sabato, settembre 10, 2011
Un grido alla pace si è levato ieri sera al Mandela Forum di Firenze in occasione del 17° anniversario di Emergency

della nostra inviata Benedetta Biasci

Uomini e donne di tutte le età, compresi bambini e bambine, hanno riempito ieri sera il Mandela Forum di Firenze per il 17° anniversario di Emergency. Sul palco si sono alternate riflessioni, testimonianze e musica che hanno avuto come fil rouge la difesa della pace. Vari ospiti hanno dato il loro contributo alla serata: Erri De Luca, scrittore, don Gino Rigoldi, fondatore della Comunità Nuova, Marco Garatti e Matteo Dell'Aira, un cardiochirurgo e un infermiere di Emergency che operano in Afghanistan, e Gino Strada, fondatore dell'associazione, che è intervenuto tramite collegamento Skype. Il tutto allietato dall'accompagnamento musicale di Fiorella Mannoia, Elisa, Paola Turci e La Casa del Vento.

La guerra c'è: è lontana da noi, l'abbiamo “parcheggiata” in altri stati, ma purtroppo non è mai finita. La guerra uccide, ferisce, angoscia. In una parola è: terrore. Sì, perché la guerra, come ha raccontato il medico di Emergency, uccide anche solo con la paura: una bambina afghana è morta sul colpo per aver sentito il terribile frastuono dello scoppio di una bomba. Come possiamo permettere che il mondo sia questo? Come disegnare un mondo diverso? Da qui, l'invito di Emergency ad ognuno di noi a lavorare per un mondo migliore, un mondo di pace. “Condannare l'uso della forza è intelligenza, dignità e umanità”, dice Gino Strada… e come dargli torto? “La solidarietà - aggiunge don Gino Rigoldi - la possiamo imparare dallo stare insieme, dal tenerci per mano”. La ricetta contro la guerra non può che essere il volersi bene, e a ciò deve preparare naturalmente la famiglia, ma anche la scuola pubblica, il cui ruolo purtroppo spesso viene sottovalutato. Don Gino Rigoldi sostiene che “la scuola può insegnare a fare la pace”.

La speranza in un mondo migliore la concretizzano tutte le associazioni che, come Emergency, promuovono lo sviluppo e la solidarietà sociale, assicurando sanità pubblica gratuita, istruzione ai bambini e tutte le cure necessarie per vivere bene in Paesi oppressi dalla guerra. Il lavoro dei volontari è una risorsa importante, anche se spesso rischioso: pensiamo a Francesco Azzarà, operatore di Emergency che è stato rapito in Sudan da quasi un mese e di cui abbiamo pochissime notizie. Nel corso della serata è stato ricordato più volte, nella speranza che presto possa essere liberato.

Non è mancata la polemica politica. Cecilia Strada, presidente di Emergency, ha infatti ricordato che la guerra riguarda anche l'Italia, impegnata in ben due Paesi nelle cosiddette “missioni di pace”: in Afghanistan, ormai da quasi 10 anni, e in Libia. Queste spedizioni non solo sono discutibili come significato, ma sono opinabili anche finanziariamente. Il nostro governo, lo sappiamo, è impegnato ormai da più di un mese nel varare una manovra finanziaria che salvi l'Italia dalla bancarotta. “Tagliare le spese”, dicono i politici. Nessuno di loro ha però preso in considerazione la possibilità di tagliare le spese militari. Fiorella Mannoia, sul palco del Mandela Forum, riporta i dati ufficiali dell'Istituto Internazionale di Ricerca sulla pace di Stoccolma: i costi per la difesa nel 2010 sono stati 27 miliardi di euro. Nell'attuale manovra è prevista una spesa pari a 17 miliardi di euro per acquistare 131 caccia bombardieri F135. Perché non investire diversamente parte dei soldi destinati alle spese militari? Come afferma Paolo VI: “I soldi spesi per la guerra sono pane tolto ai poveri”.

Non so se i politici e tutti i cittadini italiani siano interessati al vero bene comune del Paese e a promuovere una sincera educazione alla pace, ma eventi come questi evidenziano una realtà innegabile del nostro mondo: ci sono persone che credono veramente in questi valori, che desiderano sinceramente un mondo di pace, umano e solidale, non retto dal dio denaro. Finché ci saranno queste persone che lottano e danno il loro contributo per la pace nel mondo, possiamo continuare a sperare di andare “oltre la guerra”.

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