L'Esercito Popolare di Liberazione lancia il videogioco “sparatutto”. I cattivi sono gli americani.
PeaceReporter - Si chiama Guāngróng Shǐmìng, Missione gloriosa, è un cosiddetto "sparatutto in prima persona" (dìyī rénchēng shèjī yóuxì), cioè uno di quei videogiochi in cui, da una visuale in soggettiva, si crivella di colpi tutto quello che si incontra.È stato creato dal gigante dell'elettronica cinese Network Technology Co sotto la supervisione dell'Esercito Popolare di Liberazione e - riporta Wired - sembra un'imitazione di America's Army, gioco che, come evidenzia il nome, è prodotto dall'esercito statunitense. (video)
È quindi un gioco di recruitment - invoglia i giovani ad arruolarsi - e di training - offre cioè una simulazione di addestramento militare. Poi ovviamente si spara.
Le similitudini finiscono qui. Se infatti i "cattivi" da sterminare nel gioco made in Usa sono i consueti islamici barbuti, nella versione cinese si abbattono soldati incredibilmente simili a quelli che Washington ha dislocato in Afghanistan, Iraq e così via: si spara sullo zio Sam.
Sia chiaro: anche negli Stati Uniti esistono giochi di guerra in cui si prendono di mira i cinesi, come Operation Flashpoint Dragon Rising, Battlefield 2, Call of Duty.
Ma nel caso cinese è proprio l'esercito a dare ufficialità al videogame.
In un servizio su Missione gloriosa del notiziario di Cctv 7 - il canale della Tv di Stato interamente dedicato all'esercito e al mondo rurale - si nota chiaramente un elicottero Apache precipitare in fiamme; e nello stesso filmato, si vedono militari cinesi che si addestrano all'arte della guerra proprio smanettando alla consolle.
Sull'utilità delle esercitazioni militari per interposto videogame, in Cina non tutti concordano: c'è chi sostiene che la realtà del campo di battaglia è ben diversa (e ci mancherebbe) e chi osserva che sparare su tutto ciò che si muove non corrisponde esattamente ai "valori" dell'Esercito popolare.
A queste critiche si aggiunge quella che accomuna tutti gli "sparatutto", ben nota anche ad altre latitudini: che effetti può avere sulla coscienza dei giovani un gioco il cui scopo è uccidere il più possibile?
Per rispondere a questa domanda bisogna farsi un'idea del mercato dei videogame in Cina. È uno dei settori che si sta sviluppando più velocemente e dà lavoro, molto. Nel 2010 è cresciuto del 25 per cento, raggiungendo un valore complessivo di 5 miliardi di dollari. Si calcola che nel 2014 dovrebbe arrivare a 8 miliardi. Ma in Cina esternalizzano anche i produttori occidentali, alla ricerca di giovani sviluppatori, capaci e poco costosi. Nel 2005 erano già almeno centomila, oggi molti di più. I videogiochi sono una delle "migliori" opportunità - virgolettato d'obbligo se si considerano i ritmi forsennati di lavoro - per giovani creativi che vogliono procurarsi un reddito.
Così una comunità giovane gioca e produce, produce e gioca, "vive" nel mondo dei giochi fino a elaborare linguaggi propri che attraverso i videogame criticano anche il potere o vi sfuggono.
Nulla di strano quindi che un istituzione come l'esercito cerchi di presidiare il settore con il gioco fatto in casa. Del resto proprio gli Stati Uniti - nemico virtuale ma modello reale - insegnano: "É più efficace di ogni altro metodo di reclutamento", hanno ammesso rappresentanti del Pentagono in un'audizione al Congresso Usa, parlando di America's Army. E uno studio del Massachusetts Institute of Technology rivelò nel 2008 che "il 30 per cento degli americani tra i 16 e i 24 anni ha un'impressione più positiva dell'esercito grazie al gioco e, cosa ancor più sorprendente, [America's Army] ha avuto sul reclutamento un impatto superiore a tutte le altre forme di propaganda messe insieme."
Missione gloriosa non è al momento merce d'esportazione. Ma per trasmettere "valori" ai giovani cinesi è formidabile. Rientra in quel filone culturale imbevuto di orgoglio patrio - per non dire nazionalismo - con cui il Partito già maoista cerca di sostituire il fantasma di Mao. Ragione politica e ragione commerciale si mischiano come di consueto: un gioco in cui i cattivi sono gli yankee non ha concorrenti in Patria e, domani, potrebbe diventare oggetto di culto anche all'estero. Diventando così un buon investimento e un'arma nel conflitto del soft-power, dove la posta in gioco è l'immaginario collettivo.
di Gabriele Battaglia
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