martedì, maggio 10, 2011
Quando l’immagine prende il sopravvento sull’essere, quando il vuoto diventa incolmabile, quando la solitudine dell’anima logora dentro, ecco che anoressia e bulimia fanno il loro ingresso nella vita delle persone. Lentamente s’insidiano, e quando pensi di tornare indietro, ormai è troppo tardi...


della nostra redattrice Federica Scorpo

I disturbi alimentari, come l’anoressia e la bulimia, sono uno dei mali più diffusi del nostro tempo, in cui la taglia 38, tanto anelata, rischia di diventare un’ossessiva ricerca di perfezione. E non solo: dietro i digiuni, il vomito, le diete e le abbuffate, si cela l’insoddisfazione di ciò che si è, perché siamo troppo bombardati da vite splendite e famose, insieme a corpi giovani e perfetti. Illusioni di una cultura e di una società che chiede troppo, soprattutto alle donne: indipendenza, giovinezza, bellezza, intelligenza, carriera, famiglia, figli. Entra in scena così la crisi, che può manifestarsi tra le tante forme anche in anoressia e bulimia: entrambe tengono a bada l’ansia di non avere il controllo di tutto, la rabbia dell’inadeguatezza, la paura di non essere all’altezza, la frustrazione di non esistere per il mondo.

Uscirne diventa impossibile e la malattia prende il corpo e la mente.

Non è un male della forma, come siamo abituati a pensare, ma qualcosa di più profondo, un grido d’aiuto, la ricerca di una mano tesa e di amore, considerazione, ascolto e interesse in un mondo distratto e indifferente. Chi si ammala è ‘vittima’ dell’amore, un amore che non riesce ad avere e nemmeno a dare, né a saziare l’anima.
Lo sa bene Stefania Longo, 38 anni, che ha messo nero su bianco la sua malattia. La bulimia nella sua vita si è insidiata a 23 anni, e solo adesso Stefania è riuscita a tirar fuori la testa dalla tazza del water… sì, perché il gesto di mangiare e vomitare era diventato per lei un rito quotidiano e il water un compagno fedele. Consapevole (come ci racconta in questa intervista esclusiva per La Perfetta Letizia) della pericolosità del rito, ma ormai smettere era diventato impossibile e il terrore d’ingrassare un pensiero fisso. Ecco come si è manifestata nella sua vita: Stefania era a Londra per studio, era ingrassata tra mille cene con amici, era sola con alle porte la separazione dei genitori, ritmi sregolati e ansia da prestazione per i suoi studi. E’ così che comincia, imitando le colleghe universitarie, poi però diventa un gioco più grande di lei e diventa bulimica. La malattia ha vinto.

Poi succede che Stefania, nell’assoluto anonimato, apre un blog e comincia a scrivere di sé, della sua malattia, si apre, tira fuori la sua rabbia e la condivide con racconti grotteschi e forti, diventa un vero e proprio diario della sua malattia, dal titolo “Vomito dunque sono”. Il blog comincia ad essere sempre più visitato da ragazze con i suoi stessi problemi. E così che queste pagine di rabbia, voglia di farla finita e di disappunto verso questa società dell’immagine che imprigiona, diventeranno un libro: “Taglia trentotto: bulimia, amore e rabbia”(Edizione Memori). Succede infatti che Stefania, dopo lunghi anni di studio, entra nel mondo del lavoro, impegnando così otto ore della sua giornata, e quel gesto quotidiano per riempire un grande vuoto lentamente si spegne fino a esaurirsi.

Ma mai abbassare la guardia: ne è uscita, è vero, ma solo in parte; il disagio spesso è più profondo di quello che sembra e il percorso è ancora lungo, ma la strada della guarigione, almeno per lei, è ormai lì a pochi passi.

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