mercoledì, maggio 04, 2011
Il giorno della scadenza dell’ultimatum dato da Gheddafi agli insorti di Misurata per deporre le armi ha conosciuto una calma senza precedente.

di Salah Methnani

Diario Arabo - E’ stato forse il giorno più tranquillo da quando sono arrivato nella città. Dopo aver lanciato pochi razzi Grad e alcuni colpi di mortaio, la macchina bellica delle brigate di Muammar Gheddafi è stata costretta a tacere per l’intera giornata. Questa volta, dicono i ribelli, gli aerei della Nato - che in Libia le persone anziane chiamano le nostre forze aeree - hanno fatto bene il loro lavoro. Un combattente tornato dal fronte mi ha raccontato i dettagli della battaglia che si è consumata martedì 3 maggio a Masraet Suihli, a Ghiran, sud di Misurata. Nell’azienda agricola che una volta era di proprietà del Conte Giuseppe Volpi, governatore della Tripolitania tra il 1921 e il 1925, almeno una trentina di miliziani sono rimasti uccisi. Mohamed e i suoi compagni, una ventina, erano a 200 metri dalle brigate di Gheddafi. Durante lo scambio di fuoco ha sentito uno di loro ordinare di non lasciare i cadaveri dei miliziani sul campo di battaglia. Mohamed descrive i lealisti con i quali c’è stato lo scontro a fuoco come dei codardi e degli incapaci. Erano terrorizzati e guidavano i veicoli militari come se fossero dei principianti. Alcuni di loro hanno addirittura fatto incastrare i mezzi militari nella sabbia e sono stati costretti ad abbandonarli di corsa. Per ripiegare, hanno poi fatto azionare una batteria lancia missili Grad di piccola dimensione, chiamata Rajima. Già perché a Gheddafi, piace sperimentare armi di diverse dimensioni per dimostrare l’affetto che dice di nutrire per i suoi figli di Misurata.

La giornata di Mercoledì 4 maggio è già iniziata e i ribelli di Misurata non si sono arresi come intimava loro il regime libico per avere la vita salva. Da due giorni è stato imposto il coprifuoco nella città dalle otto di sera fino alle otto di mattina. Si cerca di identificare e in fretta le cellule lealiste dormienti rimaste ancora a Misurata. Sono quelli che costituiscono il maggiore pericolo per gli abitanti. Riescono a comunicare tutti i movimenti degli insorti al regime e a sferrare attacchi mirati con missili RPG dall’interno. Il problema è che nessuno è in grado di identificarli facilmente. Alcuni di loro hanno raggiunto i ribelli sul fronte, e alla prima occasione hanno rivolto a tradimento le loro armi contro gli insorti.

Nella casa dove ho alloggiato in questi giorni a Misurata ci sono ragazzi arrivati da Bengasi per documentare le atrocità compiute dal regime contro una città assediata e costantemente bombardata dalle brigate di Gheddafi. Ci sono anche un collega francese free lance, due spagnoli e l’inviata del Sunday Times. In una grande stanza è stato allestito un centro operativo per coordinare le azioni dei combattenti sul fronte. Ogni giorno c’è un via vai di gente. E all’ingresso cinque membri del comitato militare si alternano per garantire la nostra sicurezza e quella di chi frequenta questo posto.

La nave Red Star one costretta a rimanere al largo di Misurata da sabato 30 aprile ha avuto mercoledì 4 maggio l’autorizzazione per attraccare e potrebbe entrare in porto nella giornata. Svuoterà il suo carico e imbarcherà una trentina di feriti, un migliaio di rifugiati africani e una ventina di giornalisti. Ho sempre odiato i momenti degli addii, ma questo è forse il momento che mi affligge più di tutti. Lascio una città liberata in parte, con una popolazione costretta ancora a vivere in condizioni tragiche e sotto i bombardamenti di Gheddafi. Tutti dicono qui che l’era di Gheddafi è finita ma nessuno è riuscito a dirmi quando invece finirà il colonnello e la sua famiglia al potere in Libia da decenni.

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