lunedì, agosto 29, 2011
In un momento di crisi economica, come quello che stiamo attraversando, qualcuno propone di far pagare l’Ici anche sugli immobili di proprietà degli enti ecclesiastici. Nel mirino anche la riduzione al 50% dell’Ires. Ingiustificati privilegi della Chiesa o semplici agevolazioni fiscali? Solo costi aggiuntivi per lo Stato o anche risparmi?

di Bartolo Salone

La propaganda anticlericale ottocentesca era avvezza a presentare la Chiesa come elemento di arretratezza civile e morale della società, di vecchiezza delle sue istituzioni, di ostacolo al progresso tecnico e scientifico. Di questi tempi, caratterizzati da forti crisi economiche e dalla ripresa del malcontento popolare e soprattutto giovanile, a questi motivi tradizionali se ne è aggiunto uno nuovo: la Chiesa, con i suoi innumerevoli privilegi, sarebbe addirittura un male per l’economia, un costo inutile di cui non si vedono i benefici per la società. E’ questo in fondo il senso, a dire il vero non troppo velato, di manifestazioni come quella organizzata a Madrid da più di un centinaio di organizzazioni laiche insieme con il movimento degli indignados contro la visita del Papa in occasione dell’ultima Giornata mondiale della gioventù. Si protestava sui costi di un evento di rilevanza mondiale come la Gmg, senza considerare il ritorno di immagine e soprattutto economico che una Nazione riceve dalla presenza di milioni di persone provenienti da ogni parte del globo.

Similmente in Italia si discute sulla manovra finanziaria e ci si interroga sui costi che la Chiesa pone a carico del bilancio dello Stato sotto forma di ingiustificati privilegi fiscali. Si fanno portavoce del malcontento i Radicali, da cui è arrivata l’ennesima proposta di abolizione dell’esenzione Ici in favore degli enti della Chiesa. “La proposta – dichiara Mario Staderini, segretario dei Radicali italiani – è abolire l'esenzione per le attività commerciali svolte da enti ecclesiastici, come quelle ricettivo-turistiche, assistenziali, didattiche, ricreative, sportive, sanitarie”. Obiettivo: “Parità di trattamento con chi fa le stesse cose senza insegna religiosa”.

In tema di esenzione Ici ho già avuto modo di chiarire i termini della questione e i profili problematici in un precedente articolo, pubblicato su questo stesso Quotidiano, dal titolo “Ici e Chiesa: un privilegio mai esistito”, a cui rinvio per ogni approfondimento. Qui basti riepilogare alcuni concetti essenziali, su cui normalmente i fautori dell’abolizione dell’esenzione in questione tacciono. Anzitutto, non tutti e non solo gli enti della Chiesa cattolica godono dell’esenzione Ici sui propri immobili. A godere dell’esenzione sono più in generale gli enti non commerciali, ossia gli enti pubblici o privati, diversi dalle società, che non hanno per fine esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale. Quella degli enti non commerciali è una categoria molto ampia, idonea a ricomprendere quei soggetti che operano nella sconfinata area del no profit e più in generale del privato sociale italiano. Fra questi rientrano anche gli enti ecclesiastici, vale a dire gli enti della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose aventi fine di religione o di culto. Gli enti ecclesiastici sono dunque una piccola parte dei soggetti che per legge sono esentati dal pagamento dell’imposta. Inoltre, gli enti suddetti usufruiscono dell’esenzione non in virtù della loro mera qualifica soggettiva (di enti ecclesiastici o non commerciali), bensì in virtù della particolare destinazione dell’immobile a talune attività di preminente interesse generale (attività assistenziali, previdenziali, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, di religione o di culto), che con l’esenzione in questione il legislatore ha inteso salvaguardare e promuovere, in attuazione del principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale, a mente del quale lo Stato e gli enti pubblici territoriali “favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale” (art. 118, comma 4, Cost.). Nessuno speciale privilegio in favore della Chiesa cattolica quindi, e neppure alcuna discriminazione per “chi fa le stesse cose senza insegna religiosa” (come dichiarato da Staderini), visto che tutte le associazioni e organizzazioni no profit, ivi comprese quelle laiche, godono dello stesso incentivo.

