mercoledì, maggio 25, 2011
Il nostro redattore Renato Zilio ci parla del libro di Paloma Castillo Martinez, edito dalle Paoline

“Non desidero morire, ma so che ora devo morire. Nessuno sembra comprendere le ragioni per cui ho accettato il mio destino... Muoio per essere fedele a me stesso e a quelli che credono ancora nella grandezza e nella libertà dell’uomo.” In queste ultime righe, stese in un’opera come fosse una splendida autobiografia (brillante trovata dell’Autore), troviamo il senso e lo stile di un grande uomo di Stato. Politico e umanista, amico di Erasmo da Rotterdam e di Juan Luis Vives, uomo di lettere e avvocato, scrittore prolifico, studioso dei classici, tra cui appassionato cultore di Luciano e della sua brillante satira, era un diplomatico giunto all’altissimo grado di Cancelliere di Stato durante il regno di Enrico VIII: Tommaso Moro. Fu canonizzato nel 1935 dalla Chiesa cattolica, alla cui difesa egli aveva dedicato estremo impegno e devozione, ma è anche venerato oggi dalla Chiesa anglicana come un martire della coscienza. “La coscienza è la presenza di Dio nell'uomo” direbbe Emanuel Swedenborg, facendoci pensare ad un altro grande apostolo della coscienza in terra inglese come il cardinale Newman.

È suggestivo pensare a questi due grandi uomini in quanto figli di un popolo di mare, di un universo cioè dove tutto si fa mobile e cangiante - il mare, per l’appunto - che abitua a vivere trovando necessariamente nel proprio intimo un centro di gravità, una solidità interiore.
Sulla copertina dell’opera stessa ammiriamo questo statista nel ritratto dipinto da Hans Holbein nel 1526: un volto dai tratti nobili, decisi, come scolpiti su pietra; uno sguardo sereno e lucido che si porta diritto sulla realtà, e allo stesso tempo si fa assorto, mirando ben lontano come di fronte a una visione.
È verso quella visione di un mondo ideale che lo spinse la sua incredibile tensione interiore e che appare nella sua opera più conosciuta, stampata in primis in Inghilterra e frutto della sua coscienza: Utopia. In questo luogo immaginario, ma sognato intensamente “il disprezzo dell’oro e dell’argento, l’uguaglianza dei beni e degli sforzi tra i cittadini, e l’amore costante e tenace della pace e della tranquillità risultano essere antidoti contro ogni frode, inganno e impostura”.”Che cos’è Utopia?” si chiede lui stesso quasi in un momento di calma lucidità, enumerandone le sfaccettature: “un gioco, un sogno, un desiderio, un avvertimento, in racconto fantastico e divertente, un’idea filosofica, una provocazione, una critica.”
In questi tratti che si vorrebbero autobiografici emerge tutta l’ambivalenza di un’esistenza vissuta ai più alti livelli del Regno. “Dentro di me dovevano coesistere il chiostro e la corte, e la battaglia per trovare un modo con questi due mondi di riempire di angoscia la mia gioventù, finchè non riuscii a trovare un equilibrio sufficientemente stabile”. E più avanti confessa: “Ho cercato di conciliare il servizio pubblico e la mia vita interiore con la volontà di Dio e per questo non mi si può considerare un uomo di Stato, un politico autentico, poichè costui deve accettare e difendere anche ciò che va contro la sua stessa essenza, la sua coscienza e io non sono mai riuscito a farlo”. Affermerà poi, con una convinzione che ci stupisce ancora oggi, “l’uomo è la sua coscienza e non altro”.
Rinchiuso nella Torre di Londra, condannato dal Re per alto tradimento, medita sul senso del morire: “La morte di un uomo comporta una certa parte di morte anche per tutti gli uomini e quando un uomo muore per la mano di un altro la luce delle stelle si attenua, perche si è alterata la creazione.”

In questo frangente ripercorre brevemente anche le ansie dei suoi tempi e la storia della Riforma. Rivolgendosi direttamente a Lutero, nell’oscuro della sua prigionia, ci introduce nel senso del suo operato: “Roma innalzava il più grande e splendido tempio del mondo sulla tomba di un povero pescatore di Galilea e per finanziarlo il suo successore Leone X faceva vendere nella tua Germania, Martin, il perdono dei peccati e la vita eterna in cambio di alcune monete, cambiali mediante le quali distribuiva il cielo a pezzettini”. E ricorda pure la sua amicizia con il grande Erasmo, per il quale “la Bibbia era il luogo di incontro con il Cristo; dopo la rivelazione di Cristo, il cristiano doveva dimenticare inutili argomentazioni dottrinali dedicandosi a cambiare il mondo con il suo sforzo e il suo esempio”. E la sua riflessione sa farsi preghiera umile, intensa, eloquente: ”O Dio, non mi resta più tempo per continuare a lottare; sii tu il mio paladino e proteggi l’Inghilterra, proteggi questa Chiesa che, essendo tua, deve essere Chiesa rinnovata, Chiesa di futuro. Concedile fede in te, carità per gli uomini e unità per i popoli.”

All’alba di martedi 6 luglio dell’anno del Signore 1535, vigilia della festa di san Tommaso di Canterbury e ottava di san Pietro, fu comunicato a Tommaso Moro che sarebbe stato giustiziato prima delle 9 di mattina di quello stesso giorno. Il latore delle notizia fu Thomas Pope, uno dei suoi amici... si congedò da Moro senza riuscire a evitare le lacrime, per cui Tommaso lo confortò in questo modo: ”Tranquillizzatevi, e non siate triste, perche io confido che una volta in cielo ci rivedremo nella massima gioia.”

Rientrando in se stesso, infine, riassume la sua vita in un ultimo attimo di luce: “Sono un raccolto di molte semine: di parole, di preghiere, di sogni, di paesaggi, di profumi e soprattutto di sacrifici e di lacrime umane. Sono il risultato di molti dolori senza compromessi, senza ambizioni, senza viltà. Ora va tutto bene, la nave mi attende, il vento comincia a stendere le sue vele e la luna sorge all’orizzonte, anche se è giorno”.

Così ha preso il largo un difensore indimenticato di un valore supremo per l’umanità: la coscienza e la sua libertà. Un santo per la Chiesa. Un’opera da rileggere e meditare per noi.

Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa