate particolarmente buie, culminate con una quarantina di vittime in una sola giornata. Alla repressione contro manifestanti pacifici da parte delle forze di sicurezza si sono aggiunti scontri tra i militari fedeli al presidente Ali Abdullah Saleh e quelli del generale dissidente Mohsen Al-Ahmar, nonché combattimenti fra truppe d’elite e combattenti tribali.
Rivalità tra famiglie o tribù per la spartizione del potere o per regolamenti di conti si sommano alle rivendicazioni per un avvicendamento alla presidenza a e ai vertici delle forze armate, tutti familiari o stretti alleati del capo dello Stato. “I manifestanti antigovernativi pacifici non vogliono essere amalgamanti con le fazioni armate, non vogliono essere identificati a coloro che prendono le armi” ha sottolineato il giornalista francese residente in Yemen.
I protagonisti del tentativo di “rivoluzione” yemenita non sembrano intenzionati ad accettare la proposta di uscita di crisi formulata domenica sera dal presidente Saleh, che ha escluso di dare le dimissioni e suggerito la convocazione di elezioni anticipate, prima della naturale scadenza nel 2013. Sembra che i negoziati siano affidati al suo vicepresidente Abd-Rabbu Mansour, ma in queste ore non s’intravede una via d’uscita. “Mancherebbe soltanto la firma di Saleh al piano di uscita di crisi delle monarchie del Golfo, sottoscritto a maggio dall’opposizione” ricorda ancora Wiacek. Da allora la posizione dell’opposizione si è irrigidita e contiene un’altra condizione: nessuna immunità per il presidente e tutti i responsabili della repressione contro i dimostranti, che dai primi di febbraio ha fatto almeno 500 vittime.
“Su questo punto ancora, la società civile yemenita s’interroga sulla politica di ‘due pesi-due misure’ della comunità internazionale, che non ha adoperato nessuna sanzione contro il regime di Sana’a. Saleh viene ancora considerato come un alleato delle potenze occidentali, in particolare di Washington, nella lotta contro Al-Qaida nella regione. Ma si attribuiscono a Saleh legami con gruppi terroristi, in particolare nel Sud, per alimentare insicurezza”. Voci attribuiscono proprio a tali gruppi il fallito attentato di stamattina contro il ministro della Difesa Mohamed Nasser Ahmed Ali ad Aden. La motivazione, dicono le stesse voci, sarebbe una mancata retribuzione da parte delle autorità.
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genzia Misna - A riferire della situazione in Yemen alla MISNA è Benjamin Wiacek, caporedattore della “Voix du Yémen” (La Voce dello Yemen), portale informativo in lingua francese. La capitale ha sperimentato la scorsa settimana giornate particolarmente buie, culminate con una quarantina di vittime in una sola giornata. Alla repressione contro manifestanti pacifici da parte delle forze di sicurezza si sono aggiunti scontri tra i militari fedeli al presidente Ali Abdullah Saleh e quelli del generale dissidente Mohsen Al-Ahmar, nonché combattimenti fra truppe d’elite e combattenti tribali.Rivalità tra famiglie o tribù per la spartizione del potere o per regolamenti di conti si sommano alle rivendicazioni per un avvicendamento alla presidenza a e ai vertici delle forze armate, tutti familiari o stretti alleati del capo dello Stato. “I manifestanti antigovernativi pacifici non vogliono essere amalgamanti con le fazioni armate, non vogliono essere identificati a coloro che prendono le armi” ha sottolineato il giornalista francese residente in Yemen.
I protagonisti del tentativo di “rivoluzione” yemenita non sembrano intenzionati ad accettare la proposta di uscita di crisi formulata domenica sera dal presidente Saleh, che ha escluso di dare le dimissioni e suggerito la convocazione di elezioni anticipate, prima della naturale scadenza nel 2013. Sembra che i negoziati siano affidati al suo vicepresidente Abd-Rabbu Mansour, ma in queste ore non s’intravede una via d’uscita. “Mancherebbe soltanto la firma di Saleh al piano di uscita di crisi delle monarchie del Golfo, sottoscritto a maggio dall’opposizione” ricorda ancora Wiacek. Da allora la posizione dell’opposizione si è irrigidita e contiene un’altra condizione: nessuna immunità per il presidente e tutti i responsabili della repressione contro i dimostranti, che dai primi di febbraio ha fatto almeno 500 vittime.
“Su questo punto ancora, la società civile yemenita s’interroga sulla politica di ‘due pesi-due misure’ della comunità internazionale, che non ha adoperato nessuna sanzione contro il regime di Sana’a. Saleh viene ancora considerato come un alleato delle potenze occidentali, in particolare di Washington, nella lotta contro Al-Qaida nella regione. Ma si attribuiscono a Saleh legami con gruppi terroristi, in particolare nel Sud, per alimentare insicurezza”. Voci attribuiscono proprio a tali gruppi il fallito attentato di stamattina contro il ministro della Difesa Mohamed Nasser Ahmed Ali ad Aden. La motivazione, dicono le stesse voci, sarebbe una mancata retribuzione da parte delle autorità.
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Saleh Olof Palme.
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