E’ inoltre scorretto qualificare le attività (assistenziali, previdenziali, didattiche, ecc…) che danno luogo all’esenzione Ici automaticamente come attività di carattere commerciale: la ragione del beneficio di legge risiede infatti nel carattere di interesse generale delle attività indicate, che vanno a vantaggio di tutta la collettività nazionale, e soprattutto delle fasce più svantaggiate, a prescindere dalla forma, commerciale o meno, con cui queste attività vengono svolte. A tacer del fatto che l’attuale normativa impone agli enti non commerciali di svolgere le suindicate attività di interesse generale “in maniera non esclusivamente commerciale” (pena la perdita del beneficio dell’esenzione Ici), bisogna evidenziare che, nelle ipotesi qui considerate, “attività commerciale” non è sinonimo di “attività lucrativa”; ergo nessuna discriminazione potrebbe ipotizzarsi con riguardo agli imprenditori privati che eventualmente rendano servizi analoghi non per spirito di solidarietà, ma solo per realizzare profitti (sulla differenza tra attività commerciale e attività lucrativa e sulle evoluzioni giurisprudenziali e normative che hanno interessato la materia, vedi ancora il mio “Ici e Chiesa: un privilegio mai esistito”).

Ma l’intervento di Mario Staderini non si ferma qui, in quanto egli chiama in causa perfino la riduzione Ires, quale ulteriore esempio degli innumerevoli privilegi fiscali di cui la Chiesa cattolica godrebbe in questo Paese. L’espediente retorico utilizzato è sempre lo stesso: da un lato, presentare la Chiesa come la sola destinataria di trattamenti tributari di favore che in realtà riguardano un insieme molto più ampio di beneficiari e, dall’altro, fingere di non sapere che tali trattamenti sono volti a favorire lo sviluppo di attività benefiche o comunque di preminente interesse sociale, di cui altrimenti lo Stato e più in generale gli enti pubblici dovrebbero accollarsi direttamente l’onere.
Con riguardo all’Ires, l’imposta sul reddito delle società, che ha preso il posto della vecchia Irpeg (l’Imposta sul reddito delle persone giuridiche), l’art. 6 del d.p.r. 601/1973 prevede una riduzione alla metà dell’imposta dovuta, oltre che per gli enti ecclesiastici, per i seguenti soggetti, purché dotati di personalità giuridica: enti e istituti di assistenza sociale, società di mutuo soccorso, enti ospedalieri, enti di assistenza e beneficienza; istituti di istruzione, di studio e di sperimentazione senza fini di lucro nonché accademie, fondazioni e associazioni storiche, letterarie e scientifiche; istituti autonomi case popolari e loro consorzi. Gli enti ecclesiastici, nel disposto della norma, sono indicati con la seguente perifrasi: “enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficienza e di istruzione”. Si tratta di un’espressione tecnica per indicare gli “enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto”, i quali, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 121/1985, ai soli effetti tributari, vengono equiparati a quelli aventi fine di beneficienza o di istruzione. Ma il segretario dei radicali italiani, del tutto ignaro del significato tecnico-giuridico della evidenziata locuzione, individua la ratio dell’agevolazione fiscale prevista in favore degli enti ecclesiastici nel fatto che essi svolgano effettivamente attività di beneficienza o istruzione, affermando quanto segue: “E' giusto che chi fa beneficienza sia favorito dal fisco. Ma la riduzione Ires opera a priori, indipendentemente dal fatto che gli enti ecclesiastici facciano davvero beneficienza”. L’interpretazione fornita da Staderini è però palesemente errata, frutto di un assoluto arbitrio interpretativo. Che l’equiparazione, agli effetti tributari, del fine di religione o di culto con quello di beneficenza o istruzione non risieda nella presunzione legale che gli enti ecclesiastici svolgano effettivamente attività di beneficienza o istruzione è d’altronde dimostrato dal fatto che la legge stessa differenzia nettamente i due gruppi di finalità agli effetti del riconoscimento civile: infatti, secondo l’art. 16 della legge n. 222/1985 (la c. d. legge sugli enti ecclesiastici), attività di religione o di culto sono solo “quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana”, mentre le attività di istruzione o di beneficienza, che pure l’ente ecclesiastico può esercitare, anche se in via non principale, vengono espressamente ricondotte fra “le attività diverse da quelle di religione o di culto”. La riduzione a metà dell’Ires qui risponde dunque alla finalità di promuovere la libertà religiosa in quanto tale, consentendo agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti di svolgere al meglio la loro specifica missione.

