mercoledì, maggio 04, 2011
Lorenzo Diana, coordinatore della Rete della legalità: «Chiediamo a Maroni un Patto nazionale»

Liberainformazione - In Italia sono più di un milione gli imprenditori soggetti al racket. Non solo al Sud, ma in tutto il Paese, le mafie impongono “tasse” e balzelli che uccidono la libertà di impresa e il libero mercato. La denuncia viene da Roma, dove si è svolta la prima assemblea della Rete della legalità. A coordinare il nuovo movimento che si batte contro racket e usura è Lorenzo Diana, ex componente della Commissione antimafia. Alla Rete aderiscono numerose associazioni anti-racket operative in varie regioni, ma anche associazioni di categoria e il mondo dell'associazionismo antimafia italiano. Nella sua relazione Diana ne traccia gli obiettivi: «Servono nuovi strumenti organizzativi per debellare il racket».

«Con la crisi – aggiunge – racket e usura stanno cambiando, assumendo connotati nuovi con i quali bisogna misurarsi». E' importante, ad esempio, non concentrarsi soltanto sul numero delle denunce fatte dagli imprenditori. Negli ultimi anni, in media, sono state registrate 5/6 mila denunce di racket, con un pesante calo nel 2010. Per quel che riguarda l'usura, le denunce sono passate dalle 2500 dell'anno in cui è stata introdotta la legge, alle 350 del 2010. Soffermarsi soltanto a questi dati, seppur importanti per chi denunciando mette a rischio la propria incolumità, è riduttivo. «I processi di cambiamento del racket e dell'usura – sottolinea Diana – riguardano i cambiamenti delle mafie, diventate ormai delle holding economico-finanziarie».

Una potenza economica, quella delle organizzazioni criminali italiane, stimata in circa 150 miliardi di euro annui, una cifra pari al 7% del Pil. Il racket non è soltanto la richiesta del pizzo. E' diventato l'imposizione delle forniture, delle ditte subappaltatrici, oppure di assunzioni. Costi che pesano e che drogano il funzionamento del mercato. «La lotta al racket – aggiunge Lorenzo Diana – deve avere una valenza nazionale». Eliminando, infatti, questo freno le imprese riusciranno ad avere più dinamicità e competitività. Un problema, sottolinea la Rete della legalità, che riguarda un imprenditore su cinque in Italia. «Un milione di imprenditori subiscono il peso del racket, e 500 mila persone sono interessate al fenomeno dell'usura». Chi denuncia, inoltre, spesso si trova abbandonato dallo Stato ed emarginato dal mercato.

Da qui la proposta avanzata da Lorenzo Diana e fatta propria dalla Rete della legalità. «Chiediamo al ministro dell'Interno Maroni di convocare un tavolo nazionale per un Patto antiracket», che veda coinvolte le associazioni datoriali, le associazioni antiracket, le forze dell'ordine e le rappresentanze politiche nazionali e locali. Su un maggiore impegno da parte delle istituzioni concordano Luigi De Sena, ex Prefetto di Caserta e Reggio Calabria e attuale vice-presidente della Commissione antimafia, e Antonio Di Pietro. Per il leader dell'Idv serve che: «La vittima del reato senta di potersi fidare dell'autorità giudiziaria». La legalità, aggiunge: «Si afferma quando si ha la certezza del diritto. Questa – sottolinea Di Pietro – non si ottiene con riforme megagalattiche, ma intervenendo con più mezzi, più uomini e più risorse».

De Sena sottolinea come: «Lo Stato non riesce ad essere solidale con chi indica gli aspetti criminali da cui è aggredito». Spesso, inoltre, «Il testimone di giustizia, quando ha esaurito la sua funzione, diventa ingombrante per lo Stato». L'ex prefetto aggiunge che sta preparando degli emendamenti sulla normativa relativa al racket, proprio per tutelare l'imprenditore che denuncia. «Serve una legge in cui si preveda che l'imprenditore che denuncia deve essere privilegiato nell'ambito degli appalti e dei subappalti».

Un modo per evitare che l'impresa fallisca e che a vincere siano, ancora una volta, le mafie.

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