Quando si parla di privilegi fiscali della Chiesa in riferimento all’Ici o ad altri tributi, va ricordato infine che gli enti ecclesiastici presenti sul territorio svolgono una intensa opera di promozione e di assistenza della persona umana nei suoi innumerevoli bisogni spirituali e materiali, consentendo allo Stato di risparmiare sui costi che deriverebbero da una diretta assunzione dei servizi in favore della collettività. E anche in considerazione di siffatti risparmi di spesa pubblica, si giustificano le agevolazioni fiscali previste dalla legge. La Chiesa non è solo un costo per questo Paese, ma un’importante risorsa, non dimentichiamocelo!

Sono presenti 12 commenti

Anonimo ha detto...

Sono cattolica praticante e mi dispiacciono gli attacchi continui alla Chiesa senza avere le giuste conoscenze,ci vorrebbe maggior informazione fatta da persone che conoscono tutte le problematiche come l'autore di questo esplicativo articolo.Complimenti.

Roberto Marinucci ha detto...

Dom Helder Camara, quando fu scelto per essere vescovo di Recife, decise di abbandonare il palazzo vescovile e vivere in una stanza di una casa parrocchiale alla periferia della città. Nessuno lo costrinse. Fu un atto di amore, quello che la Chiesa italiana non ha il coraggio di fare. Il vero punto non è la "legge", é la mancanza di gratuità e amore di un'istituzione che crede più nel denaro che nella profezia.

PS. Felice di vivere in America Latina.

Bartolo Salone ha detto...

Per l'esattezza, dom Helder Camara venne eletto arcivescovo di Olinda e Recife da Paolo VI nel 1964, esercitando il ministero episcopale fino al 1985, quando per raggiunti limiti di età dovette lasciare l'incarico pastorale conformemente alle norme del diritto canonico. Nel corso del suo episcopato decise di vivere in un piccolo appartamento alla periferia della città per non perdere il contatto con i poveri, per i quali si prodigò assiduamente da vescovo, al punto da essere definito "il vescovo delle favelas". Un grande modello di vescovo e di carità cristiana. Come Camara, molti altri nella Chiesa vivono intensamente e con carità il loro ministero presbiterale ed episcopale. Guardiamoci dal fare di tutta l'erba un fascio e dall'emettere giudizi qualunquistici: uomini come Camara, cresciuti nella Chiesa e ivi educati all'amore per i poveri, non avrebbero probabilmente potuto fare tutto il bene per cui vengono ammirati se avessero pensato che la Chiesa da essi così fedelmente servita sia "un'istituzione che crede più nel denaro che nella profezia".

Roberto Marinucci ha detto...

... Dom Helder non solo lo pensava, ma lo diceva... non è per caso che non l'hanno fatto cardinale... sarebbe stato un esempio troppo scomodo per quelli che hanno altre priorità ...

Non si tratta di giudizi qualunquistici, ma evangelici. Ma ormai, il Vangelo è diventato acqua...

Bartolo Salone ha detto...

A Padre Gustavo Gutiérrez, che è considerato il fondatore della teologia della liberazione (a cui è ascrivibile anche dom Helder), nel corso di una intervista, fu posta la seguente domanda: <>.
La risposta, decisa, fu la seguente: <>
Anche l'amore per la Chiesa è Vangelo e non può essere affatto scisso o contrapposto all'amore per i poveri. Simili contrapposizioni di evangelico hanno solo la parvenza...

Bartolo Salone ha detto...

A Padre Gustavo Gutiérrez, che è considerato il fondatore della teologia della liberazione (a cui è ascrivibile anche dom Helder), nel corso di una intervista, fu posta la seguente domanda: "Lei è stato criticato aspramente anche di recente dalla gerarchia vaticana proprio per la sua ecclesiologia. Non ha mai pensato di uscire dalla Chiesa?".
La risposta, decisa, fu la seguente: "No, perchè amo la Chiesa. Perchè è il mio popolo, è la mia vita. Non l'ho mai pensato, neanche nei momenti più difficili, anche se ho sofferto molto"
Anche l'amore per la Chiesa è Vangelo e non può essere affatto scisso o contrapposto all'amore per i poveri. Simili contrapposizioni di evangelico hanno solo la parvenza...

Anonimo ha detto...

solidarietà alla Chiesa in questi tempi di beceri e balordi attacchi intolleranti... ma solo al cristianesimo però! Guai a insultare le altre religioni, tutte devono essere rispettate... ma il cattolicesimo no! Vergogna!

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo che la polemica riguardante le "tasse e imposte" sui beni della Chiesa sia solo un pretesto a fini politici.
Se pensiamo alle agevolazioni di cui godono le "COOP" per fini non certo cristiani e ai vantaggi di cui godono "sindacati e affini", ci sarebbero motivi più seri per polemizzare.

Anonimo ha detto...

se volete fare del bene fatelo, e la collettività ve ne sarà grata. Dopo aver agato le tasse però. Anch'io faccio beneficenza e solidarietà ma non mi sogno di pretendere di avere privilegi fiscali. Lo faccio mettendoci del mio e non con i finanziamenti di terzi. Basta prediche per favore. Su quelli come me chev pagano le tasse vengono ripartite anche quelle che dovreste pagare voi. Fate un esame di coscenza e se vi riesce provate ad immaginare cosa ne penserebbe Gesù Cristo.

Giuseppe ha detto...

Probabilmente in alcuni casi, alcune esenzioni possono essere considerate giuste. Ma il punto è che molti enti religiosi ne approfittano, dimostrando il loro attaccamento al denaro, più che alla religione o alla solidarietà..
Anche questa è evasione fiscale: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=-BLdH4mUsXA

Bartolo Salone ha detto...

Fermo restando che ogni forma di elusione e di evasione fiscale va combattuta, da qualsiasi soggetto realizzata, e che, a modesto avviso di chi scrive, i rischi di abusi si riscontrano maggiormente (tra le attività soggette ad esenzione Ici) sul versante dell'attività di ricettività turistica (spesso a confine con l'attività alberghiera vera e propria, per cui sarebbe auspicabile che il legislatore intervenisse a differenziare e distinguere meglio le due predette attività), fermo restando ciò, mi pare opportuno ricordare, in riferimento all'anonimo che ha rilasciato il penultimo commento, che anche per i privati cittadini che fanno beneficienza il legislatore prevede delle forme di incentivazione fiscale. In particolare, l'art. 14 della legge 80/2005 prevede la totale deducibilità, nel limite del 10 % del reddito complessivo dichiarato e comunque nella misura massima di 70000 euro annui, di tutte le liberalità in denaro e in natura a favore dei soggetti che operano nel terzo settore (cioè a favore di ONLUS e associazioni di promozione sociale). Se il principio è che ognuno debba fare del bene solo mettendoci del suo, senza poter contare su nessuna agevolazione da parte dello Stato (in quanto ogni agevolazione equivarrebbe ad una forma di privilegio fiscale), allora dovremmo eliminare non solo l'esenzione Ici per gli enti non commerciali, ma qualsiasi disposizione legislativa di incentivo ad attività di utilità sociale, ivi compresa la norma da ultimo ricordata, di cui anche il comune cittadino che fa beneficenza potrebbe avvalersi. Tutti pagheremmo le stesse tasse, ma avremmo meno beneficenza e meno solidarietà sociale, a discapito - come è evidente - delle classi meno abbienti. Formalmente il principio di eguaglianza sarebbe rispettato, ma siamo sicuri che avremmo più giustizia sociale?

Anonimo ha detto...

Con l'IMU siamo a posto.
Ora speriamo anche l'IRES quindi non più polemiche ma lo stesso piano per tutti.
Poi assieme andremo a chiedere perchè le Banche sono salvaguardate.
Che brutta impressione che invece di società solidale stia prevalendo la società dei pochi.
Io non cattolico ma amo la chiesa pura e solidale.

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